Una metafora risalente alla fine del XIX secolo definiva l’Impero Ottomano come il “malato d’Europa”, a più di cento anni di distanza l’Impero della Sublime Porta ha cessato di esistere, mentre il poco invidiabile titolo sembra ora spettare alla Francia di Emmanuel Macron, che è rimasta senza governo. Nel pomeriggio, presso il Palazzo Borbone di Parigi, i deputati dell’Assemblea Nazionale hanno votato la sfiducia al governo al Primo ministro François Bayrou, e all’esecutivo da lui presieduto. Contro Bayrou hanno votato 364 deputati, mentre i voti a favore sono stati 194.
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Il Primo ministro rimetterà ora il suo mandato al Presidente Macron, verosimilmente entro domani. Non si tratta certo di una sorpresa, i principali partiti dello spettro politico transalpino avevano già annunciato che non avrebbero rinnovato la fiducia a Bayrou, decretando così la caduta del quarto governo negli ultimi quattro anni. Ma se l’instabilità politica bastasse a fare di uno Stato il “malato d’Europa” il continente sarebbe allo sfacelo. Il termine si applica bene alla Francia perché l’ormai cronica instabilità politica si accompagna a condizioni economico-finanziarie che hanno del disastroso.
A dirlo è stato lo stesso Bayrou, nel suo intervento di ieri avvenuto prima della votazione: «Il Paese è in prognosi riservata a causa del suo indebitamento. Spendiamo, ma non abbiamo entrate sufficienti, è diventato un riflesso, peggio ancora, una dipendenza». Il debito pubblico francese ha toccato quest’anno la cifra record di 3,4 trilioni, ovvero il 114% del suo Pil, può sembrare un numero non poi così drammatico, visto che l’Italia viaggia al 138%, ma la situazione cambia se si tiene conto del perenne deficit di bilancio che attanaglia Parigi. Tradotto: la Francia spende molto più di quanto guadagna, anche senza tener conto degli interessi sul debito.
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È lo stesso Bayrou a dar conto di questo problema: «La Francia non ha un bilancio in pareggio da 51 anni», e il suo deficit ha raggiunto la cifra astronomica del 6% del Pil, praticamente il doppio di quello italiano. Non bisogna poi dimenticare che mentre il debito pubblico di Roma è detenuto solamente per il 32,4% da investitori stranieri, questa cifra sale al 53% nel caso dei cugini d’Oltralpe. La differenza è significativa, gli investitori esteri sono perlopiù composti da hedge fund e da fondi speculativi. Questo, in altri termini, vuol dire che il debito francese in presenza di tensioni dei mercati sarà maggiormente esposto a vendite massive e ad attacchi speculativi.Un assaggio si è già avuto in questi mesi, quando i mercati finanziari hanno iniziato a manifestare nervosismo nei confronti dei titoli di stato francesi.
Lo spread tra i titoli di Stato decennali francesi (OAT) e i Bund tedeschi è salito progressivamente, toccando quota 80 punti base, mentre il differenziale tra i BTP italiani e gli OAT francesi è sceso sotto i 5 punti base, ai minimi dal 2005. Un paradosso che ha visto i titoli italiani considerati meno rischiosi di quelli francesi, testimoniando la perdita di fiducia degli investitori internazionali verso Parigi. Tornando alla politica, ieri le reazioni dei leader politici riuniti all’Assemblea nazionale hanno delineato uno scenario di profonda frattura. Marine Le Pen, del Rassemblement National, ha salutato con soddisfazione quella che ha definito «la fine dell’agonia di un governo fantasma», dichiarando che per il presidente Macron lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale «non è un’opzione, ma un obbligo».
La leader dell’estrema destra ha fatto pressione per nuove elezioni legislative, sostenuta dal suo braccio destro Jordan Bardella che ha ribadito: «Emmanuel Macron ha tra le mani l’unica soluzione per far uscire il nostro Paese dall’impasse politica: il ritorno alle urne».Dalla sinistra radicale, la France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon ha assunto una posizione ancora più intransigente. Mathilde Panot, rappresentante del partito, apostrofando Bayrou: «Non condividiamo la tua diagnosi, e ancor meno i tuoi rimedi», mentre Mélenchon stesso ha invocato non solo elezioni legislative anticipate ma anche le dimissioni di Macron. Il leader della sinistra radicale ha addirittura chiamato per il 10 settembre uno sciopero generale per “bloccare tutto”, cercando di capitalizzare politicamente sulla crisi economica del paese.
Anche il centrodestra dei Républicains si è mostrato diviso internamente. Laurent Wauquiez, figura di punta del partito conservatore, ha lasciato intendere una posizione più sfumata rispetto alla sfiducia, evidenziando le fratture che attraversano tutto lo spettro politico francese. Eric Ciotti ha invece paragonato Bayrou a «un pompiere incendiario», accusandolo: «Siete, con Emmanuel Macron, gli artefici della debacle francese. Avete acceso fiammiferi su pozzanghere di cherosene per otto anni, ma dovremmo fidarci di voi per spegnere l’incendio. Bella battuta».
Le poche opzioni di Macron
In questo clima altamente incendiario le opzioni per Macron appaiono limitate e tutte a loro modo problematiche. Il voto presidenziale anticipato sembra escluso, dato che comporterebbe un suicidio politico per il Presidente. Come hanno osservato gli analisti finanziari, Macron ha di fatto solo due strade: nominare un nuovo premier di area centrista o tecnocratica, oppure sciogliere l’Assemblea e convocare elezioni legislative anticipate. La prima opzione, considerata più probabile, garantirebbe una relativa stabilità ma rischierebbe di riproporre lo stesso stallo che ha caratterizzato gli ultimi anni.
Tra i nomi che circolano per Palazzo Matignon, si fa strada l’ipotesi del socialista Pierre Moscovici, presidente della Corte dei conti, che potrebbe allargare la maggioranza al centrosinistra. Altre possibilità includono Eric Lombard, attuale ministro dell’Economia giudicato vicino alla gauche ma capace di collaborare con il centrodestra, oppure Gérald Darmanin, attuale Guardasigilli, per un’opzione più spostata a destra. Tuttavia, molto dipenderà dall’appoggio esterno del Rassemblement National, che ha indurito la propria posizione e, come la France Insoumise, chiede ormai apertamente di andare alle urne.
Le conseguenze di questa crisi si estendono ben oltre i confini francesi, minacciando la stabilità dell’intera Unione Europea. Mentre la Germania esce da una recessione di due anni, con una produzione industriale ancora in calo, la Francia si trova paralizzata dall’instabilità politica e da una crisi finanziaria senza precedenti. La sfida che attende Parigi nei prossimi mesi è quella di ritrovare una stabilità politica che consenta di affrontare la crisi economica con misure concrete ed efficaci. Il piano di Bayrou da 44 miliardi di euro di tagli e aumenti fiscali rappresentava un tentativo di riportare il deficit dal 5,5% del PIL atteso nel 2025 al 4,6% nel 2026, ma la sua caduta rimette tutto in discussione.
Il prossimo governo dovrà trovare il coraggio di affrontare riforme strutturali che la Francia rimanda da troppo tempo, pena il rischio di trasformare definitivamente il Paese nel vero “malato d’Europa” del XXI secolo.