La premier pronta ad accelerare sulla riforma in senso proporzionale: l’obiettivo è l’indicazione del candidato presidente sulla scheda
Da gennaio si fa sul serio. Perché a primavera, quando ci sarà il referendum sulla separazione delle carriere di giudici e pm, dovrà essere pronta. Cosa questo significhi – anticipare le elezioni politiche? – è scenario che fa tremare i polsi prima di tutto agli alleati di Meloni. Di sicuro non tranquillizza le opposizioni che sono in alto mare sotto tutti i punti di vista. Fra i timori degli alleati e il terrore delle opposizioni, la premier tira dritto e fa come vuole. Anche perché non vede l’ora che Arianna, la sorella, entri in Parlamento a tenere a bada le truppe. “Entro giugno il testo sarà approvato” ha confidato Maurizio Lupi, la gamba moderata della coalizione che già assapora, e con buone chance, la corsa a sindaco della “sua” Milano.
Ipotecare il bis
Ora c’è da chiudere la sessione di bilancio e non sarà una passeggiata. Il quadro internazionale non aiuta. La campagna referendaria sarà come minimo faticosa. Le tensioni interne fanno il resto. Ma tutto questo non fa perdere di vista, anzi, il focus della premier: essere pronta a qualunque eventualità per ipotecare il bis. “Il ragionamento è questo – spiega un esponente di primo piano di Forza Italia – ormai Meloni ha capito che non si riuscirà ad approvare la seconda riforma costituzionale in programma, quella per lei più importante, il premierato. Il piano di riserva, che è diventato il Piano A, è far entrare nella nuova legge elettorale almeno l’indicazione del premier”. Il vero obiettivo della Presidente del Consiglio.
Il “tavolino”
Le interlocuzioni informali dei mesi estivi sono diventate un “tavolino” per lo più al Senato dove s’incontrano con frequenza quindicinale Roberto Calderoli, uomo delle leggi elettorali per la Lega, Malan e Donzelli per Fdi, Alessandro Battilocchio e Stefano Benigni per Forza Italia, Lupi per i Moderati. Certo, i nodi più intricati sebbene intermedi, vengono risolti poi in apericena a casa Meloni direttamente tra Tajani e la proprietaria di casa. Il “tavolino” è stato alimentato anche con report che i parlamentari di maggioranza più dentro la materia hanno redatto consultando informalmente i colleghi di opposizione. Perché almeno la mossa di tentare di approvare una nuova legge elettorale con il contributo di tutto il Parlamento dovrà essere fatta.
Il nome sulla scheda
Il passaggio dal “premierato” (elezione del premier con riforma costituzionale) al “premierino” (ovvero prevedere con legge ordinaria il nome del premier nella scheda elettorale) è il nodo più difficile da sciogliere. Non solo tra gli alleati ma all’interno di Fratelli d’Italia. Dove su questo non vige il pensiero unico. Giorgia Meloni vuole il suo nome nella scheda elettorale della coalizione incurante del fatto che possa essere incostituzionale visto che andrebbe nei fatti a ledere le prerogative del Capo dello Stato laddove (articolo 92) si dice che è compito del Presidente della Repubblica nominare il Capo del governo e non certo facendo il passacarte. Il punto è che non sono solo Antonio Tajani e Matteo Salvini ad essere contrari. L’ex cognato e ministro Francesco Lollobrigida ha sollevato una questione non da poco riportata da testimoni in questi termini: “Così non va, cara Giorgia, cannibalizzi le preferenze. Votano tutti te e gli altri che fanno?”.
La nuova legge
Il “premierino”, infatti, sarebbe la ciliegina su una “torta”, la legge elettorale, così riformata: via tutti i collegi maggioritari; sistema di voto proporzionale secco con l’aggiunta di alcuni listini bloccati (per proteggere i big che non hanno voglia di andare a cercare le preferenze); sbarramento più al 3% che al 4%; la soglia per il premio di maggioranza scatterebbe al 42% e regalerebbe fino al 55%. Uno schema di voto pensato apposta per penalizzare le opposizioni e che per via del premio spinge comunque i partiti a grandi coalizioni e quindi ad un bipolarismo maggioritario forzato. Che a destra esiste già. A sinistra sono appena all’ipotesi per di più sfumata.
La guerra nel campo largo
Uno schema che per le opposizioni è pieno di trappole. La prima: i collegi uninominali sarebbero la carta segreta delle opposizioni; non lo sono stati nel 2022 perché il centrosinistra andò in frantumi prima ancora di cominciare. Scenario che non si potrebbe più ripetere e quindi Meloni cambia la regola fondamentale: proporzionale con preferenze al posto dei collegi uninominali. La seconda: la soglia di ingresso fra il 3 e il 4% invoglia chi ci crede di poter andare da solo, di fare il terzo polo e diventare l’arbitro fra i due poli. Per intendersi, Calenda e Marattin. Il terzo: l’indicazione del candidato premier, in qualunque forma si realizzi (l’ultima versione pacificatrice è di indicarlo non nel simbolo ma nei programmi delle forze di coalizione che saranno depositati al Viminale così che nessuno si sentirà cannibalizzato dalla popolarità della premier) apre una guerra feroce nel centrosinistra. Guerra che solo primarie di coalizione potrebbero sedare. Come che sia, che lo show della legge elettorale abbia inizio. Sono le regole del gioco della nostra democrazia. E alla fine valgono quando una riforma costituzionale.








