Le fragole e la panna hanno il sapore dolce a Wimbledon, dove sono una tradizione come il tutto bianco dell’abito da gara (il tennis che dichiara la sua verginità come la sposa, bugiardi entrambi probabilmente) e un nobile in tribuna.
A Cincinnati, città dell’Ohio, al caldo torrido di quest’estate caliente, la panna è forse inacidita e la fragola era, chissà, di quali organismi geneticamente modificati che i dazi trumpiani ci vogliono servire a tavola, insieme con altre varietà di schifezze. Fatto sta che è bastata una fragolina sulla torta (meglio la proverbiale ciliegina, dunque, o addirittura lo strudel delle parti sue) per sconquassare Jannik Sinner, il suo destino e il suo intestino di possibile campione, un altro capitolo della sua impresa dei Mille, come si chiamano i tornei ai quali, a getto continuo (ma basta pure un utilitario 500), i tennisti d’oggi sono sollecitati a partecipare.
È vero: potrebbero dire di no, ma i premi? Gli sponsor? Le televisioni? I post sui social un tanto a parola e a prodotto? Almeno è questa la spiegazione corrente per quel ciondolare per 23 minuti davanti ad Alcaraz, l’amico-nemico, mai trovato il passo giusto, quasi mai il colpo solito, la mano portata a tranquillizzare il subbuglio interno, il pallore a farsi più pallido che al paragone la luna poteva essere scambiata per un sole rosso. Poi, stremato, Sinner, sul 5 a 0 per Carlitos!, s’è buttato sulla panchina e «non sto in piedi» ha detto. Così era: non stava in piedi ed Alcaraz ha subito sussurrato «questa non conta», alludendo all’head-to-head delle sfide che sono venute e che verranno con e contro Jannik.
La spiegazione che gira è un assaggio di torta di compleanno festeggiato il giorno prima, una sola fetta, una sola fragolina, una ditata di panna che lo hanno ridotto uno straccio. Del resto bastò una ditata di pomata per farne un “sospettato” e per scatenare quelli alla Kyrgios che, non più scatenati racchetta in mano, si consolano con la tastiera. Può un assaggino fare di Jannik uno straccio? Lo lasciano credere lui e i suoi, quella girandola di gente che va e gente che viene che ovviamente proteggono la privacy. E c’è sempre una spiegazione a un ritiro sul campo: sei volte gli è successo, dicono gli statistici. Accade perché il congegno d’un campione del suo livello (il più alto) è delicatissimo: mettete un granello di sabbia in uno di quegli orologi che arricchiscono d’oro e d’esibizionismo il polso del riccone, specie se arricchito, e magari le lancette s’incepperanno, peccato per lo scippatore…
Piuttosto c’è da dire che a Cincinnati il torneo è stato la strage dei campioni, specie degli uomini: ci sarà qualcosa più delicato? Il maschio forte resiste meno della debole donna? Forse è anche perché il tennis maschile è più violento, feroce e aggressivo di quello sorridente di Jasmine Paolini… E poi si può prendere questo torneo come sintomo di quel che sta accadendo nello sport: il calendario di quasi tutte le discipline è una folla di eventi e una follia anche di ordine sanitario. Di più, di più, sempre di più: a maggior gloria dei conti in banca, degli agenti, dei procuratori, spremi il limone e taglia che è rosso… Il calcio, per dire: quella americanata del “mondiale per club” adesso stanno pensando di renderlo biennale anziché quadriennale com’è nato (ed era già di troppo), di allargarlo a 48 squadre dalle 32 originarie e perfino di affidarlo al Qatar, il che vorrebbe dire d’inverno, come la Coppa d’Africa, con quali effetti sui campionati nazionali è facile intuire.
Poi ci si lamenta degli infortuni, come vengono chiamati, quasi che la colpa fosse da attribuire a un qualche maligno che tiri il muscolo o sleghi il legamento. Le società sono tutte contente: incassano. I giocatori fingono lamentele ma incassano. Le televisioni non hanno troppo da pensare a mettere su una trasmissione che faccia audience: ci pensa lo sport, e poi le chiacchiere sullo sport, le opinioni sullo sport, le storie di sport che c’è chi ormai lo chiama “Sportify”. “Setflix” nel caso del tennis. Se poi fosse “sexflix” ancora meglio: è quello che sta succedendo a New York, dove hanno reinventato il doppio misto, un torneo delle stelle (manco Milly Carlucci ci sarebbe riuscita, o forse lei sì) “accoppiando” uomini e donne, come si fa in tv, in quel format che adesso si chiama “Temptation Island”, ma che cominciò come “Vero Amore” ripreso da “Fede Cieca” in Olanda, coppie che si formano e sformano, la realtà trasformata in reality, che non è la stessa cosa naturalmente. Regole nuove, set più corti, tiebreak “a schiovere”, coppie combinate come una volta usavano le Reali Case a fini politici, bella o brutta che fosse la principessa, azzurro o arcobaleno che fosse il principe.
Qui il fine è la cassetta, di chi gioca, di chi sfrutta, di chi organizza, di chi trasmette. Il falò è la rete: “net, first service”. E se poi ci si mette una fragolina di traverso, pazienza. L’importante è la torta: da dividere… Tanto, poi, sul mercato selvaggio (questo è di calcio, solo a titolo di esempio) bastano due scampoli di partita giocati tra il 23 giugno e il 18 agosto per far salire il valore (la valenza?) di un ragazzo, da 6,5 milioni a 17,5. Accadde a Zalewski fra il riscatto dell’Inter e la vendita all’Atalanta: quando si dice “le leggi del mercato”…