Un altro sì alla separazione delle carriere e liberazione anticipata per chi sconta meno di due anni, ma decide il giudice
Separazione delle carriere: via libera del Senato
Il disegno di legge di revisione costituzionale sulla separazione delle carriere della magistratura, che separa non solo i pm dai giudici ma che è sempre più divisiva nella politica e tra gli addetti ai lavori, ha ottenuto il secondo via libera del Parlamento. A Palazzo Madama, quello che rappresenta un traguardo storico di una riforma tanto invocata da decenni e altrettanto contrastata governo dopo governo, ha superato gli ostacoli del secondo step con 106 voti favorevoli, 61 contrari e 11 astensioni. Ora il ddl tornerà alla Camera, che lo aveva approvato il 16 gennaio, per il terzo round e successivamente ancora al Senato.
LO SPIGOLO – Istituzioni nel ring della giustizia di Mario Lavia
Poi dovrebbe essere la volta del referendum confermativo in primavera, un appuntamento cruciale in cui magistrati e avvocati si scontreranno con i relativi comitati per esporre le proprie posizioni. Come sempre contraria è l’Associazione nazionale magistrati, che non ha alcuna intenzione di mollare. Dall’altra parte l’avvocatura, con l’Unione Camere Penali in testa che farà di tutto per arrivare – finalmente – alla realizzazione di una storica battaglia.
La stessa battaglia del ministro della Giustizia Carlo Nordio che non nasconde il suo entusiasmo. «Una mia vittoria? Ho realizzato una mia aspirazione, dal ‘95, sin da quando ho scritto il primo libro sulla giustizia, da magistrato, ci credevo fermamente», afferma ribadendo che la «seconda lettura dovrebbe essere rapida, poi andremo al referendum, che io auspico, perché una materia così delicata va sottoposta al giudizio degli italiani». Anche la premier Meloni esulta per l’approvazione in seconda lettura al Senato di una riforma che «segna un passo importante verso un impegno che avevamo preso con gli italiani e che stiamo portando avanti con decisione».
Le proteste dell’opposizione
Sulle barricate invece l’opposizione. I senatori del Pd, al momento del voto hanno esposto un frontespizio della Costituzione rovesciata. «La riforma della giustizia è un pretesto per colpire e indebolire la magistratura, un contropotere che la destra italiana, al pari di tutte le destre mondiali da Trump a Orban, considera troppo ingombrante. Per questo – ha sottolineato il senatore dem Alfredo Bazoli – non è stata né discussa né condivisa con l’opposizione, e per la prima volta nella storia repubblicana una riforma della costituzione verrà scritta dal governo e passerà senza neanche una modifica del parlamento. Un vero tradimento dello spirito costituente».

I deputati del M5s hanno invece alzato un cartello con le immagini dei giudici Borsellino e Falcone con la scritta «non nel loro nome», affiancando in forma di protesta le immagini di Gelli e Berlusconi. Proprio dal seggio appartenuto all’ex premier e leader di Forza Italia il senatore Pierantonio Zanettin, con un «atto evocativo di forte impatto emotivo» ha voluto dedicare al Cavaliere lo storico voto. Ed il vicepremier Antonio Tajani, a rafforzare una battaglia che è nel Dna di Fi, ha voluto ricordare che la «separazione delle carriere la chiedeva Falcone, come tanti giuristi insigni. Andremo avanti e questo testo non potrà più essere cambiato. È una riforma che esalta l’indipendenza della magistratura e punta a cancellare le derive correntizie che hanno creato non pochi danni alla magistratura stessa».
Magistratura affila le armi
Magistratura che la vede all’opposto ed affila le armi. Il presidente dell’Anm, Cesare Parodi, parla di una riforma che «indebolisce, quasi cancella quella che è l’essenza del Consiglio superiore della magistratura. È un fatto grave, triste, preoccupante. L’autogoverno della magistratura non è stato creato per difendere i magistrati, – aggiunge il leader del sindacato delle toghe – ma per difendere un sistema che funzioni, efficiente». E soprattutto, conclude Parodi, questo «avviene in un momento storico in cui i magistrati non riescono a lavorare come vorrebbero per un’assoluta, diffusa, grave carenza di strumenti e mezzi per poter operare al meglio. Non voglio assolutamente dire che ci sia un disegno, io rilevo un dato oggettivo».
Esulta invece l’Unione Camere penali, protagonista di un percorso intrapreso sin dall’entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, ritenendo che la separazione delle carriere dei magistrati contribuisca a garantire la parità delle parti realizzando la terzietà del giudice, per un processo più giusto nell’interesse di tutti i cittadini. «Fino a qualche anno fa – rilevano i penalisti – era rimasta solo l’Unione a sostenere la necessità di una riforma che la politica non aveva il coraggio di affrontare per non contrariare la magistratura. È stata la scelta di ricorrere ad una legge di iniziativa popolare, raccogliendo oltre 73 mila firme nel 2017, che ha riportato la questione al centro del dibattito pubblico e ha dato il via a ciò che oggi possiamo salutare con grande soddisfazione».
Cosa presenta il provvedimento
Il cuore del provvedimento è dunque la separazione delle carriere dei pm e dei giudici, per cui ciascuno a inizio carriera dovrà fare una scelta definitiva di funzione, e restarci. Insomma niente più ‘porte girevoli’ tra pm e giudici secondo un’espressione abusata negli anni scorsi. Il provvedimento, presentato dal governo, prevede due distinti organi di autogoverno: il Consiglio superiore della magistratura giudicante e il Consiglio superiore della magistratura requirente.
La presidenza di entrambi gli organi è attribuita al Presidente della Repubblica, mentre sono membri di diritto del Consiglio superiore della magistratura giudicante e del Consiglio superiore della magistratura requirente, rispettivamente, il primo Presidente della Corte di Cassazione e il Procuratore generale della Corte di Cassazione. Gli altri componenti di ciascuno dei Consigli superiori sono estratti a sorte, per un terzo da un elenco di professori e avvocati compilato dal Parlamento in seduta comune e, per i restanti due terzi, rispettivamente, tra i magistrati giudicanti e tra i magistrati requirenti.
Si prevede, inoltre, che i vicepresidenti di ciascuno degli organi siano eletti fra i componenti sorteggiati dall’elenco compilato dal Parlamento. Un’altra novità è rappresentata dall’istituzione dell’Alta Corte disciplinare che sarà composta da 15 giudici: 3 nominati dal presidente della Repubblica; 3 estratti a sorte da un elenco compilato dal Parlamento in seduta comune; 6 estratti a sorte tra i magistrati giudicanti in possesso di specifici requisiti; 3 estratti a sorte tra i magistrati requirenti in possesso di specifici requisiti. (Mdduca)
Mini svuota-carceri, al bluff non crede neanche Meloni
Il diavolo si nasconde sempre nei dettagli. Nel giorno in cui Giorgia Meloni celebra se stessa e il suo governo per la doppia lettura sulla separazione delle carriere e per un annunciato piano carceri da 15 mila posti in più (entro il 2027), dimentica la premier di spiegare la parte più importante e più concreta dei provvedimenti portati dal ministro della Giustizia Carlo Nordio e approvati ieri in Consiglio dei ministri: un significativo svuota-carceri utile, annuncia il ministro in conferenza stampa, a portare fuori «il prima possibile, spero già nei prossimi giorni» 2-3 mila detenuti. «La potenziale platea della liberazione anticipata è molto più alta, almeno diecimila detenuti – aggiunge Nordio – intanto puntiamo a farne uscire qualche decina prima di agosto».
È una giornata che va seguita in tutti i suoi dettagli. Alla fine, unendo i puntini, viene fuori una maggioranza che proprio su giustizia e sicurezza è divisa. E il giorno di massimo trionfo è in realtà anche quello delle massime divisioni. Forza Italia, lo fa Tajani, può dedicare a Berlusconi l’approvazione in seconda lettura della separazione delle carriere: significa che il testo non cambia più e che il referendum potrà tenersi già nel 2026. È l’unica delle tre riforme costituzionali che sarà definita – in un modo o nell’altro – entro la fine della legislatura. Premierato (Fratelli d’Italia) e Autonomia regionale (Lega) sono al carissimo amico. Sempre Tajani è anche l’unico che può gioire per lo svuota-carceri (presunto ma speriamo di essere smentiti) di Nordio.
Meloni non nomina lo svuota-carceri
Divisioni e umori diversi misurabili in vario modo. Nelle parole della premier Meloni: «Una giornata importante quella che sta per finire, vi diamo – come promesso – giustizia e sicurezza, la separazione delle carriere e certezza della pena perché andremo a costruire 15 mila nuovi posti per i detenuti nelle carceri». Meloni neppure nomina lo svuota-carceri di Nordio che tra le misure presentate è quella che può camminare subito. Divisioni e umori diversi che si misurano nelle assenze: né Salvini (ministro per le Infrastrutture da cui dipendono le nuove carceri) né Delmastro Delle Vedove (delega alle carceri) hanno preso parte alla conferenza stampa. Non vogliono mettere la faccia sullo svuota-carceri. E si misurano anche nell’agenda: stamani Fratelli d’Italia doveva presentare un nuovo ddl sulla legittima difesa, via Arenula ha detto stop, conferenza stampa cancellata.
Le tre misure approvate dal Consiglio
Il Consiglio dei ministri ieri ha approvato tre misure: un nuovo piano carceri; la detenzione domiciliare differenziata per i tossicodipendenti; la liberazione anticipata per chi deve scontare gli ultimi due anni. Sul piano carceri non si parla di costruire nuove carceri ma di ampliare l’esistente aggiungendo 14.696 posti. Il costo dell’opera-azione è pari a 758 milioni e sono già finanziati. Il piano è triennale, 2025-2027, nell’anno in corso dovrebbero saltare fuori 1.472 posti, il grosso sarà nei prossimi due anni. La situazione oggi è di 63 mila detenuti per 47.939 posti disponibili. Un inferno oltre ogni dettato costituzionale su cui il Presidente Mattarella ha chiesto più volte di intervenire. I quindicimila nuovi posti servono appena a fare pari.

Il Consiglio dei ministri ha anche approvato il disegno di legge per la detenzione domiciliare differenziata. Si tratta di mandare a scontare la pena in “strutture di comunità” quei detenuti condannati per reati legati a tossicodipendenze ma non gravi (non previsti nel 4bis), si parla di furti, scippi, rapine, «reati minori contro il patrimonio» dice Nordio. Tutti fuori su richiesta e dietro l’impegno di rispettare un percorso di recupero. «Il 31,9% dei detenuti, circa ventimila, hanno problemi di tossicodipendenze, secondo il nostro monitoraggio circa le metà, diecimila, è compatibile con la detenzione differenziata. Per il sistema carcerario vorrebbe dire diecimila detenuti in meno».
Peccato non aver potuto vedere, in questo preciso momento, la faccia di Salvini o Delmastro. Il Consiglio dei ministri ha approvato anche una terza misura, un nuovo regolamento che «non avendo bisogno di intervento normativo ha tempi veloci di applicazione.
Riguarda circa diecimila detenuti a cui restano due anni di pena da scontare e che hanno diritto alla libertà anticipata. Dietro domanda e autorizzazione del giudice di sorveglianza. Il provvedimento ha ridotto al minimo la burocrazia, il direttore del carcere, tramite il fascicolo del detenuto, può vedere autonomamente chi ha diritto e chi no e trasferire il fascicolo a quel punto già istruito al giudice di sorveglianza. «Che stiamo cercando di aumentare con trasferimenti, assunzioni e incentivi» promette Nordio convinto di poter misurare a giorni i primi effetti del nuovo regolamento.
Nordio lavora da due anni a questa misura. Lega e Fratelli lo hanno sempre fermato un attimo prima facendogli rimangiare promesse e programmi. Se questa volta riuscirà, onore al merito. Se nulla cambierà, se i 63 mila resteranno stipati in cella, se i posti resteranno gli stessi, cioè insufficienti, avrà mentito. (CFusani)