Federico Conte, Il legale dell’eurodeputato dem Andrea Cozzolino coinvolto nel Qatargate, analizza l’indagine: «Mano politica dietro certe iniziative»
Dopo il fermo di Federica Mogherini per presunte irregolarità sui fondi Ue, abbiamo chiesto a Federico Conte, già parlamentare e legale di Andrea Cozzolino nel Qatargate (inchiesta che, due anni e mezzo dopo,
non si è ancora tradotta in un rinvio a giudizio e in un vero processo), se siamo di fronte a un nuovo scandalo o al ripetersi di un meccanismo giudiziario fuorviante.
«Sono due vicende diverse. Nel Qatargate si mosse la procura di Bruxelles e riguardava parlamentari europei. Nel caso Mogherini agisce la Procura di Bruges con l’Eppo. Non atti legati alla funzione politica, ma responsabilità nella gestione di un ente per la formazione con un proprio budget».
La inquietano di più le accuse o il modo di procedere della magistratura belga?
«Mi colpisce il sistema. Il Belgio ha un impianto ancora inquisitorio: lì l’arresto è l’incipit naturale dell’indagine, un atto d’impulso addirittura. Nel nostro ordinamento è collegato alle esigenze cautelari ed è l’extrema ratio».
Che cosa significa per l’indagato?
«Che in Belgio, semplificando, prima ti arrestano e poi si ragiona. E la decisione è monocratica: un giudice istruttore decide da solo. In Italia c’è un vaglio collegiale più forte sulla custodia cautelare e il contraddittorio preventivo per i reati contro la pubblica amministrazione».
(nella foto l’avvocato Federico Conte)

Nel Qatargate lei ha messo al centro il ruolo dei servizi segreti. Cosa è accaduto?
«L’indagine parte dai servizi, da intercettazioni che poi vengono girate alla procura di Bruxelles. In Italia non sarebbe possibile: per Costituzione i servizi non sono organi di polizia giudiziaria e non possono fare intercettazioni ai fini del processo. Ho contestato che ci si possa obbligare a eseguire un mandato d’arresto fondato su attività che da noi sarebbero vietate».
Per la posizione che conosce meglio, quella di Cozzolino, quanto era solida davvero l’inchiesta?
«Era totalmente friabile, evanescente. In Italia un pubblico ministero, con quel materiale, non avrebbe nemmeno chiesto l’arresto. Sono passati circa 30 mesi: non c’è ancora un processo, ma la vita politica e personale degli imputati è stata segnata in profondità. È un ordinamento giudiziario anomalo, se pensa che in Belgio esiste un meccanismo di patteggiamento che consente, semplificando, di concordare somme di denaro al posto della pena».
Un sistema che quindi favorisce i più abbienti. Però si potrebbe pensare che in Belgio almeno fanno pulizia, mentre in Italia siamo troppo morbidi.
«Se per fare pulizia devi arrestare un innocente, è meglio essere cauti. La durezza non è un valore di per sé: contano le garanzie. Un’Europa che accetta sistemi così diversi, dove i servizi segreti possono far partire indagini penali in un Paese e non potrebbero farlo in un altro, alimenta solo ingiustizie e sfiducia».
C’è qualcuno che ha interesse a screditare l’Unione europea, una “manina politica”?
«Io credo di sì. L’Europa è venuta al pettine nella sua fragilità: tensioni commerciali, guerre, l’invasione dell’Ucraina hanno fatto esplodere tutti i limiti politici dell’Unione, all’esterno e all’interno. Non abbiamo una vera difesa comune, una politica estera, una politica economica condivisa. E adesso scopriamo che abbiamo anche
un problema di giustizia. In questo quadro ci sono Stati chiaramente sovranisti che non hanno alcun interesse a che l’Europa acquisisca una dimensione politica più forte».
È il momento che l’Unione europea riscriva le sue regole sulla giustizia?
«Sì. Non possiamo fare l’Europa solo con la moneta unica e il mercato e lasciare difesa, politica estera, economia, welfare e giustizia tutti nazionali. Oggi abbiamo una giustizia “comune” di fatto, perché esiste il mandato d’arresto europeo, ma non un sistema realmente omogeneo. Un’Europa senza una giustizia comune non è una vera Unione: è un’area monetaria, non una comunità politica».
Alla fine di queste inchieste l’Europa è più pulita o più disorientata?
«Più disorientata. Il clamore del Qatargate presupponeva un processo rapido e un accertamento rapido delle responsabilità che non c’è stato. Se c’è sproporzione tra lo strepito degli arresti e l’esito delle indagini cresce solo la sfiducia. In un’Unione già fragile politicamente, queste inchieste rischiano di diventare anche strumenti di delegittimazione delle istituzioni europee».











