L’ascesa del sindaco di New York tra populismo progressista, mito dell’inclusione e bisogno occidentale di nuovi eroi morali
Giovane, bello, musulmano, pro-Pal e nemico giurato di Trump: la sinistra italiana, eternamente in cerca di eroi simbolici, ha trovato il suo nuovo santino global, il volto inedito del progressismo morale. Preparatevi a una lunga maratona social di esuberante entusiasmo per la rinata speranza del cambiamento dell’ordine mondiale.
Stiamo parlando, naturalmente, di Zohran Mamdani, il sindaco eletto di New York, il primo di fede islamica e il primo di origine sud-asiatica, oltre che uno dei più giovani nella storia della Grande Mela. Ha superato la soglia del 50% dei voti, battendo il ben più esperto ex governatore Andrew Cuomo. Il tasso di partecipazione è stato tra i più alti della città da decenni: si stimano oltre due milioni di votanti.
PER APPROFONDIRE:
Il sogno americano
La sua vittoria è il segno, dunque, di uno spostamento politico verso temi legati al costo della vita, all’abitare e a un’agenda democratica in una città in forte trasformazione. È lui, oggi, il mito ideale, fotogenico, da proiettare sulle bacheche dei social media, radicale quanto basta da far rabbrividire l’establishment. Poco importa che dovrà amministrare la città più complessa del pianeta, con un bilancio da 110 miliardi di dollari e una realtà sociale frammentata in molteplici comunità e contraddizioni. Basta che funzioni (la narrazione): il ragazzo figlio di immigrati – padre ugandese e madre indiana – che sconfigge il potere bianco, il profeta “propal” che parla il linguaggio dell’inclusione e del riscatto. Più american dream di così si muore.
Il populismo di Mamdani
Mamdani ha costruito buona parte della sua visibilità su un antitrumpismo frontale, denunciando il razzismo sistemico e la deriva suprematista che, a suo dire, attraversano l’America di oggi. Non che la diagnosi sia infondata, intendiamoci. Ma l’approccio è rivelatore di un populismo che finisce per rispecchiare quello che vorrebbe combattere: anche Mamdani, infatti, vive della stessa polarizzazione che alimenta Trump.
Mamdani rappresenta il nuovo paradigma dell’eroe progressista: “duro e puro”, allergico al compromesso, ma privo di un vero piano di governo. La sua campagna ha parlato ai sentimenti, più che ai problemi (l’eliminazione della tariffa degli autobus è il culmine di questa politica emotiva in cerca di facili consensi). È un populismo sofisticato, travestito da etica, che individua il colpevole – il ricco, il bianco, il potente – e costruisce l’approvazione attraverso l’indignazione.


La sfida da neo sindaco
Il suo attivismo pro-palestinese – con il sostegno al movimento Boycott, Divestment and Sanctions (BDS) nei confronti di Israele, la mancata partecipazione alla tradizionale parata dell’“Israel Day” a New York – in una città che conta la comunità ebraica più grande del mondo fuori da Israele, può diventare un punto di debolezza politica se percepito come “ossessione” o come distrazione rispetto ai problemi quotidiani della città (abitazione, traffico, polizia e altri temi concreti come la sicurezza).
Da futuro sindaco di una grande metropoli, Mamdani sa che non potrà limitarsi al simbolico: la sua agenda richiederà equilibrio e capacità di governare trasversalmente. Si dimostrerà all’altezza della situazione? Certo, sarebbe miope non riconoscergli abilità e carisma: la sua vittoria è il segno che la sinistra americana, pur lacerata, è ancora capace di mobilitare giovani, precari, minoranze su un’idea di giustizia sociale.
A caccia di “volti”
Ma New York non è l’America, e soprattutto l’America non è l’Italia, dove troppo spesso si confonde il riformismo con la diversità da mostrare, dove da troppo tempo una certa sinistra si sente orfana di leader carismatici, in un panorama politico appiattito. Da qui il suo bisogno di volti, e soprattutto il suo bisogno di cambiarli spesso. Dopo la breve attrazione fatale per Ilaria Salis e il coup de foudre per l’improbabile Francesca Albanese – per
non parlare degli altri miti effimeri internazionali scaduti come Zapatero, Tsipras, Corbyn e così via – Mamdani risponde perfettamente al bisogno di questa identità sostitutiva.
LEGGI Ilaria Salis a Nordio: «Voglio essere processata in Italia»
Un nuovo Sanders
Per quello che potremmo chiamare il popolo della “sinistra estetica” Mamdani è un gran colpo di fortuna, è un Bernie Sanders in versione urban cool, l’ennesimo volto che le restituisce la sensazione di essere ancora dalla parte giusta e le risolve in superficie il proprio conflitto interiore: essere radicale senza cambiare davvero nulla. Questa rincorsa all’icona – questo “idolismo” dell’icona – rischia di coprire, infatti, una ferita profonda, quella dell’assenza di un progetto riformista convincente, capace di legare coesione sociale, trasformazione reale e guida politica credibile.













