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Giustizia, l’inchiesta: chi sono i quattro “marziani” del Sì con la toga

Una nostra inchiesta prende in esame la posizione di quattro illustri magistrati che si dichiarano a favore della separazione delle carriere

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Sfidano i pregiudizi dei colleghi e di gran parte dell’opinione pubblica. Resistono ai “condizionamenti ambientali” che imporrebbero loro di non prendere posizione su quella che potrebbe essere una “rivoluzione copernicana” per i tribunali italiani. Non indietreggiano davanti a chi tenta di farli apparire come un corpo estraneo alla categoria soltanto perché hanno deciso di aderire a una legge promossa dal governo di centrodestra e sostenuta dagli avvocati. I magistrati favorevoli alla riforma della giustizia ci sono. Esistono. E, anche se qualcuno li presenta come “marziani con la toga”, sono decisi a portare avanti le ragioni del Sì al referendum che si celebrerà nei prossimi mesi.

I ‘marziani’ Luigi Bobbio e Paolo Itri

Non è facile trovare toghe disposte a metterci la faccia e a esprimersi apertamente a favore della riforma. Di questa ristretta cerchia fa parte Luigi Bobbio, oggi giudice civile presso il Tribunale di Nocera Inferiore ma con un passato da pm anticamorra e da componente della Commissione Giustizia del Senato.

«I colleghi favorevoli alla riforma non sono pochi e sono convinto che in futuro qualcuno verrà fuori – spiega Bobbio, tra i fondatori del comitato per il sì al referendum promosso dalla Fondazione Einaudi – Molti vivono la situazione attuale come una camicia di forza dalla quale, con la riforma della giustizia, hanno la possibilità di liberarsi»

Ma perché tanti magistrati preferiscono restare nel cono d’ombra anziché scendere in campo per la riforma della giustizia?

«C’è chi non si esprime nel timore di essere penalizzato nella carriera o espulso da quel circuito che assicura protezione e chance di avanzamento professionale», dice senza mezzi termini Paolo Itri, presidente di sezione della Corte di giustizia tributaria di Napoli ma con un passato nell’Antimafia napoletana e in quella nazionale.

Itri può essere considerato un “cane sciolto”: inizialmente iscritto alla corrente di Magistratura Indipendente, ne è successivamente uscito e per poi dire addio anche all’Anm.

E non ha esitazioni nel sostenere che «a minacciare la magistratura non è la politica né la riforma oggetto del prossimo referendum, ma sono le proprio le correnti». Ed è proprio l’appartenenza a queste ultime a impedire a numerosi magistrati di dichiararsi apertamente a favore del sì: «Se lo schieramento che sostiene un determinato giudice o pm assume un certo indirizzo – esemplifica Itri – quello stesso giudice o pm non sarà libero di assumere una posizione diversa. Per quanto mi riguarda, d’altra parte, in carriera ho ricevuto pressioni e problemi non dalla politica ma solo ed esclusivamente dalle correnti».

I marziani Vitaliano Esposito e Costanzo Cea

La principale novità introdotta dalla riforma è la separazione delle carriere tra pm e giudici che tra i suoi sostenitori annovera senz’altro Vitaliano Esposito, tra il 2008 e il 2012 procuratore generale di Cassazione.

Proprio in quel periodo, precisamente nel 2011, Esposito fu audito dalla Commissione Giustizia della Camera davanti alla quale si proclamò apertamente favorevole alla separazione delle carriere.

«Già allora – racconta l’altro magistrato, pronto a votare sì al referendum – sostenni la necessità di questa riforma, pur evidenziando il pericolo di un ulteriore ed eccessivo rafforzamento del potere del pm che già ora rappresenta un elemento di destabilizzazione del sistema. Eppure il mio intervento non fu oggetto di alcun commento. Anzi, parte della stampa mi indicò come contrario alla riforma, stravolgendo completamente la mia posizione».

Se Esposito è un sostenitore della separazione delle carriere fin dalla prima ora, Costanzo Cea racconta di esserlo diventato «col tempo, con l’esperienza e non senza sofferenza». Il magistrato pugliese, sempre estraneo alle correnti, ha svolto le funzioni sia di pm sia di giudice penale, per poi concludere la carriera da presidente di sezione del Tribunale civile di Bari.

E, pur avendo militato nel Partito comunista italiano, non prova alcun imbarazzo nel sostenere la riforma varata dal governo di centrodestra di Giorgia Meloni: «Resto di sinistra, ma sono portatore sano di liberalismo. E non posso non riconoscere come la separazione delle carriere segni una svolta decisiva per l’abbandono del processo inquisitorio, di matrice fascista, e la realizzazione del modello accusatorio, in linea con la nostra Costituzione. La terzietà del giudice, d’altra parte, può essere garantita solo attribuendo uguale peso al pm e al giudice».

A sostegno della sua tesi, Cea ricorda l’episodio del bigliettino trovato da un avvocato nel fascicolo d’indagine di un filone dell’inchiesta Mani Pulite, in cui un gip avrebbe suggerito al pm di cambiare capo d’imputazione perché, in caso contrario, non avrebbe potuto ordinare la custodia cautelare per un indagato.

«Da quando è emersa questa vicenda – precisa Cea – sono diventato un fautore della separazione delle carriere. Non è ammissibile che il pm di fatto “scelga” il gip davanti al quale depositare gli atti. E non è ammissibile una corrispondenza tra pm e gip come quella emersa a proposito di Mani Pulite. Anche perché queste possibilità sono del tutto precluse all’avvocato. Perciò va spezzata la contiguità fisica tra pm e gip».

Oltre gli episodi come quello ricordato da Cea, sono i numeri a testimoniare la necessità di separare le carriere di pm e giudice.

Secondo i dati diffusi dal Ministero della Giustizia in risposta a un’interrogazione presentata dal deputato Enrico Costa, i gip accolgono le richieste di intercettazione presentate dal pm nel 94% dei casi; quelle di proroga delle intercettazioni nel 99%; quelle di proroga delle indagini preliminari nell’85%. Il gup, invece, accoglie le richieste di rinvio al giudizio presentate dal pm in nove casi su dieci.

Di fronte a questi numeri, non meraviglia che Bobbio parli della separazione delle carriere come di una «riforma di civiltà giuridica»: «La comunanza tra pm e gip è antiestetica dal punto di vista costituzionale. Poco importa che, per percepire i primi effetti della separazione delle carriere, dovranno trascorrere almeno due generazioni di magistrati. E poco importa che ci siano ancora casi di gip che non accolgono pedissequamente le richieste del pm.

Oggi le due figure condividono la formazione e soprattutto l’ottica colpevolista, il che non offre sufficienti garanzie a indagati e imputati». Anche Itri si dice «ampiamente favorevole» alla separazione delle carriere in considerazione del fatto che «ciò che poteva funzionare 80 anni fa, in epoca fascista, non può funzionare anche oggi, in un ordinamento democratico regolato dalla Costituzione».

Il sorteggio del Csm

Ma l’aspetto della riforma che più di ogni altro angoscia la corporazione giudiziaria è il sorteggio dei componenti laici e togati del Csm. Secondo i fautori della riforma Nordio, l’affidamento alla casualità dovrebbe segnare la fine dello strapotere delle correnti interne alla magistratura associata, cioè la moderata Magistratura Indipendente, la centrista Unità per la Costituzione e quella di sinistra di Area che riunisce Magistratura Democratica e Movimento per la giustizia.

È proprio sugli accordi sottobanco tra le correnti, d’altra parte, che si regge quel Sistema incarnato e poi denunciato dall’ex pm Luca Palamara e di cui molti magistrati sono stati vittime. Non fa eccezione Vitaliano Esposito, che il Sistema aveva tentato di estromettere dalla corsa alla carica di procuratore generale aggiunto di Cassazione e che successivamente ha ottenuto quella di pg «solo in virtù di una congiuntura favorevole e di un clamoroso autogol» di chi gli era contrapposto («magistrato di indubbio valore e professionalità», precisa). «Il sorteggio è un male necessario – osserva ora Esposito – per fermare le correnti che sono la degenerazione della magistratura».

La pensa allo stesso modo Costanzo Cea, altra vittima illustre del Sistema. Nel 1998 il giudice barese era candidato al Csm come indipendente di Magistratura Democratica, ma non centrò l’obiettivo dell’elezione: «Un giorno un amico chiese il voto a un altro collega. La risposta? “Cea? Davanti al Csm non ci aiuterebbe, quindi non posso votarlo”. Questo perché, nell’attuale impostazione, i magistrati non fanno carriera se non col supporto e la protezione della corrente di appartenenza».

A sostegno del sorteggio, Cea fa riferimento alle statistiche relative alla valutazione di professionalità dei magistrati, risultate negative in soli 48 casi su circa 7mila: «I numeri ci dicono che giudici e pm italiani sono tutti preparatissimi, praticamente infallibili. Allora perché temono che sia il caso, e non più le correnti, a decidere chi debba sedere nel Csm?

E perché temono l’Alta Corte, con la quale si porrebbe fine a quella situazione per la quale uno stesso illecito può costare il carcere al comune cittadino e non più di una sospensione al magistrato?». Anche Itri è stato vittima delle stesse logiche spartitorie tra correnti che il sorteggio intende spazzare via. Non a caso, prima di essere nominato sostituto procuratore nazionale antimafia, il magistrato napoletano ha dovuto vincere due ricorsi alla giustizia amministrativa.

«Il percorso professionale dei magistrati è stato gestito per anni in modo illegale da un sistema di potere occulto – attacca Itri – Lo stesso Giovanni Falcone fu ostacolato nel proposito di diventare consigliere istruttore del Tribunale di Palermo dagli stessi che oggi ne vorrebbero fare un oppositore della riforma. Quindi ben venga il sorteggio che, eliminando la base elettiva del Csm, spezza quel legame tra elettore ed eletto che mina dall’interno l’indipendenza di ciascun giudice o pm».

Chi crede che il sorteggio riguardi soltanto le toghe, però, si sbaglia. Liberare i magistrati dal giogo delle correnti, infatti, rappresenta una garanzia per i cittadini. Sul punto Bobbio e Itri la pensano allo stesso modo: «Il sorteggio è lo strumento giusto per comporre il Csm al di fuori della forza delle correnti, ma anche per offrire al cittadino la garanzia che i ruoli di vertice degli uffici giudiziari siano più affidati non più a “raccomandati”, scelti in base alla mera appartenenza ideologica, ma a soggetti titolati, professionali ed esperti, selezionati in base a criteri più oggettivi».

Lo scontro tra Anm e governo

In attesa che gli elettori si pronuncino, sulla riforma della giustizia si sviluppa un dibattito particolarmente acceso. Che, nelle scorse ore, ha visto l’Anm fare quadrato intorno al procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, criticato per aver letto in televisione una falsa intervista di Giovanni Falcone contro la separazione delle carriere. In una nota il sindacato dei magistrati definisce «ingiustificati» gli attacchi al capo dei pm partenopei, sottolineando come il suo «contributo tecnico al dibattito pubblico» abbia «l’unico scopo di fornire ai cittadini elementi utili in vista del voto referendario». Il comunicato dell’Anm, però, non basta a mettere Gratteri al riparo da ulteriori critiche: «Il procuratore di Napoli gode di ottima stampa e solo di quella che ignora i suoi risultati – attacca Bobbio – Si muove solo in promozione di se stesso, alimentando il culto della sua personalità in trasmissioni televisive in cui pontifica senza contraddittorio».

Ecco perché il giudice del Tribunale di Nocera Inferiore sfida Gratteri e si dice «pronto a un confronto diretto con lui sulla riforma della giustizia», ma non prima di infliggere l’ennesima stoccata al sindacato delle toghe: «Sulla riforma della giustizia l’Anm ha intrapreso una battaglia per la sua stessa esistenza. L’attacco della magistratura associata a una riforma varata dal Parlamento non è altro che il tentativo di difendere spazi di potere acquisiti nel corso del tempo che, con l’introduzione del sorteggio e dell’Alta Corte disciplinare, sarebbero cancellati. Con la vittoria del sì, sparirà anche l’Anm».

Ciò che fa discutere è la posizione assunta dal sindacato dei magistrati contro la riforma e la sua tendenza a fare fronte comune con le forze parlamentari di centrosinistra. La domanda, a questo punto, sorge spontanea: è opportuno che l’Anm svolga un ruolo così marcatamente politico, finendo per “appannare” l’imparzialità che dovrebbe caratterizzare i suoi associati?

«L’Anm sta dimostrando una netta tendenza al conservatorismo – ammonisce Itri – Prendendo le parti del no al referendum, l’associazione sposa e si fa portavoce delle istanze di un preciso schieramento politico. E questo non è accettabile». C’è poi chi, come Cea, contesta «l’incultura e la tendenza a discutere per slogan» che caratterizzano parte non solo della magistratura ma anche della politica e del giornalismo. Un esempio riguarda, ancora una volta, il tema del sorteggio: un argomento utilizzato dai sostenitori del no è il fatto che a questo nuovo metodo di composizione del Csm fossero favorevoli Giorgio Almirante, storico segretario del Movimento sociale italiano considerato prosecutore della dottrina fascista, e Licio Gelli, leader della loggia massonica P2 al centro di quasi tutte le trame oscure che hanno tormentato la Prima Repubblica.

«È un argomento che non coglie nel segno – sottolinea Cea – Sono e resto un uomo di sinistra, ma non basta il riferimento ad Almirante o Gelli per demolire in me la convinzione della necessità di liberare il Csm dalle correnti. Bisognerebbe confrontarsi sui principi e valori della giustizia anziché trincerarsi dietro il riferimento a certi personaggi».

Altro esempio è il dibattito sull’articolo 104 della Costituzione sull’autonomia e indipendenza della magistratura. La riforma Nordio non lo modifica in alcun modo, limitandosi a precisare che la magistratura «è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente».

Eppure i sostenitori del no si ostinano a paventare il rischio di una sottomissione delle toghe al potere esecutivo. «Il nuovo testo dell’articolo 104 è ancora più chiaro e garantista di quello messo nero su bianco dai Costituenti – conclude Cea – Altro che attentato all’autonomia e all’indipendenza». Insomma, contro la riforma della giustizia c’è chi combatte una guerra di religione destinata a sfociare inevitabilmente nel fondamentalismo, con conseguenze devastanti in termini di mistificazione e banalizzazione del dibattito pubblico.

Di qui l’appello dell’ex pg Esposito:

«Il dialogo è indispensabile perché alimenta la partecipazione che a sua volta è necessaria perché una democrazia si mantenga in buona salute. L’Anm farebbe bene a confrontarsi nel merito, evitando chiusure corporative».

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