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Perché insegnare ai giovani il linguaggio degli affetti

La sfida è fare in modo che i ragazzi dispongano di un vocabolario ricco e sofisticato per un rapporto colto con la propria trasformazione

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Il Parlamento ha discusso e si è diviso sull’educazione sessuale a scuola. Al centro di questa discussione stanno almeno quattro nuclei, molto diversi tra loro e che vale la pena distinguere. I bambini, i genitori, la scuola e la politica.

I bambini

L’errore che bisogna innanzitutto evitare è pensare che i bambini siano meri oggetti della discussione. I bambini, lo sappiamo, parlano di sesso, esplorano il proprio corpo, scoprono sé stessi scoprendo la propria sessualità. È questo il primo punto da prendere in considerazione quando si parla di educazione sessuale: i bambini sono a tutti gli effetti soggetti di questa discussione.

La latitanza degli adulti

Sono anche esposti a rischi enormi e lo sono sempre di più in considerazione di due aspetti fondamentali, le immagini e la latitanza degli adulti. Deriva da qui un gigantesco senso di colpa che fa dell’infanzia l’ossessione del nostro tempo. Il bambino vede quello che vede l’adulto, spesso, nell’indifferenza di quest’ultimo. Da qui due atteggiamenti contraddittori, ma che sorgono sul terreno dello stesso disagio, dell’identico senso di colpa degli adulti: immunizzare l’infanzia, isolarla quanto più è possibile dalle ideologie che si contendono lo spazio pubblico; oppure, farla partecipare dei discorsi dei grandi, nei modi controllati di un’educazione professionale. Da un lato, a destra soprattutto, si diffida di questi discorsi; dall’altro, a sinistra, si avanza la richiesta di una nuova morale sessuale da veicolare per mezzo dell’istruzione. È un dialogo tra sordi e destinato a irrigidirsi sempre di più.

Il ruolo della scuola

In mezzo, un’istituzione, la scuola, tirata da una parte e dall’altra, con esiti a ben vedere paradossali. Chi diffida del consenso genitoriale informato, assegna alla scuola sostanzialmente una funzione di barriera simbolica tra i bambini e gli adulti. Ma su questa strada si finisce inevitabilmente a dover sbrogliare troppi nodi: i bambini non hanno nessuna autonomia? E se la società è popolata di individui retrogradi da escludere quando si tratta di scegliere i contenuti dell’educazione dei propri figli, chi rappresentano realmente i progressisti?

I genitori

Sul versante opposto, chiamare i genitori a decidere dei contenuti di un determinato insegnamento in nome di cosa si giustifica? Della natura particolare di questo insegnamento o del principio per cui in generale la famiglia deve poter decidere dell’adeguatezza dei contenuti trasmessi dalla scuola? Ma se l’educazione sessuale è un’educazione dell’uomo, come dall’una e dall’altra parte si sottolinea, un modo di coltivare la nostra comune umanità di uomini e donne, allora in cosa consiste la pericolosità di questo insegnamento?

Non tutto si può fare

Ora, bisognerebbe chiedersi una cosa molto semplice: che cosa ci ripromettiamo dalla decisione di introdurre l’educazione sessuale a scuola? E pensiamo che la scuola possa colmare i grandi vuoti che si sono aperti nella nostra società sul fronte delle istituzioni della riproduzione sociale, a cominciare dalla famiglia? Forse bisognerebbe partire dal riconoscimento che non tutto si può fare. Che si dovrebbe decidere da dove cominciare. C’è il corpo e il rispetto che i ragazzi devono avere del proprio corpo. C’è il sesso e ci sono le emozioni che ad esso sono legate. E c’è il linguaggio per parlare di tutto ciò, il linguaggio della conoscenza, innanzitutto, ma anche il linguaggio degli affetti e c’è poi la cultura. Ognuna di queste dimensioni, il corpo, il sesso, le emozioni e i sentimenti sono la materia di cui è fatta l’arte, la poesia, la letteratura, il teatro, la danza e il cinema, lungo tutto il cammino dell’umanità.

Gli affetti

Se vogliamo veramente parlare di educazione alle relazioni, forse il primo obiettivo che dovremmo proporci è quello di fare caso a come maschi e femmine, spesso giovanissimi, parlano della loro esperienza affettiva, perché se di relazioni stiamo parlando, la prima cosa di cui dovremmo preoccuparci è fornire a questi ragazzi un vocabolario ricco e sofisticato per un rapporto colto con la propria trasformazione. Avere le parole e averne molte, disposti su molti registri, dal quasi casto al quasi peccato come scriveva qualcuno, sarebbe già un modo per venire fuori dalla logica della mera genitalità che sta alla base del largo uso di massa del turpiloquio a sfondo sessuale che caratterizza il modo in cui si parla troppo spesso di queste cose.

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