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Pompei, sangue nello stadio: nel 59 primo scontro tra tifosi violenti

Un’opera, gli Annales. Uno storico romano di grande fama, Tacito. E l’antica città di Pompei che accende il suo interesse: nel 59 d. C per una vergognosa rissa nell’Anfiteatro e vent’anni dopo per l’eruzione del Vesuvio. Di quest’ultimo evento chiese informazioni a Plinio il Giovane, per dare la testimonianza eroica dello zio, Plinio il Vecchio (morto cercando di mettere in salvo con la sua flotta i pompeiani minacciati dal vulcano). Un eroe per bilanciare un vergognoso esempio di “sportivi”, la prima rissa fra “tifoserie”.

Le testimonianze

Un evento di cui ancora si trovano testimonianze fra le rovine di Pompei. Sì, perché Tacito non aveva raccontato tutto. All’epoca aveva appena 4 anni e solo quando divenne senatore, consultando gli acta senatus e gli acta diurna, scoprì che, proprio per decisione del Senato, era stata comminata nel 59 d.C. una sospensione o meglio una “squalifica” al maestoso Anfiteatro di Pompei. Una decisione severissima. Che cosa era successo? Tacito raccolse documenti ufficiali, testimonianze anche dirette di coloro che avevano vissuto gli eventi, e con il suo stile molto misurato e sintetico non esitò a raccontare.

La rissa

In quell’epoca accade un grande massacro tra Nocerini e Pompeiani, originato da una futile causa in occasione dei giochi gladiatori organizzati da quel Lavineio Regolo (…) bandito dal Senato. Dapprima le due parti si scambiarono ingiurie con l’insolenza propria dei provinciali, poi passarono alle sassate, alla fine ricorsero alle armi, e i cittadini di Pompei, presso i quali si dava lo spettacolo, prevalsero. Furono riportati a casa molti abitanti di Nocera con il corpo mutilato per le ferite e in quella città, parecchi i cittadini piansero la morte dei figli e dei genitori. Il principe deferì al Senato il giudizio dell’accadimento, il Senato lo affidò ai consoli poi quando la faccenda passò di nuovo al Senato, si deliberò di evitare per 10 anni, pubbliche riunioni di quel genere, ai cittadini di Pompei. In seguito, fu ordinato lo scioglimento di tutte le associazioni costituitesi, contrariamente alle norme della legge. Lavineio e tutti i cagionatori del tumulto furono condannati all’esilio (Annales XIV,7).

L’eruzione del Vesuvio

Neppure la furia del Vesuvio, che vent’anni dopo versò, con un’eruzione esplosiva, fuoco e lava, distruggendo Pompei e i suoi abitanti, riuscì a cancellare definitivamente le tracce di quella rissa che, nel tempo, sono riaffiorate per il minuzioso lavoro degli archeologi. Nel 1943 il giornalista napoletano Giovanni Artieri, inviato della Stampa di Torino, incontrò a Pompei l’archeologo ed epigrafista Matteo della Corte. “Raccontami qualcosa che non so”, lo provocò e lui, testimone dei lavori di scavo che dal 1936 erano cominciati, a Pompei, riportando alla luce la Grande Palestra degli atleti dei munera (spettacoli che davano prestigio alla civiltà della Roma antica) gli parlò di epigrafi emerse con nomi di atleti, militi, gladiatori … “E di quella vicenda del 10 luglio 59?”, gli chiese Artieri.

Il racconto

Della Corte cominciò a rivelare che Tacito, pur informatissimo sugli atti politici che seguirono l’evento, si era soffermato poco sulla ferocia e i dettagli di quel giorno assolato in cui a Pompei si svolgevano i ludi apollinari. Corse di carri, di tori, combattimenti di gladiatori… tutto per un evento in pompa magna organizzato – come aveva scritto Tacito – da Lavineio Regolo, probabilmente in cerca di riscatto agli occhi di Nerone. Pompeiani e forestieri erano sia tra i partecipanti sia sugli spalti. Non parve vero al giornalista ispirato dai racconti dell’amico della Corte, di descrivere quella giornata, nata con grandi aspettative, con un programma ricco di eventi e, soprattutto, con una spasmodica attesa per una partita: Pompei – Nuceria. L’ingresso delle squadre fu accolto dalle urla dei loro sostenitori. Cominciò la partita. Urla, applausi e quando la squadra Nocerina ebbe un piccolo vantaggio sui pompeiani, con un gioco aggressivo e falloso, senza che l’arbitro potesse contenerli, sugli spalti il tifo divenne rissa.

La Peonia

Poi, mentre i nocerini erano in difesa, una voce stridula urlò dall’alto “Date la Peonia ai Pompeiani!” Che voleva dire? – s’interrogò Artieri. Della Corte spiegò che la Peonia era una pianta medicamentosa usata contro il male dell’itterizia e della nevrastenia. L’urlo dagli spalti era come dire “date ai pompeiani lo sciroppo per combattere l’itterizia che verrà loro dopo la sconfitta”. La reazione fu violenta e quando i centurioni riuscirono a sedarla, il colpo d’occhio sulle gradinate dell’Anfiteatro agghiacciò: sulle pietre insanguinate c’erano cadaveri e feriti, lamenti e tante peonie sparse. Un incidente da ultras ante litteram? Non proprio: c’era “un’antica ruggine probabilmente a causa di questioni di confini e di pretesi diritti violati”, come ha ipotizzato Luciana Jacobelli in Gladiatori a Pompei (2003).

La rivalità tra nocerini e pompeiani

Tutto accadde, infatti, in un clima già teso, poiché nel 57 d.C. Roma aveva deciso la “deduzione” a colonia di Nuceria, insediandovi cittadini romani. Pompei si era vista sottrarre gran parte del terreno agricolo. Era stata fino a quel momento una delle città più ricche della Campania, famosa per le scuole gladiatorie e il suo Anfiteatro che poteva contenere più di 20mila spettatori. Probabilmente i nocerini, benché aiutati da Roma, invidiavano i pompeiani per quell’imponente struttura architettonica capace di accogliere feste e giochi. Ne fu convinto anche un altro celebre archeologo, Amedeo Maiuri. Il rancore esacerbò la passione “sportiva” e quel 10 luglio 59 si trasformò in una vera carneficina. Per anni le più importanti testimonianze visibili sono state due. C’è l’affresco “Rissa nell’anfiteatro” scoperto nella casa di Aniceto, ritratto fedele dell’anfiteatro di Pompei, con le mura della città alle sue spalle e le due torri e le due fazioni che si aggredivano e c’è un graffito nella casa dei Dioscuri in cui si legge “Campani victoria una cum nucerinis peristis” (“O campani, in quella vittoria siete morti insieme ai nocerini”).

Le nuove scoperte

Nel luglio del 2017, però, fu scoperta una nuova inscrizione funeraria (7 righi su 4 metri di lunghezza) in cui si descrivono le gesta del defunto che, raggiunta la maggiore età, prese la toga virile. Per l’occasione donò a tutto il popolo pompeiano un banchetto e offrì anche uno spettacolo gladiatorio con 416 gladiatori”. L’epigrafe risale agli ultimi anni della vita della città e per gli studiosi quello spettacolo gladiatorio sembra un riferimento alla rissa del 59 e alle sanzioni adottate da Nerone. Lo studioso Arturo De Vivo ha osservato che nella narrazione che fece, Tacito fu in linea con lo spirito degli Annales e quindi fu una scelta dello storico il racconto sommario di quell’evento.

I precedenti

Non era stato il primo episodio di violenza legata alla tifoseria: per Dione Crisostomo gli Alessandrini, pazzi per le corse dei cavalli, diventavano forsennati e attaccabrighe durante le gare che si svolgevano nell’ippodromo e dopo provocavano incendi devastando i luoghi al loro passaggio. Lo storico Ammiano Marcellino, invece, scrisse che nell’anno 355 la plebe di Roma era insorta contro il prefetto che aveva arrestato l’auriga Filoromo. Insomma, anche se non unico, lo scontro del 59 d.C. fu il più cruento.

Il flop della sicurezza

Studi recenti hanno sottolineato che, pur avendo organizzato i giochi per recuperare prestigio agli occhi dell’imperatore, Lavineio peccò di superficialità e non organizzò la sicurezza, che avrebbe dovuto impedire che le due fazioni entrassero armate nell’Anfiteatro. Gli abitanti di Nocera, furono provocati e, di provocazione in provocazione, fra un lancio di sassi e colpi di coltello quella partita si trasformò nella prima strage allo stadio nella storia. Quella squalifica di 10 anni per l’Anfiteatro di Pompei fu un marchio anche se non scontato fino in fondo. Del resto la vita e le aspirazioni di quella città stavano per essere fermate per sempre dalla lava del vulcano. E purtroppo, anche in questo caso, la storia non è stata maestra.

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