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Etica, autocritica e rispetto: ecco i segreti del “modello Sinner”

Jannik Sinner e la principessa Kate Middleton

Il campione di Wimbledon si definisce un ragazzo di 23 anni che sa giocare a tennis. Stile silenzioso, efficace. E un’enorme costanza

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Un ragazzo di 23 anni che sa giocare a tennis – così lui si definisce – non può essere né diventare l’oppio di un popolo, la fuga e la scorciatoia dal reale. Bertold Brecht quando dice «guai al popolo che ha bisogno di eroi». Infatti qui non si parla di eroi né di oppio. Jannik Sinner rifiuta i paragoni con la Storia: «Con tutto il rispetto, io penso alla mia storia che è quello di un ragazzo di 23 anni che sa giocare a tennis. Troppo poco tempo per parlare di storia. Vediamo dove arriverò».

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La sua ritrosia all’interlocuzione con gli altri tramite stampa e tv va anche spiegata con una padronanza non totale dell’italiano, dei giochi di parole e di quell’ironia che a volte servono per azzeccare la frase giusta. Arriveranno anche queste, dategli tempo. Domenica sera, ad esempio, “costretto” a partecipare al ballo dei vincitori – una cena esclusiva per tradizione offerta dai membri dell’Aeltc – e nella prospettiva di dover ballare con la campionessa Iga Swiatek ha ammesso: «Eh sì, ballare non è il mio forte, sarà dura stasera ma vedrete, troverò una soluzione anche per questo». Dicono che se la sia cavata benissimo.

Sinner e la mamma Siglinde
Sinner e la mamma Siglinde

Dunque, sgomberato il tavolo da oppio ed eroi, resta il fatto che questo ragazzo con la racchetta in mano piace, affascina, regala buon umore ed emozioni in modo molto trasversale e intergenerazionale, dai piccolissimi agli anziani, destra e sinistra, uomini e donne. A parte la solita fetta di odiatori a prescindere, Sinner è un bellissimo fenomeno che supera il campo da tennis perché in fondo nulla è più simile alla vita che una partita di tennis con le cadute, le risalite, i dubbi, le certezze, le scelte e una grande solitudine di fondo.

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Come in una partita di tennis, si possono individuare le caratteristiche del “modello” Sinner. Un modello da imitare ed esportare nella vita quotidiana e, perché no, magari anche in politica. L’etica del lavoro, ad esempio. Sinner lo ripete in maniera quasi ossessiva: «So quanto ho lavorato per arrivare fin qui e quanto dovrò farlo per restarci». Dice che è qualcosa che ha «imparato da piccolo in famiglia: tutti lavoravano e anche i piccoli, dovevano farlo, ovvero impegnarsi in quello facevano, fosse la scuola o lo sport. I miei genitori mi hanno sempre insegnato che non esistono scorciatoie».

Aveva ancora la coppa degli Championships in mano e già diceva: «Tra me e Carlos la differenza è minima. Ci sono alcune cose che lui fa meglio di me, ad esempio come gestisce i colpi nella zona della rete, ed è esattamente ciò su cui lavorerò nelle prossime settimane con il mio team». Il rispetto dell’avversario; imparare dalle sconfitte; cercare sempre di migliorarsi: le lezioni di Jannik. A cui se ne aggiunge subito un’altra: razionalità, self control, autocritica. Il ragazzo infatti sbaglia e se ne accorge. A volta, ad esempio, in alcuni approcci un po’ bruschi con la stampa o come quando, proprio durante gli Championships, è sparito un giorno intero dopo essere stato quasi eliminato da Dimitrov. «Scrivete quello che volete, non sono io il giornalista»: quella di Sinner è una sfacciata sincerità che chiede di imparare. E lo farà.

Difficile maneggiare tutto questo – soldi, fama e il tennis professionistico – a 23 anni per lo più se si è nati, come lui sottolinea ogni volta, «in un piccolo paese di montagna di duemila persone dove il passatempo è sciare».  Eppure riesce a farlo. Pensate cosa ha dovuto gestire questo ragazzo nell’ultimo anno e come lo ha fatto: otto mesi di inchiesta per doping di cui nessuno sapeva nulla; la pubblicità dell’inchiesta (Us Open 2024) e la consapevolezza che il dossier sarebbe stato difficile da gestire. «Ma so di essere innocente, lo scrivono i giudici» ha sempre ripetuto ad ogni domanda sul caso. Vero, innocente, ma responsabile anche per tutte le scelte del team. E il team aveva sbagliato.

Nel frattempo ha vinto gli Us Open, il secondo slam della sua carriera dopo il primo a Melbourne, è stato assolto in primo grado ma è stato fatto ricorso, ha vinto le Finals e la Coppa Davis, il suo secondo Australian Open. Poi gli hanno detto: «Guarda sei innocente ma la responsabilità oggettiva è tua quindi patteggia tre mesi fa e chiudiamola qua».  Ha accettato, non poteva fare diversamente.  È tornato il 5 maggio: ha giocato tre finali contro Alcaraz e ha vinto l’ultima, la più prestigiosa. «Non sono uno che piange e in quei momenti pensi tante cose, quando mi sono piegato sull’erba del Centre court ho pensato a tutto quello che è successo in questi mesi e mi sono detto che ho fatto un buon lavoro». Certo il talento e i miliardi hanno reso tutto più accettabile. Ma non più semplice.

Dedicato a tutti coloro che finiscono sulle montagne russe della vita. Ma restano in piedi, giorno dopo giorno, prova dopo prova. Il talento di mr. Sinner. Dice coach Vagnozzi: «La capacità quando entra in campo di congelare da qualche parte le cose cattive e quelle buone ma non utili a quello che sta facendo. Non è solo concentrazione: è una straordinaria capacità di controllo». Harry Potter aveva la bacchetta magica, Sinner un cappellino: «Quando lo metto, penso solo a giocare il meglio che posso». Anche per questo piace tanto a ragazzini e adolescenti. Certo, non è piacione, non fa battute, quando si allena sembra di essere in un laboratorio dove si fanno esprimenti di cinetica e dinamica. È il ragazzo che «sussurra alle montagne e ne carpisce i segreti». L’altro, Alcaraz, sorride sempre tra selfie e autografi.

È il metodo Sinner che piace e convince. Non a tutti ma a molti. E va bene così. Piacere a tutti è un brutto segno. Un “metodo” – parlare piano e poco ma poi vincere – che lo avvolge di fascino e autorevolezza.  Si può avere leadership in campo. E nella vita. Andre Agassi, che ha visto la finale dal Royal box, ha scritto: «Il tennis usa il linguaggio della vita perché ogni partita è una vita in miniatura». Peccato che nessuna autorità politica italiana fosse nel Royal box domenica a Wimbledon. C’erano i reali inglesi, padroni di casa. I reali di Spagna. L’Italia aveva l’ambasciatore. Il presidente della Fitp Angelo Binaghi sedeva al suo posto, dietro l’angolo di Sinner. Noi neppure un ministro quando Sinner ha alzato la Coppa consegnata dalla principessa Kate. 

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