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Bankitalia e Istat, critiche alla Manovra. «Variazioni modeste del reddito»

Da Via Nazionale e dall’Istituto di Statistica quasi una bocciatura. Tajani parla di “coperta corta”, Giorgetti rivendica le scelte


Le audizioni sulla Manovra davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato diventano presto il caso del giorno. Critiche nette arrivano da Bankitalia e dal presidente dell’Istat. Il vicepremier Tajani che due settimane fa aveva stangato i funzionari del Mef, risponde con diplomazia, parlando di “coperta corta”, ma non basta per frenare gli attacchi che arrivano dall’opposizione. Ma rilievi solo arrivati anche dalla Corte dei Conti e dall’Ufficio parlamentare di Bilancio.

Cosa dice Bankitalia (con replica di Giorgetti)

“Le misure a sostegno del reddito non comportano variazioni significative delle disuguaglianze. L’evasione danneggia gli onesti. La rottamazione in passato non ha accresciuto l’efficacia nel recupero di gettito”. Questo in sintesi il contenuto dell’audizione del vicecapo del Dipartimento Economia e statistica della Banca d’Italia, Fabrizio Balassone, “Si può stimare che complessivamente le misure presenti in manovra a sostegno del reddito non comportino variazioni significative della disuguaglianza nella distribuzione del reddito disponibile equivalente tra le famiglie. La riduzione dell’aliquota dell’Irpef per il secondo scaglione di reddito favorisce i nuclei dei due quinti più alti della distribuzione, ma con una variazione percentualmente modesta del reddito disponibile. Gli effetti dei principali interventi in materia di assistenza sociale si concentrano invece sui primi due quinti delle famiglie e sono anch’essi modesti”.

Una risposta a distanza la dà nel pomeriggio il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti (foto). “Con la riduzione di due punti percentuali della seconda aliquota Irpef abbiamo tutelato i contribuenti con redditi medi, destinando 3 miliardi”.

“La misura estende, quindi, la platea di soggetti che avevano, a partire dal 2025, beneficiato dalla riduzione strutturale del cuneo fiscale, coinvolgendo 13,6 milioni di contribuenti (il 32 per cento del totale) di cui 8,2 milioni lavoratori dipendenti. Il beneficio medio atteso è pari a 218 euro annui, con un beneficio massimo di 440 euro all’anno”. 

Cosa dice l’Istat

Sulla linea Bankitalia il presidente dell’Istat Francesco Maria Chelli, che porta tabelle e numeri per dimostrare che la misura avvantaggia i ceti benestanti: lo giudica un provvedimento marginale. “La misura in legge di bilancio che porta l’aliquota Irpef per lo scaglione di reddito tra 28mila e 50mila euro al 33% dal 35% coinvolgerebbe poco più di 14 milioni di contribuenti, con un beneficio annuo pari in media a circa 230 euro. Le famiglie beneficiarie sarebbero circa 11 milioni (44% delle famiglie residenti) e il beneficio medio di circa 276 euro” in quanto “in ogni famiglia ci può essere più di un contribuente”.

“Ordinando le famiglie in base al reddito disponibile equivalente – dice il numero 1 dell’Istituto di statistica – e dividendole in cinque gruppi di uguale numerosità, emerge come oltre l’85% delle risorse siano destinate alle famiglie dei quinti più ricchi della distribuzione del reddito: sono infatti interessate dalla misura oltre il 90% delle famiglie del quinto più ricco e oltre due terzi di quelle del penultimo quinto. Il guadagno medio va dai 102 euro per le famiglie del primo quinto ai 411 delle famiglie dell’ultimo. Per tutte le classi di reddito il beneficio comporta una variazione inferiore all’1% sul reddito familiare”, ha spiegato Chelli.

«Il 10% degli italiani non si cura»

Dall’Istat arrivano anche dati drammatici sulla situazione della Sanità. “Nel 2024 il 9,9% delle persone ha dichiarato di aver rinunciato a curarsi per problemi legati alle liste di attesa, alle difficoltà economiche o alla scomodità delle strutture sanitarie: si tratta di 5,8 milioni di individui, a fronte di 4,5 milioni nell’anno precedente (7,6%)”. Lo ha detto il presidente dell’Istat Francesco Chelli in audizione sulla Manovra.

“La rinuncia a causa delle lunghe liste di attesa costituisce la motivazione principale, indicata dal 6,8% della popolazione, e risulta anche la componente che ha fatto registrare l’aumento maggiore negli ultimi anni: era il 4,5% nel 2023 e il 2,8% nel 2019, la rinuncia è più elevata per le persone adulte di 45-64 anni (8,3%) e tra gli anziani di 65 anni e più (9,1%). Il fenomeno è più diffuso tra le donne (7,7%), sia nelle età centrali (9,4% a 45-64 anni) sia in quelle avanzate (9,2% a 65 anni e più)”, ha spiegato.

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