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José Obdulio Gaviria: «Oggi in Sudamerica rinasce la democrazia»

Il politico e intellettuale colombiano riflette sulle origini dei regimi e della criminalità sudamericani e sulla reazione ora in atto

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José Obdulio Gaviria è uno dei più combattivi intellettuali colombiani. La sua biografia è un racconto dell’America latina contemporanea. Giovanissimo, fu un leader dell’estrema sinistra colombiana, mentre la sua città, Medellin, era devastata dalla guerra del narcotraffico, che coinvolse la sua famiglia.

Invece Gaviria restò fermo nel condannarlo e combatterlo. Negli anni Novanta, come molti intellettuali latini, a partire da Mario Vargas Llosa, diventò un liberale convinto, ostile a tutti i progetti autoritari e violenti del continente.

Negli anni Duemila, fu una delle menti politiche e culturali della sconfitta della violenza in Colombia, durante la presidenza di Alvaro Uribe Velez. Successivamente ha contestato gli accordi con la guerriglia del presidente Santos, si è duramente opposto alla vicinanza alle dittature di Cuba e Venezuela dell’attuale presidente Gustavo Petro. Oggi è una voce controcorrente, aggressiva e provocatoria del continente.

José Obdulio Gaviria

Iniziamo dall’America Latina: spesso agli europei sembra ancora un mondo da Realismo Magico, in altri casi ferma alla Guerra fredda. Invece è parte dell’Occidente dinamico, aggressivo e conflittuale?

JOG: «In politica, l’America Latina non è realismo magico. Era intrappolata, sì, dagli immaginari della Guerra Fredda. Europa e Asia saldarono largamente i conti con il marxismo-leninismo tra il 1989 e il 1991. Nella nostra regione il Forum di San Paolo, fondato dal Partito Comunista di Cuba e dal PT del Brasile, reagì promuovendo una nuova Internazionale regionale, per difendersi, e sopravvissero senza fare quei conti.

Questo progetto ha portato al potere governi marxisti o alleati o vicini in Venezuela (1999), Brasile e Argentina (2003), Uruguay (2005), Bolivia (2006), Ecuador (2007), Paraguay 2009, Cile (2021), Perù e Colombia (2022). Questa distopia, che ha sacrificato generazioni in Europa e in Asia, ha fatto precipitare la regione in un ciclo di statalismo, regolamenti, espropriazioni e tasse. Tuttavia, questo ciclo si sta esaurendo. L‘America Latina è pronta a integrarsi in un Occidente dinamico, con leader (pur diversi) come Milei in Argentina, Noboa in Ecuador, Katz in Cile, María Corina Machado in Venezuela e l’Uribismo in Colombia, tutti sulla linea del liberalismo e del mercato».

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Quali sono le grandi fratture, le novità e le opportunità del continente nel XXI secolo? Chi i protagonisti e gli attori internazionali?

JOG: «Il Forum di San Paolo ha lasciato un continente nel caos. Le sue politiche socialiste (Cepalinas della CEPAL) distrussero economie come quelle di Argentina, Ecuador e ora Colombia. Il Messico si trova ad affrontare il caos politico a causa dell’invasione dei cartelli del narcotraffico, mentre in Venezuela sono emersi i due gruppi criminali più potenti del momento: il Cartel de los Sole e il Tren ei Aragua. Tuttavia, un’ondata liberale sta trasformando la regione.

La vittoria elettorale di Javier Milei in Argentina, Daniel Noboa in Ecuador e Luis Paz in Bolivia rappresenta una reazione impressionante contro lo statalismo. Questa battaglia culturale, visibile nelle elezioni che sono vere e proprie competizioni ideologiche (che non esistono in Europa con questa nettezza), sta guadagnando terreno. Tra i principali attori internazionali figurano gli Stati Uniti, che sostengono la lotta al traffico di droga, e la maggior parte dei paesi europei, con l’ovvia eccezione della Spagna, il cui governo è in grande difficoltà con Maduro e gli altri regimi del Forum».

In America latina, a differenza che in Europa, il marxismo è sopravvissuto, si è rinnovato e riverniciato? Come è stato possibile? Cosa è il Foro de Sao Paulo?

JOG: «Il marxismo in America Latina non solo sopravvisse, ma fu rivitalizzato: come abbiamo anticipato, il Forum di San Paolo, un’Internazionale radicale, con settori comunisti e altri populisti, fondata nel 1990 da Fidel Castro e dal PT del Brasile. Mentre il mondo seppelliva il marxismo dopo la caduta del muro di Berlino, il Forum cercò di mantenere viva questa ideologia, promuovendo governi socialisti nella regione. Il suo successo fu dovuto alla combinazione di narrazioni populiste, controllo delle risorse statali e sostegno da parte di Cuba, che esportò il suo modello autoritario. Tuttavia, il suo declino è evidente: le politiche del Forum hanno generato paurose crisi economiche e sociali e la resistenza liberale si sta rafforzando in quasi tutti i Paesi».

I protagonisti sono stati due Fidel Castro e Hugo Chavez, ma gli alleati tanti. Quali sono stati i loro punti di forza? E i loro veri obiettivi?

JOG: «Fidel Castro e Hugo Chávez svilupparono un discorso populista che predicava la giustizia sociale attraverso la distribuzione di una ricchezza inesistente che, a loro dire, era nelle mani dell’oligarchia. A tutto ciò si aggiunse un’ondata di xenofobia mascherata da antimperialismo. Proposero il controllo delle risorse strategiche (come petrolio e minerali) e crearono reti internazionali attorno al Forum di San Paolo e al sostegno degli alleati della sinistra mondiale. Il suo vero obiettivo non era il benessere sociale, ma la perpetuazione di un modello autoritario che combinava il marxismo-leninismo con il populismo, sacrificando nel processo le libertà individuali e le economie nazionali. Di fatto, i paesi governati dai partiti del Forum hanno distrutto le loro economie e l’egualitarismo si è diffuso: tutti sono poveri».

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Ora in America latina si scontrano forze potenti, ma anche con profili ideologici più marcati e combattivi che in Europa, può presentarci le linee generali?

JOG: «In America Latina la lotta è tra il socialismo del Forum di San Paolo e un liberalismo in ripresa. Un chiaro esempio è il Cile, dove un’Assemblea Costituente dominata da idee del Forum, ispirate all’estrema sinistra spagnola come Íñigo Errejón e il suo concetto di “Stati Multinazionali”, è stata respinta in un plebiscito guidato da José Antonio Kast e dal Partito Repubblicano. Anche le idee interventiste di economisti come Alfredo Serrano, legati a Podemos, sono state sconfitte. Le elezioni sono diventate forum pedagogici in cui il neomarxismo, il wokismo e la politica queer vengono affrontati e sconfitti sia nel mondo accademico che in quello politico, con un pensiero liberale molto forte, forse più che in Europa».

Passiamo alla Colombia. Un paese con élite politiche ed intellettuali di livello globale, una società dinamica, ma anche una tradizione di violenza e di conflitto armato. Perché?

JOG: «La violenza in Colombia ha una chiara origine: il movimento comunista internazionale. Dopo la Rivoluzione cubana, che presto si allineò al marxismo-leninismo, Mosca, L’Avana e Pechino promossero rispettivamente guerriglieri come le FARC, l’ELN e l’EPL. Non si trattava di movimenti di liberazione, come veniva romanticizzato in Europa, ma di bande settarie e criminali. Milton Hernández, dell’ELN, Álvaro Delgado, del Partito Comunista e Sergio Cabrera, protagonista di un romanzo di Juan Gabriel Vásquez, hanno documentato come queste guerriglie fossero decisioni volontaristiche, non delle risposte a “cause oggettive”. Finanziate dai rapimenti e, a partire dagli anni ’80, dal narcotraffico, queste organizzazioni sono diventate cartelli. Oggi i guerriglieri sopravvissuti sono semplici bande di narcotrafficanti».

Cosa è stata la guerriglia colombiana? Perché è stata la più longeva e forte dell’America latina? Come ha governato il narco traffico?

JOG: «La guerriglia colombiana (FARC, ELN, EPL) è stata creata dal movimento comunista internazionale, con il sostegno di Cuba, URSS e Cina. La longevità è dovuta alla natura, al radicamento nella giungla più irraggiungibile, al finanziamento con i rapimenti di massa e, a partire dagli anni ’80, alla sua integrazione nel traffico di droga. Le FARC, ad esempio, controllavano rotte e raccolti, diventando un cartello di dimensioni globali con una facciata ideologica. La loro forza risiedeva nella geografia colombiana, che consentiva loro di operare in aree remote, e nel supporto logistico delle reti comuniste internazionali. Nel XXI secolo, l’alleanza tra il chavismo e la guerriglia colombiana ha conferito loro il duplice status di cartello del narcotraffico in Colombia e di bande paramilitari in Venezuela, ma senza nessuna simpatia o consenso popolare. Quando la struttura politica centrale delle FARC si smobilitò e fu loro concessa la totale impunità, il loro voto per il Senato non raggiunse nemmeno l’1% dei voti totali».

Lei ha partecipato a una vera e propria rivoluzione politica in Colombia, la presidenza di Alvaro Uribe Velez. Ne tratteggia gli aspetti più dinamici e importanti?

JOG: «La presidenza di Álvaro Uribe (2002-2010) ha segnato una rivoluzione basata su una mano ferma, non dura, che ha gettato le basi per sconfiggere le FARC, l’ELN e smobilitare le AUC attraverso la loro resa. Uribe attuò un’economia liberale: snellì lo Stato, ridusse il deficit fiscale, promosse concessioni per i lavori pubblici, la sicurezza giuridica, abbassò le tasse e firmò accordi di libero scambio. Queste politiche furono così popolari che la Colombia rielesse con entusiasmo Uribe. Tuttavia, il suo successore, Juan Manuel Santos, tradì questa eredità co-governando con rappresentanti legalizzati della guerriglia».

Come sono stati sconfitti guerriglieri, paramilitari, cartelli, come si è vinta la guerra? Quale è stato il ruolo del Plan Colombia e degli USA?

JOG: «La sconfitta della guerriglia, dei paramilitari e dei cartelli è stata ottenuta con leadership, volontà politica e azione determinata. Álvaro Uribe entusiasmò la popolazione e le Forze Armate, eliminando il linguaggio compiacente del “dialogo” o della “soluzione negoziata”. La sua dedizione alla macro e microgestione ha rafforzato la sicurezza. Plan Colombia, con il sostegno degli Stati Uniti, ha fornito risorse, formazione e tecnologia, ma la chiave è stata la determinazione interna. Le FARC vennero indebolite militarmente, le AUC smobilitate e i cartelli sconfitti. È stata una vittoria per fermezza e chiarezza strategica».

Oggi in America Latina sono presenti discorsi aggressivi e ideologicamente estremi. Il presidente colombiano, Gustavo Petro ne è forse tra le maggiori espressioni? Oggi è sotto il durissimo attacco del presidente Trump.

JOG: «Gustavo Petro incarna un’espressione degenerata della politica: un marxismo ottocentesco combinato con comportamenti anti-leader, rapporti con l’“asse del male” (Hamas, Iran, Cuba, Maduro) e un governo di concorrenza zero e corruzione generalizzata. Il suo stile, caratterizzato dalla mancanza di rispetto per le forme e dalla retorica divisiva, rappresenta il peggio del populismo socialista che ha danneggiato la Colombia e la regione».

Invece negli ultimi anni c’è stato una sorprendente rinascita del pensiero liberale e di quello conservatore in America Latina, un fenomeno superiore e molto diverso dall’Europa e da alcuni suoi populismi. Quali sono i punti forti?

JOG: «Il pensiero liberale in America Latina sta fiorendo grazie ai think tank, ai dibattiti sui media e sui social network e a una lotta vittoriosa nel mondo accademico e nei partiti. Leader come Milei e Noboa dimostrano che le idee di libertà trovano riscontro nelle persone stanche dello statalismo. Elezioni e dibattiti pubblici stanno consolidando un progetto politico innovatore per questi partiti liberali, che difendono il libero mercato, la sicurezza giuridica e la riduzione dello Stato».

Maduro è cosiderato il capo del Cartel de Los Soles dalla giustizia americana e da molte altre. Quali sono i rapporti tra questa sinistra estrema e il narco traffico? Quali sono gli obiettivi di Trump su questo terreno

JOG: «Il Cartello de los Soles, guidato da Nicolás Maduro, è oramai ampiamente documentato. Le testimonianze di ex membri della leadership venezuelana hanno rivelato la sua struttura, che combina il controllo statale con il traffico di droga. Come nell’Europa orientale postcomunista, il regime venezuelano divenne una satrapia corrotta, arricchendo i suoi leader e impoverendo il popolo. Trump ha cercato di sanzionare e smantellare queste reti, dando priorità alla lotta contro il traffico di droga e sostenendo il ripristino della democrazia in Venezuela. La decisione di Trump, l’assegnazione del Premio Nobel a María Corina e la recente vittoria alle urne di Vente Venezuela prevedono un cambio di regime tra pochi giorni».

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Come si rapporta l’America Latina alla sfida globale tra democrazia e autocrazia? Quali saranno le prossime sfide?

JOG: «Paradossalmente, le satrapie socialiste del Forum di San Paolo prepararono il terreno per una rinascita democratica. Il popolo latinoamericano, stufo dell’autoritarismo e delle crisi economiche, elegge leader liberali alle urne. La sfida è consolidare queste democrazie, rafforzare le istituzioni e sconfiggere le reti criminali legate al traffico di droga e al socialismo autoritario. L’America Latina si trova a un punto di svolta, con l’opportunità di integrarsi pienamente nell’Occidente democratico».

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