Home / Italia / «Educazione sessuale a scuola? Più utili Boccaccio e Flaubert»

«Educazione sessuale a scuola? Più utili Boccaccio e Flaubert»

bretagna

Il pedagogista Giuseppe Bertagna dice la sua sul tema al centro del dibattito parlamentare di questi giorni

di

«Pensare che si possa delegare a qualcuno l’educazione alla sessualità è una forma di “fordismo” scolastico, di atomizzazione dell’educazione, che invece è un sistema complesso. Leggere Flaubert sarebbe più utile», Giuseppe Bertagna è pedagogista, autore di numerosi libri sulla scuola e le sue riforme, su quelle fatte e su quelle da fare.

Professore, si è tenuto alla Camera il confronto sul ddl relativo all’educazione sessuale e il consenso informato. Una sua opinione sul tema?

«Il tema è il coinvolgimento complessivo della sessualità nell’educazione. Serve un’educazione alla relazione, è questo ad essere in crisi. Bisogna educare i ragazzi a capire che la relazione non si fa a distanza e non si fa in forma mediata. Si deve sentire l’odore dell’altro e sperimentare le modalità di reazione alle manifestazioni emotive dell’altro».

Questo in termini generali. Sull’educazione sessuale nelle scuole?

«A maggior ragione vale quello che dicevo. Il sesso non è un fatto meccanico né soltanto biologico. È un fatto che riguarda la complessità della relazione e coinvolge il corpo, la mente, l’inconscio, la dinamica emotiva. In questo campo entrano in gioco l’etica, la storia, la psicoanalisi».

Una delle cose su cui si concentra il dibattito è chi debba essere incaricato di fornire questa educazione.

«Già la domanda è sbagliata. Non bisogna cadere nel “fordismo”, nell’atomizzazione delle competenze. Se mi si chiede di chi è la responsabilità dell’educazione sessuale, la mia risposta è: “di tutti”, ma davvero di tutti. Il primo responsabile della propria educazione è lo studente stesso, poi l’insegnante, tutti gli insegnanti, e ovviamente la famiglia. Possiamo anche fornire agli studenti i più grandi esperti di queste materie, ma tutto questo riguarderebbe la “sovrastruttura”. Questi insegnamenti vanno inseriti all’interno di un progetto di scuola, di comportamenti collettivi. Bisogna resistere all’idea che ci sia qualcuno delegato a educare su questi temi».

Quindi ritagliare nel programma didattico un’ora da dedicare all’educazione sessuo-affettiva non è la soluzione?

«È il modo migliore per essere sicuri che il problema non verrà risolto. È la stessa via che si è seguita con l’educazione stradale e con tutte le varie “educazioni” che abbiamo inventato. Più ne aggiungiamo e più siamo sicuri che il risultato sarà pessimo».

La posizione opposta è quella di chi dice tutto si risolve in famiglia. Anche questa è una posizione unilaterale?

«Sì, ma su alcuni temi sensibili la famiglia ha per costituzione una priorità, o comunque non può essere bypassata. Ci sono vari tipi di famiglie, tutte legittime. Ma vanno rispettate anche quelle famiglie che negano il consenso e che però non possono intervenire sui corsi che la scuola offre come opzionali o facoltativi. Dovremmo ampliare la dimensione della facoltatività e imparare che nell’educazione ci sono momenti obbligatori comuni, momenti opzionali – ad esempio quelli relativi a uno o ad un altro talento artistico – e momenti facoltativi. Il dibattito sull’educazione sessuale dovrebbe anzitutto servire a far capire che bisogna flessibilizzare i curricula».

Insomma, è un problema che riguarda l’organizzazione scolastica nel suo complesso.

«La nostra scuola ha troppe materie obbligatorie e poche che possono essere scelte dagli studenti. La facoltatività riguarda solo la religione, ma non è peccaminoso che riguardi anche altre materie, certo coinvolgendo anche i genitori».

Proprio questo è un punto dirimente del dibattito. La Lega ha fatto un passo indietro sull’emendamento che impediva l’educazione sessuale alle medie, ma insiste sul consenso informato dei genitori.

«È naturale, perché è ovvio che il ragazzo ha delle relazioni con gli adulti all’interno della famiglia, quindi è da lì che bisogna partire».

Il dibattito in Parlamento si è giocato sulla relazione tra l’educazione affettiva e la prevenzione dei femminicidi. C’è un nesso o sono questioni che andrebbero affrontate separatamente?

«Tanto il pensiero magico quanto il pensiero scientifico ci dicono che tutto si tiene. Questo in linea generale. Ma sappiamo che la soluzione non è delegare l’educazione sessuale a qualcuno. Dovremmo però anzitutto capire che Stendhal, Flaubert, o il Decamerone di Boccaccio sono un’educazione alla sessualità molto importante. La migliore educazione affettiva si fa con la cultura “normale”, insegnando la storia, la geografia, la letteratura, la scrittura, la calligrafia».

Anche la calligrafia?

«Certo, pensi al valore che ha il corsivo nel dominio dell’affettività. Ci sono studi che dimostrano che chi non è in grado di scrivere in corsivo e scrive solo in stampatello ha delle difficoltà relazionali maggiori. Non è un caso che nei monasteri e nei cenobi si miniaturizzassero i manoscritti antichi. Era una pratica che aiutava non solo a sviluppare la manualità, ma aiutava anche l’intelletto e lo spirito ad avere un’ordine e un’armonia».

Riassumendo il suo pensiero potremmo dire che la migliore “educazione sentimentale” rimane quella di Flaubert.

«Non c’è dubbio. I romanzi, la letteratura, sono un modo non doloroso di imparare. Fanno capire la realtà molto più di quanto non faccia la realtà stessa che noi viviamo. E fanno capire che la possibilità del reale è molto ampia. La letteratura aiuta a non vivere in un reale angusto, chiuso, soffocato e soffocante. E tutto questo ha delle ricadute molto significative anche sul rispetto dell’altro».

Oggi c’è un ostacolo a qualsiasi educazione alla relazione che è dato dalla pornografia. Ieri è entrata in vigore la norma contenuta nel decreto Caivano che obbliga alla verifica dell’età per accedere ai siti porno. Norme sensate o battaglie contro i mulini a vento?

«Il punto è che la pornografia rappresenta una diseducazione per i ragazzi all’uso responsabile di se stessi, del proprio corpo e della relazione con gli altri corpi. Se questa norma può essere un ostacolo al fatto che i minori accedano a questi siti, ben venga. Ma unum facere et aliud non omittere: può servire ai ragazzi per non cadere subito in trappola, ma se poi i genitori, gli insegnanti e gli stessi ragazzi non hanno sensibilità per la dimensione affettiva e attenzione alla relazione interpersonale, allora la battaglia è comunque persa».

Tag:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

EDICOLA