Lolita si dà allo sport: una nuova perversione? E poi non ci si dà lei, ma piuttosto la accompagnano (obbligano?) i giochi degli adulti. Del resto anche la Lolita letteraria, la creatura di Vladimir Nabokov, che andò in stampa settant’anni fa, quando il mondo era ancor più bigotto, non aveva perversioni di suo, ma anche quelle erano indotte; sbottò lo scrittore in una celebre intervista: “Lolita non è una ragazzina perversa, è una povera bambina che viene corrotta e i cui sensi non si risvegliano mai sotto le carezze del lurido Humbert”.
Lolita aveva 12 anni, quanti la cinese Yu Zidi che ha appena nuotato ai mondiali di Singapore, quanti ne ha Kelia Mehani Gallina, la bambina di Tahiti che sta per surfare fra i giganti di questo sport e sulle gigantesche onde di Teahupo’o, laggiù nel paradiso della Polinesia, onde che solo a immaginarle come sono, alte più di 7 metri, ti mettono i brividi e spaventerebbero perfino “Mondo” Duplantis, l’uomo volante che, complice l’asta, sale già verso i 6,30.
È una nuova frontiera dello sport? Si sa che stiamo correndo incontro ai gusti delle varie generazioni identificate da una lettera (X, Y, Z e, finito l’alfabeto nostro Alpha, che dà perfino un tono “spaziale” da far l’occhiolino a Elon Musk), mettendo nel palinsesto discipline nuove e che parlino ai tiktokers e agli youtubers, più dell’”in guardia” della cavalleresca scherma, per dirne uno, o perfino della tradizionale lotta, che fu sport olimpico tra i primi ai tempi dell’antica Grecia e che ogni tanto qualche rottamatore armato di presunto modernismo vorrebbe cancellare dal programma.
È così che sono arrivati al rango olimpico lo skate, la Bmx (E.T., do you remember?), il surf, la street dance e che hanno portato una ventata di fresca adolescenza. A Tokyo olimpica — post Covid, 2021 — le ragazze sul podio dello skate, disciplina street, avevano 13 anni le prime due – la giapponese Momiji Nishiya e la brasiliana Rysa Leal – e 16 la terza – giapponese anch’essa, Fune Nakayama, il che portava la somma sul podio a ben meno dei 66 anni che, da sola, aveva la cavallerizza australiana, Mary Hanna, una nonna. Si dirà che in fondo che c’è di strano? Nel dréssage, la specialità di nonna Mary, la fatica la fanno i cavalli… A Parigi 2024 hanno giocato al ribasso: la skater cinese, Zheng Haohao, di anni ne aveva soltanto 11.
Ma torniamo all’oggi e a Yu Zidi e Kelia. Yu Zidi fu adocchiata quando, a quattro o cinque anni, sguazzava felice in un parco acquatico. Un ricercatore di talenti la prese subito (sono cose che niente hanno a che vedere con il lurido Humbert, chiariamolo dall’inizio) e la portò in uno di quei misteriosi e riservatissimi luoghi dove in Cina fabbricano campioni, specie d’acqua. Del resto fu Mao Tse Tung ad indicare la via, nuotando ai suoi tempi, nel Fiume Giallo… Kelia, alla stessa età, è stata issata sulla tavola da suo padre Ryan, surfista anche lui, e adesso sui social è conosciuta con l’account di “misstehaupooo”.
Ryan è hawayano, la madre di Kelia è tahitiana, e bastano queste origini a spiegare la passione per le onde: «Le vediamo dalla camera da letto», ha detto l’orgoglioso papà. Quelle onde che per lungo tempo (sedici anni, dal 2006 al 2022) erano proibite per le gare femminili, giacché erano ritenute troppo pericolose per una donna. Un po’ come avveniva un secolo fa per le gare di atletica, quando le corse femminili erano limitate nella distanza ammessa, perché si riteneva che una lunga gittata sarebbe stata disturbante per la femminilità e per il destino di maternità al quale le donne dovevano dedicarsi.
Ora l’avvento di queste ragazzine, che lasciano anche in anticipo sui 14 anni che cantava Celentano la Barbie e che sostituivano i calzettoni con le calze a rete (qui c’era malizia… ma la malizia è più in chi guarda che in chi fa), propone un ripensamento delle regole. Se l’età massima non è fissata nello sport (ci pensa la natura, anche se è spostata sempre più in avanti, quasi che le lancette dell’orologio biologico fossero in rallentamento), è fissata però l’età minima. Lo fu per la ginnastica, dopo le bambine rumene a crescita frenata da chissà quali intrugli (Nadia Comaneci era precedente); lo fu per i tuffi, dopo che Fu Mingxia a meno di 14 anni volò nel cielo di Barcellona ’92 con sullo sfondo la Sagrada Familla: si riteneva che trampolino e piattaforma fossero troppo pericolosi per una adolescente.
Adesso si pensa ad una regolamentazione che eviti i buchi consentiti da quella in vigore. Perché per Yu Zidi è valsa una clausola messa lì credendo che sarebbe scattata mai. Si è fissata l’età minima ma inserendo una salvaguardia: a meno che l’atleta non ottenga tempi migliori di quelli fissati per la qualifica. Si dà il caso che è quello che aveva fatto Yu Zidi: un tempo migliore. Non era previsto il progresso, il che è piuttosto sconcertante che, come si dice, “ogni record è fatto per essere battuto” e che se un uomo corresse i 100 metri in 10.60, quale fu il record mondiale accertato per la prima volta nel 1912 (l’americano Donald Lippincott) sarebbe un “brocco” calcolando che adesso il “sub 10” è ordinaria amministrazione e che s’è corso in 9.58 (che è il record di Usain Bolt).
Ma più di queste considerazioni cronometriche, bisognerebbe approfondire il “dopo” delle Lolite o Loliti eventuali (i maschi sono più tardivi: il “monstrum”, nel senso latino di “prodigio”, è “appena” 14enne): è di tutti i giorni o quasi la notizia che, affogato dalle pressioni delle aspettative sue o dei dintorni e dalle sollecitazioni social, un campione “sbrocchi” nella depressione, chi nella bulimia o nella anoressia. Siamo proprio sicuri che la competizione spinta faccia bene al (o alla) preadolescente?