Agcom: il 46,5% degli adulti (67,4 nel 2019) si informa tramite il piccolo schermo, la rete è al 52,4%
Per la prima volta Internet ha superato la televisione come porta d’accesso alle notizie. L’Agcom, nella sua ultima relazione annuale, ci dice che oggi si informa in tv il 46,5% degli adulti (era il 67,4% nel 2019), mentre la rete è al 52,4%. La radio si ferma al 13,3%.
Eppure la fiducia premia i media legacy: il 65,6% degli italiani dichiara una fiducia moderata-alta in almeno un mezzo, mentre gli ambienti social mantengono una credibilità più bassa presso le fasce adulte, secondo il Reuters Institute (Digital News Report). Il “sorpasso” riguarda l’accesso e non la reputazione: online si trova velocemente, in tv si cerca conferma e contestualizzazione.
La platea non scompare: si riconfigura. L’ascolto lineare scivola nel lungo periodo, ma la “total audience” tiene grazie a smart TV, on-demand e dispositivi connessi. Nel 2024 Auditel e Censis hanno segnalato la crescita degli spettatori del giorno medio e del prime time, con apporti significativi dei nuovi schermi.
Sul fronte informativo, il profilo è netto: la propensione a informarsi in tv aumenta con l’età; i 18-34enni costruiscono diete ibride in cui l’accesso passa da motori di ricerca, social e siti, mentre l’approfondimento avviene con podcast e video-explainer. Risulta una televisione meno “salotto” e più “hub“: produce contenuti che vivono oltre il palinsesto, rimbalzano online e rientrano nel dibattito pubblico come clip e fact-checking.
Tv pubblica e politica, esiste l’indipendenza editoriale?
Il tema della politicizzazione della tv pubblica è tornato centrale negli ultimi due anni: scioperi e accuse di interferenze a Viale Mazzini hanno riacceso la discussione sull’indipendenza editoriale. Le reti private, invece, mostrano la tendenza opposta: l’informazione scivola verso l’infotainment, con talk show che ritagliano la politica su ritmi televisivi. Entrambi i rischi erodono la credibilità se non bilanciati da regole e pluralismo.
Già nel 2019 un articolo sull’American Economic Review rilevava che ormai in tutto il mondo i cambi di offerta nei tg pubblici e l’irruzione dei canali commerciali hanno effetti misurabili su agenda, toni e preferenze: non solo una disputa culturale, ma un fatto empirico.
Le evidenze più solide sono “lente.” Lo stesso studio, infatti, sottolinea come i telespettatori di vecchia data, dagli anni ‘80, dei canali Mediaset (all’epoca il gruppo si chiamava Fininvest), fossero più propensi nel 1994 a votare Forza Italia, fondata da Silvio Berlusconi, proprietario di quelle reti. I meccanismi sono identificati nella familiarità con volti e frame narrativi, nell’abbassamento dei costi cognitivi, nel mutamento dei temi centrali nei Tg.
Processi mediatici, cronaca nera e giustizia
Se la copertura televisiva intensifica un tema in campagna elettorale, l’attenzione si riallinea di conseguenza; se l’intrattenimento riduce il carico informativo, facilita l’adesione identitaria. La televisione agisce ancora oggi da moltiplicatore di attenzione sui grandi casi giudiziari, dal delitto di Yara Gambirasio al “caso Garlasco” fino all’Unabomber del Nord-Est.
L’evidenza causale sul rapporto fra esposizione mediatica e percezioni del crimine viene da un altro “esperimento naturale“: il passaggio al digitale terrestre, che ha ridotto la quota dei canali più incentrati sul crimine. La lezione è duplice: la cronaca nera televisiva non solo interpreta l’emotività collettiva, ma può rimodellarla; e l’effetto è selettivo per età, abitudini e intensità di consumo.
Da qui l’ambivalenza dei “processi mediatici“: pressione sull’opinione pubblica e sul clima giudiziario, con risvolti sulla fiducia verso i media che raccontano quei processi.
Alcune variazioni tra televisione e consenso elettorale si sono registrate per le elezioni comunali e regionali, dove la prossimità conta più del carisma nazionale. L’espansione del digitale terrestre e l’ibridazione con il web hanno rafforzato l’ecosistema dei tg locali: durante la pandemia la domanda di notizie territoriali è cresciuta sensibilmente, segnale che nei momenti di rischio gli elettori si ri-ancorano a fonti vicine e riconoscibili, ci dice sempre la ricerca condotta da Auditel e Censis.
La ricerca collega un’offerta informativa locale più ricca a una maggiore conoscenza dei candidati. In pratica, un telegiornale cittadino ben seguito, o un talk di provincia che intercetta bisogni concreti, può spostare attenzione e temi centrali dove la stampa territoriale è debole e i social sono camere d’eco di élite iper-attive.
La Pay tv accelera, ma vince il modello ibrido

Pur avendo perso il primato di accesso, la macchina industriale della tv resta quindi il motore principale per notiziari, grandi eventi e approfondimenti. Tra il 2020 e il 2024 i ricavi del settore sono cresciuti: la TV in chiaro resta sopra la metà del mercato, mentre la pay TV accelera, spinta da sport e serie. Secondo Confindustria Radio Tv (2024) si diffondono modelli ibridi che combinano abbonamento e pubblicità.
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La combinazione di risorse e distribuzione spiega perché la tv fissi l’agenda politica: il prime time, specie generalista, è ancora il luogo dove un tema diventa “pubblico”.
Oggi la televisione dialoga con tre attori. Primo: l’online, che redistribuisce e polarizza i contenuti, trasformando scalette e talk in clip o reels che raggiungono pubblici altrimenti irraggiungibili, ci dice il Reuters Institute. Secondo: i motori di ricerca sostituiscono il canale con la query; l’utente vede il tema prima dell’emittente, con effetti su titoli, metadati e reperibilità. Terzo, ma non ultimo, i social sono il primo contatto per i giovani, ma restano meno credibili dei media legacy. Da qui il paradosso italiano: si entra dall’online, ma la legittimazione arriva spesso in tv, che fornisce ai social la materia prima del dibattito.
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Dopo il sorpasso, dunque, la televisione non è più regina assoluta, ma resta determinante in tre circostanze: quando pesano le abitudini (elettorato maturo), quando l’alternativa informativa è scarsa (ballottaggi locali, referendum tecnici), quando la paura riallinea le audience verso notiziari e dirette (crisi, disastri). Sul voto l’influenza è asimmetrica: più forte agli estremi dell’età e nei territori dove l’offerta locale è credibile; più debole tra i nativi digitali, schermati da feed personalizzati.
Sui temi di costume e di cronaca, la tv resta un acceleratore di attenzione capace di imporre priorità e linguaggi; ma i dati suggeriscono che l’effetto su paure e giudizi è reversibile al variare dell’esposizione. In definitiva, la tv non detta più l’agenda da sola, però decide ancora chi entra nell’agenda e con quali parole; e continua a funzionare da standard di legittimazione per un ecosistema informativo che la supera nell’accesso ma non nella ritualità collettiva.









