La sfida tra Sinner e Alcaraz fa registrare picchi di share più elevati della deludente partita la Nazionale di Gattuso e quella norvegese
Il berretto rosso di Sinner poté più dell’elmo di Scipio: l’Italia chiamò e risposero, stando alle rilevazioni dell’auditel nella nuova tendenza della “total audience”, che mette insieme tv generaliste, network a pagamento e gadget sfusi, oltre 7 milioni di spettatori, che ricalcolati in share danno una percentuale di 36,6, maggiore del 34 della Nazionale di calcio.
I tifosi vip
Tutti affollati sulla racchetta del vincitore, che quando vince, il che gli capita per sua e italiana fortuna spesso (che poi non “gli capita”: l’ha costruita punto a punto, lasciando da adolescente sci e canederli però mai dimenticandoli), diventa meno austriaco e più italiano e chissenefrega se quando s’affaccia al balcone di casa non vede le malghe della Val Pusteria ma i grattacieli che hanno rubato terra al mare di Montecarlo.
Anche Bruno Vespa, che prese lucciole per lanterne e Alcaraz per Alvarez, s’è unito alla maggioranza (succede nel Belpaese…, chi non salta qualcos’altro è…): “È più forte di me: sto tifando Sinner…” ha fatto sapere in diretta ai suoi followers, che però l’hanno forse saputo dopo giacché anche loro (ne risultano 207.000 sul fu Twitter e adesso X) guardavano Jannik Sinner.
Italia-Norvegia
Anche Lele Adani sarà stato del 36,6 per cento, seguendo i commenti ora sornioni ora tecnici, ma sempre centratissimi di Adriano Panatta. Chissà se proprio in quelle circostanze allo spiegazionista Adani è venuta la battuta che avrebbe sciorinato di lì a poco in veste di commentatore tecnico:
“Ehi, Erling, adesso lo conosci Pio?” infelicemente indirizzato ad Haaland, calciatore norvegese che fa più gol che non partite (e le fa tutte…), il quale alla vigilia di Italia-Norvegia aveva detto di non conoscere l’azzurro fresco Pio Esposito ed aveva aggiunto, buttando le mani avanti come di solito fa in area altrui con piedi, testa o quant’altro, “adesso queste parole mi si ritorceranno contro ed Esposito ce ne farà 3”.
Il primo tempo
Era una preoccupazione eccessiva, giacché il Pulcino Pio ha fatto quello e basta (ma che è tanto per l’età sua e per il calcio che siamo diventati, noi che eravamo “una squadra fortissimi, fatta di gente fantastici, e nun potimm’ perd’ e fa figur’ e mmerd’” che invece possiamo…) e per di più durante il primo tempo, quando i norvegesi in campo erano spettatori non paganti ma pagati.
Perché, diciamolo senza tanti infingimenti, l’Italia belloccia del primo tempo è stata figlia di salmonari in vacanza, la canna in mano e gli azzurri a fare i salmoni, che andavano controcorrente e se incrociavano un uomo mai che lo saltassero, che questo gesto tecnico non ci appartiene al momento. Almeno abbiamo pareggiato nel look, quando Donnarumma glitterato, con l’uniforme che somigliava al prossimo venturo albero di Natale (da fare l’8 dicembre, come da tradizione e disfare per la Befana) ha riposto all’acconciatura da bestiario del calciopardo Ryerson con la sua chioma maculata.
Il secondo tempo
Quando Haaland e compagni si sono messi a giocare, nei secondi 45 minuti, è stata la disfatta. Perciò la prossima volta non bisognerà “ripartire dal primo tempo” come s’è sentito dire, ma dal fischio d’inizio, giacché ai playoff che verranno non ci si troverà di fronte comprensivi e disinteressati sparring partners, ma avversari “avvelenati”.
Il trionfo di Sinner
Sinner, invece, l’avversario “avvelenato” lo aveva di fronte in una replica di “Jannik contro Carlitos”, che se va avanti così batterà pure le 13 mila volte record de “Il fantasma dell’opera” e oscurerà il commissario Montalbano. Il più forte e il più bravo: mescolate gli aggettivi. Alcaraz cerca il colpo che nessuno (Federer, maybe) ha mai fatto: Sinner, però, lo fa. Latino e tedesco, direbbero gli ossessionati dal luogo comune.
Il sorpasso
Resta quel sorpasso. Quando il presidente del tennis, Angelo Binaghi, lo andava vaticinando, sembrava che più che il suono del clacson (quello che c’è rimasto nelle orecchie dal capolavoro di Dino Risi) fosse la musica d’una fanfara, una fanfaronata. E invece eccolo qua. La nascita di Sinner, la crescita di Jannik, poteva essere una fortunata coincidenza astrale: ma Musetti? Berrettini? Sonego? Cobolli? Vavassori? Bolelli? Darderi? Arnaldi? Sono talmente tanti che c’è il rischio di scordarne alcuni, anche solo a fermarsi al tennis maschile (per non passare da patriarcato la Paolini, la Errani, la Cocciaretto e così via).
Due sistemi a confronto
C’è, dunque, quel che si chiamerebbe il “Sistema Italia”. Nel calcio no. Le due realtà non sono ovviamente assimilabili: due sport così diversi, già per il solo fatto d’essere l’uno individuale e l’altro di squadra, l’uno “inventato dal diavolo” per dirla con Panatta e l’altro dagli inglesi, l’uno in cui “gli stranieri” sono avversari e non vanno in campo per gloria (gloria?) delle nostre squadre di campanile.
Certo che adesso il ragazzo sogna di diventare Sinner mentre, è appena accaduto in Inghilterra, un 19enne del Manchester City Under 21, tale Han Willhoft-King, pur se promosso da Guardiola in prima squadra, si è iscritto a giurisprudenza a Oxford, ha lasciato il pallone perché “è solo una perdita di tempo”. Qui anche una perdita di partite e, non sia mai, di mondiali. Ma c’era da scusarsi? E di che? Di aver incontrato un avversario migliore? Capita, se non sei Sinner.









