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Crack come l’eroina dei ’70, allarme in Italia. Leggi inutili, ecco perché

cristalli di crack

Il nostro modello legislativo è obsoleto. Sono decenni che si combatte il problema droga. Dobbiamo, piuttosto renderci conto di alcune cose

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Sempre più amministrazioni pubbliche si stanno accorgendo che la diffusione di crack è una sorta di tsunami difficile da affrontare. Cercano soluzioni, anche a costo di essere coinvolte in polemiche politiche pro o contro la riduzione del danno. La Sicilia sembra più avanti con una legge ad hoc. Ma, in generale, ciascuno cerca di muoversi come può, per arginare un problema che sembra, di volta in volta, esplodere quasi all’improvviso. La sindaca di Genova, ad esempio, chiede un comitato straordinario per l’ordine della sicurezza.

Vuole che si prenda atto della situazione e venga stabilito un piano emergenziale. Si appella anche al Viminale, ma è convinta che, come riporta Genova 24, oltre al tema della sicurezza ci sia da affrontare anche quello sanitario e dell’accoglienza. Insomma: la situazione è difficile in molte parti del Paese.

Sostengo, da tempo, che la diffusione del crack sia un problema gravissimo che, sino ad ora, non ha avuto l’attenzione necessaria anche se, di fatto, può cambiare rapidamente gli scenari della droga e della sicurezza urbana ma, anche, saturare la capacità di offerta dei Servizi che si occupano di salute mentale e dipendenze. Il crack ha effetti pesantissimi sulla salute fisica e mentale di chi lo usa, ciononostante sempre più persone si accostano al suo consumo.

Una singola dose costa poco ed ha un forte breve effetto (minuti), poi occorre un’altra dose. Il basso costo, però, sembra, a chi si occupa di cronache, una buona ragione per provarlo per poi devastarsi e diventarne rapidamente dipendenti ma, probabilmente, ci sono altre condizioni umane e sociali che spingono a certi tipi di consumi alla ricerca di alterazione e che vanno molto oltre il costo di una singola dose. Senz’altro chi lo propone sul mercato lo ha capito bene.

Non penso che serva un piano di emergenza, per rispondere a questa problematica. Sono decenni che affrontiamo il tema droga, dichiarando emergenze e costruendo piani che nemmeno misuriamo nella loro efficacia. Dobbiamo, piuttosto renderci conto di alcune cose:

1) se ci sono persone, spesso giovani, che finiscono per autodistruggersi in tempi rapidi, con una droga come il crack che può renderli deliranti, paranoici e talvolta violenti, oppure gravemente depressi quando manca, o si riesce a intervenire preventivamente sulle condizioni umane e sociali che le portano a questo tipo di comportamento, oppure sarà solo possibile cercare di ridurre i danni a posteriori, ma i danni ci saranno comunque e saranno pesanti: i tempi tra l’inizio del consumo e la generazione di conseguenze importanti sono molto più brevi, rispetto ad altre sostanze;

2) se non ci rendiamo conto che gli scenari delle droghe stanno cambiando velocemente, in peggio, rimarremo sempre più spiazzati dai cambiamenti delle proposte del mercato e dei consumi: ci stiamo muovendo a livello mondiale verso l’offerta di mix di sostanze psicoattive, alcune sintetiche, nuove e sconosciute, mai testate nell’uso umano, molte facilmente reperibili, anche in rete, ed i tempi in cui le droghe disponibili si contavano sulle dita di una mano sono, ormai, definitivamente finiti;

3) facciamo molti investimenti, nell’idea di rendere indisponibili le droghe, attraverso la repressione del traffico e dello spaccio, ma è abbastanza evidente come i risultati siano aleatori: probabilmente l’attività repressiva rimane indispensabile per contenere azioni di una criminalità che ha assunto stabili collegamenti globali e cerca di sottomettere la società civile, ma è un fatto oggettivo che dappertutto è possibile procurarsi di tutto per strada o in rete in risposta ad una domanda consistente su cui bisognerebbe interrogarsi;

4) le persone che sono preoccupate per la diffusione di droghe e dipendenze hanno idee molto differenti sul da farsi che vanno dalla repressione più dura alla legalizzazione di qualsiasi sostanza, dalla volontà di ridurre i danni, alla negazione di tutto ciò che non sia smettere di drogarsi per un recupero globale; forze politiche ed organizzazioni varie, spesso, cercano consenso cavalcando le divisioni; normalmente le diverse posizioni contrapposte sono molto semplicistiche e non tengono conto della complessità dei fenomeni da affrontare e del fatto che, qualunque linea di azione si persegua, comporta vantaggi, svantaggi, effetti paradossali e rapporti costi/benefici tutti da valutare, in relazione agli obiettivi che si vogliono raggiungere che, spesso, non sono definiti;

5) il nostro sistema legislativo che risale al 1990, ha un meccanismo di feedback importante nella Conferenza Nazionale triennale sui problemi connessi con la diffusione delle sostanze stupefacenti e psicotrope alla quale vengono invitati i soggetti pubblici e privati che esplicano la loro attività nel campo della prevenzione e della cura della tossicodipendenza “al fine di individuare eventuali correzioni alla legislazione antidroga dettate dall’esperienza applicativa”, ma qualcosa non funziona in questo modello: il sistema legislativo è ormai obsoleto, la Conferenza, quando viene convocata diventa una sorta di vetrina per chi riesce ad utilizzarla a questo scopo, ma non molto di più e, non di rado, diventa un momento divisivo, più che una occasione di lavoro unitario, visto che quest’anno, e non è l’unico caso, avremo anche una controconferenza.

Tutto ciò ci deve far capire che i piani di emergenza a nulla servono, se non per azioni circoscritte, molto limitate e di dubbio successo. Bisognerebbe, invece, avere il coraggio di mettere attorno ad un tavolo permanente politici, tecnici ed amministratori per ripensare, in modo “laico” e basato su strumenti oggettivi, molte delle scelte e delle azioni messe in atto, anche per produrne di nuove, pensando come governarle sinergicamente e monitorandone l’efficacia in itinere, in relazione ad obiettivi certi, perché dichiarati.

L’alternativa è adattarsi ad una serie di possibili tsunami successivi dove, persone di buona volontà che lavorano nel pubblico e nel privato accreditato, cercando di sopravvivere su zattere più o meno solide, tenteranno di “salvare” il maggior numero di persone possibili. Qualcosa che ci riporta a tempi passati, quando nemmeno si pensava che potesse esistere, in proposito, un Sistema di intervento pubblico dedicato che, forse, non è mai stato sviluppato compiutamente. Ma è questo che, davvero, vogliamo? «Sventurata la terra che ha bisogno d’eroi», come diceva Brecht.

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