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Serie A, riecco le “sette sorelle”: tra Napoli e Como solo 5 punti

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«Se n’è sagliuta, oje né, se n’è sagliuta» la squadra del Napoli, come “Funiculì, funiculà” che la cantò pure Pavarotti e la orchestrò pure Rimskij Korsakov: alla fine della giornata di Serie A il Napoli campione in carica è di nuovo primo e solo in cima. Non è un’alta vetta, ma appena il dosso di un punto e del resto non si poteva pretendere, giacché la storia della Serie A è appena alla decima puntata (a proposito: non ditelo al generale Vannacci sennò ci stampa su un altro meme).

Sta qui il fascino del campionato: un punto e poi un trio d’inseguitori (Inter, Milan e Roma) mentre s’è rifatta sotto, a “spallettate” dicono, la Juve del Luciano di ritorno che già riaccende sotto la brace il fuoco sacro e che fa calcio e poesia («Il rumore del pallone che scorre sull’erba»: poteva scriverlo Mogol e cantarlo un altro Luicio, Battisti. «Non piangere salame dai capelli verde rame», ma che vuol dire?) e stanno lì pure il Bologna e il Como, i “giochisti” contro quelli del “corto muso”.

Le sette sorelle

Colpisce, alla prima occhiata, che queste “sette sorelle” di stagione (poi c’è da mettere in conto la Lazio, come la Fiorentina che sta all’inferno, l’Atalanta che ne è alla porta e Pioli e Juric possono saltare da un momento all’altro, non in su come Duplantis, né in là come Furlani, ma ci sono milioni di ragioni che ballano con i contratti da onorare e disonorare) siano cinque le squadre che vantano azionariato straniero, fondi o altre diavolerie finanziarie, e magari presto potrebbero diventare sei perché anche la Juve, stando ai “boatos”, starebbe più di là che di qua, la Juve che fu il simbolo della Torino d’una volta e forse dell’Italia d’una volta. Resiste solo il Napoli, solo lui, solo Aurelio De Laurentiis, presidente insieme d’antico e modernissimo conio, conti in ordine, visione d’imprenditore eccetera eccetera. Un temuto cinepanettone ormai da cineteca.

I para-rigori

Poi, in questo scenario generale, tanti highlights: dicono che al mondo (cioè Inghilterra, Spagna, Francia, Germania) ci sia la rivalutazione del bomber, specie pensando a Haaland (o ad Haaland?) che fa più gol che non partite e da noi si scopre che il bomber è un desiderio e niente più e salgono alla gloria i portieri, quel lungagnone dalle braccia infinite del napoletano Milinkovic Savic che quando il rigorista guarda la porta non vede la rete tanto gliela ingombra, o il milanista Maignan che, dicono, ha “ipnotizzato” (e che è, Giucas Casella?) Dybala che forse non ha segnato perché in corso di rincorsa ha avvertito un muscolo dolorante. C’è da dire che qualche domanda si potrebbe avanzare: l’ha detto Gasperini, quando su sei ne sbagli quattro…».

Gli arbitraggi

E c’è il solito doppiopesismo da arbitri e Var, che sempre arbitro è perché non possiamo dare la colpa al tablet per quello che scriviamo. Il fallo di Bisseck, interista, su Giovane, c’è poco da discutere che il pallone andava di là, che forse non era l’ultimo uomo perché ce n’era un altro in agguato (addavenì Baffone, come si diceva tanto tempo fa) era da rosso. L’arbitro stava per estrarlo: estrazione è il termine giusto per il cartellino al lotto. Il fallo su Ranieri, Fiorentina, era da rigore. Ed è l’eterna discussione che eventi in fotocopia abbiano decisioni differenti. È quel che diceva, in altro campo, Andreotti: la legge si applica ai nemici, si interpreta per gli amici? L’arbitro vede e il Var provvede, talvolta. O troppe volte? Antonio Conte, che delle questioni ben s’intende (famiglia juventina ai tempi cheera “royal”) dice che «qualcuno ha parlato e si vede», un cenno alle lamentazioni interiste di Marotta, subito tenute in buon conto. Sembrerebbe.

Le simulazioni

Piuttosto, a parte la stesura d’un protocollo che dia poco spazio alle applicazioni divergenti, c’è un suggerimento generale che si potrebbe dare: ma non siete stufi delle simulazioni d’ogni tipo? Di quando un calciatore, toccato da un buffetto sulla spalla, si porta le mani al volto e si contorce come un tarantolato, un ferito a morte? Oppure inciampa su se stesso e finge la “tranvata”? O chiede il calcio d’angolo o il fallo laterale con plateali gesti degni di Eleonora Duse la pososa quando è più che evidente, e lui lo sa benissimo, che l’ultimo tocco è stato il suo? E magari dalla panchina (vecchio modo di dire: nel calcio d’oggi è una tribunetta, tanto numerosi sono i frequentatori) s’alzano tutti gesticolando come un coro da tragedia greca: ma via, è solo una partita di calcio e, soprattutto, è solo calcio.

Addio a Galeone

Come ben sapeva quel genio ironico di Giovanni Galeone, che aveva imparato calcio dagli slavi quando erano i brasiliani d’Europa e dagli olandesi quando erano Crujyff (l’Olanda è rimasta alla lezione: è lì che in Europa si segna di più) e lo aveva poi insegnato a tipi come Allegri e Gasp, anche se il “corto muso” a volte ha l’aria di un catenaccio rivisitato. Ce n’è di che discutere al bar. E intanto il Napoli “se n’è sagliuto”. E anche Sinner l’ha fatto… E adesso coppe.

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