Il generale Vincenzo Camporini, ex capo di stato maggiore, commenta l’attentato al generale russo e la situazione sul campo e nelle opinioni pubbliche
«Se effettivamente dietro l’attentato ci sono i servizi di Kiev, credo che Putin dovrebbe iniziare a preoccuparsi della facilità con cui gli ucraini agiscono nel cuore del territorio russo». Il generale Vincenzo Camporini, ex capo di stato maggiore della Difesa e dell’Areonautica militare, commenta così l’operazione con cui è stato ucciso Fanil Sarvarov, capo della direzione addestramento operativo dello stato maggiore russo.
Generale, che idea si è fatto dell’attentato di ieri a Mosca?
«Premesso che stiamo parlando di ipotesi e che non abbiamo ancora la certezza che dietro ci siano i servizi ucraini. Certo è un’ipotesi più di credibile, ma nulla vieta che possa trattarsi di una resa dei conti interna. Se fosse un atto ucraino, non sarebbe la prima volta che i servizi di Kiev compiono atti di questo tipo».
Uno dei primi dallo scoppio della guerra fu quello che portò alla morte della figlia dell’ideologo di Putin Alexander Dugin.
«Sì, ma anche altri generali hanno fatto la stessa fine. Se fosse un’operazione ucraina, credo comunque che Putin dovrebbe preoccuparsi della capacità di Kiev di infiltrarsi all’interno del territorio russo e nel cuore di Mosca. Pensiamo alla famosa operazione contro i bombardieri strategici russi avvenuta lo scorso giugno: anche quella dava la sensazione di una assoluta mancanza di controllo di territorio da parte di Putin».
Secondo alcuni retroscena pare che Putin ora miri agli stati baltici e abbia anticipato dal 2030 al 2027 la loro invasione. È verosimile, viste le difficoltà che sta incontrando in Ucraina?
«L’intenzione di invadere le repubbliche baltiche è stata manifestata in maniera esplicita da Putin, quando disse che voleva riprendere tutto quello che era suo. Si tratta di capire cosa intendesse con “suo”. Sicuramente le ex repubbliche appartenenti all’Urss possono rientrare in questa concezione proprietaria di quei territori».
E un’operazione militare rivolta a quei territori è fattibile?
«Oggi (ieri, ndr), la direttrice dell’intellicence nazionale americana Tulsi Gabbard lo ha smentito, dicendo che la Russia non può avere le capacità di andare oltre l’Ucraina, dove peraltro sta già incontrando notevoli difficoltà. Dal punto di vista tecnico, mi permetto di avere delle perplessità su questa lettura, perché siamo d’accordo sul fatto che l’Ucraina è un osso molto duro, ma i Baltici possono esserlo molto meno».
Perché?
«Se osserviamo la carta geografica, il confine tra la Polonia e la Lituania è una striscia di terra lunga 65 km che ha da un lato Kaliningrad, quindi territorio russo, e dall’altro la Bielorussia. Con un’operazione militare limitata la Russia potrebbe occupare quella fascia e impedire l’afflusso di rifornimenti della Nato ai paesi baltici, che hanno capacità di difesa molto limitate».
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Lei ha chiesto di essere rimosso dal comitato scientifico di Limes. Perché?
«La cosa è nata in maniera molto semplice: una dozzina di anni fa Lucio Caracciolo mi chiese di far parte di quel consiglio scientifico. Dopo di che non è successo più nulla, perché quel comitato non si è mai riunito e non ha mai davvero operato. Qualche giorno fa mi è stato fatto notare che in quella lista, oltre a nomi autorevoli, comparivano nomi di personaggi a cui preferisco non essere associato e così ho chiesto a Caracciolo di togliermi dal comitato».
C’è comunque un problema di opinione pubblica italiana e una forte rappresentanza filorussa anche nel ceto intellettuale. Come se lo spiega?
«Non voglio spiegarmelo. È una cosa che riguarda non solo il mondo della comunicazione ma anche alcuni ambienti politici, senza differenza tra destra e sinistra. Nel caso di Limes, è un fatto di approccio scientifico, nel senso che Limes ha una concezione meccanicistica della geopolitica».
Cioè?
«Si fa il conto di quanto un Paese è forte per stabilire che non può non vincere un conflitto. Ma la storia ci insegna che non basta il numero di carri armati e di aeroplani per definire l’esito di una battaglia, altrimenti la battaglia d’Inghilterra sarebbe stata vinta dai tedeschi. Invece, con riferimento proprio a quella battaglia, Churchill disse che mai così tanti hanno avuto un debito così grande verso così pochi, gli ottocento piloti della Raf. Ecco perché non condivido l’approccio meccanicistico di Limes, perché sono convinto che altri fattori siano importanti oltre alla forza militare».
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Rispetto agli altri commentatori, agli intellettuali, cosa dice?
«In almeno un caso ho assistito personalmente a della malafede. In un dibattito pubblico, ho smentito le imprecisioni che venivano dette dall’altra parte con dati alla mano, documenti, date e cifre. Costui, non avendo argomenti, non ebbe modo di replicare. Ma dopo due giorni gli ho sentito dire esattamente le stesse cose. Questo vuol dire che sei in malafede».
Interviene un certo retaggio filorusso?
«C’è gente che non ha ancora considerato finita la guerra fredda, che era sia un fatto ideologico – comunismo contro capitalismo – sia un fatto geostrategico – Mosca contro il resto del mondo. Questa simpatia per Mosca è rimasta al fondo dell’animo di molti, associata a quel pacifismo ideologico per cui è meglio non dare la priorità alla spesa per le armi».


















