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Referendum giustizia, via libera della Cassazione: «Alle urne a marzo»

La corte suprema approva il quesito sul referendum. Il viceministro Sisto: “Alle urne a marzo”. Ecco come sarà il quesito

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Inizia ufficialmente il conto alla rovescia dei giorni che mancano al referendum sulla separazione delle carriere, che dovrebbe tenersi i primi di marzo, anticipando di un mese la scadenza temporale ultima del 29 marzo.

Ad avviare la ‘macchina elettorale’ è stato l’Ufficio centrale per il referendum costituito in Cassazione, che ha ammesso le richieste provenienti da maggioranza e opposizione. L’ordinanza notificata il 19 novembre verrà comunicata al presidente della Repubblica, ai presidenti delle Camere, al presidente del Consiglio e al presidente della Corte costituzionale e verrà inoltrata entro cinque giorni dal deposito, «ai delegati dei parlamentari richiedenti».

Il quesito da sottoporre, conformemente a quanto stabilito dall’art. 16 della legge n. 352 del 1970, sarà:

«Approvate il testo della legge costituzionale concernente ‘Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare’ approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 253 del 30 ottobre 2025?»

Un quesito standard e senza riferimenti specifici sulla separazione delle carriere, sul sorteggio al Csm e l’Alta Corte – come chiedeva invece il centrodestra per aumentare l“appeal’ comunicativo e la comprensione del testo – che racchiude in sé tutto il pacchetto completo della riforma.

Le tempistiche, quando al voto?

Ma qual è il tempo che divide i cittadini dalle urne? Se partiamo dall’ipotesi che l’ordinanza sia stata comunicata ieri al Capo dello Stato, e se il Consiglio dei ministri deliberasse entro la fine di novembre, si potrebbe votare già a metà gennaio. Una ipotesi al momento improbabile, confermata dalle parole del viceministro della Giustizia, Francesco Paolo Sisto, che parla dei primi giorni di marzo.

Il governo infatti vuole giocare d’anticipo, per sfruttare il vantaggio del Sì nei sondaggi. L’ultima proiezione dell’Istituto Noto per ‘Porta a Porta’ rileva che se si dovesse votare ‘oggi’, il 56% degli italiani direbbe sì alla conferma della legge, mentre il 44% voterebbe no.

Ancora indecisi sulla scelta, invece, il 18% degli elettori. In caso di successo e anticipando prima possibile il voto, il governo avrebbe inoltre più tempo per scrivere le leggi attuative della riforma prima della scadenza dell’attuale Consiglio superiore della magistratura, in programma all’inizio del 2027.

Lo scontro sulle parole di Nordio

Quello che è certo è che il countdown per l’appuntamento referendario è partito, mentre proseguono le schermaglie tra i partiti e le sfide tra i principali protagonisti della campagna elettorale. A far discutere in queste ore è l’attacco delle opposizioni al Guardasigilli Carlo Nordio per le parole sul presunto legame tra il il piano di Licio Gelli e la riforma della separazione delle carriere:

«Io non conosco il piano della P2. Posso dire che se l’interpretazione, o meglio, l’opinione del signor Licio Gelli era un’opinione giusta, non vedo perché non si dovrebbe seguire perché l’ha detto lui»

Una dichiarazione che ha scatenato le ire dell’opposizione, e soprattutto del M5S che continua ad agitare lo spettro del Gran Maestro. Ma per il leader del Movimento Giuseppe Conte le «uscite estemporanee» di Nordio «non sorprendono più, sono uscite sincere come quando ha detto che la legge sulla separazione delle carriere tornerà utile per qualsiasi forza si troverà al governo. Questa è una legge fatta per ritornare alla casta dei privilegiati della politica».

Per Angelo Bonelli, deputato Avs e co-portavoce di Europa Verde, sono «parole scandalose che confermano che la riforma della separazione delle carriere è il compimento del disegno eversivo della loggia P2».

La posizione dei penalisti

Ma nella bagarre politica che evoca ‘disegni venerabili’, il segretario dell’Unione delle Camere Penali Rinaldo Romanelli vuole ristabilire una verità storica: dire che la separazione delle carriere era prevista nel piano di Rinascita Democratica di Licio Gelli è una «clamorosa bugia. Basta leggere il piano di Gelli per rendersene conto – fa notare – dove è scritto infatti che nessuna distinzione deve esserci tra pm e giudice, ovvero il contrario di ciò che dice la riforma.

«Si legge che il Guardasigilli risponde al Parlamento dell’operato del pm, il che presuppone che il pubblico ministero dipenda dal Guardasigilli: di nuovo il contrario della riforma che garantisce la totale autonomia e indipendenza del pm. Ed è scritto che il Csm risponde a sua volta al Parlamento, quindi giudici e pm alle dipendenze del potere politico. Anche qui nella riforma è chiaro ai sensi dell’art.104, che sia il giudice che il pm sono indipendenti e autonomi da ogni altro potere. Ogni argomento è valido – prosegue – nella misura in cui è un’opinione che si basa su dei fatti e non su bugie».

Il segretario dei penalisti, da sempre protagonisti della battaglia e ora impegnati in prima linea con il proprio Comitato per il Sì al Referendum, aggiunge che la suggestione sulla P2 è di «basso livello», perché «evidentemente nasconde l’incapacità di utilizzare qualche argomento critico più efficace».

Ma restando sullo stesso piano di superficialità, «basterebbe rispondere che anche la riduzione del numero dei parlamentari era espressamente prevista nel ‘piano’ del Gran Maestro e che proprio su proposta del governo Conte, – conclude Romanelli – è stata approvata nel 2019, in seconda lettura alla Camera, con una maggioranza bulgara (553 favorevoli, 14 contrari, 2 astenuti)».

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