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Petrolio e miliardi, l’Occidente accerchia Putin. Ma lo zar resterà all’angolo?

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Dopo tre anni e mezzo la Russia sembra circondata. Con una manovra a tenaglia e una doppia cabina di regia. L’ira del Cremlino: «Contro di noi non si può fare niente»

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BRUXELLES – Con un po’ di prospettiva, quello che si vede è un vero e proprio accerchiamento. Dopo tre anni e mezzo la Russia di Putin sembra circondata. Con una manovra a tenaglia e una doppia cabina di regia: da Washington Donald Trump ha dato il via libera alla vendita a Kiev dei sistemi antimissile Patriot e a un pacchetto di sanzioni economiche che di fatto chiude tutti i rubinetti del petrolio russo. Due big company moscovite rischiano grosso: Lukoil e Rosneft.

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Bruxelles, sede della seconda cabina di regia di questa manovra di accerchiamento, ha approvato il 19° pacchetto di sanzioni dall’inizio della guerra, immediatamente operativo, e ha messo sul tavolo “l’accordo politico e unanime tra i 27 di usare gli asset congelati nelle banche europee per pagare i costi della guerra in Ucraina”.

Gli asset congelati per pagare la guerra

Lo stesso Volodymyr Zelensky, in conferenza stampa nel palazzo Justus Lipsius, ha parlato di “big deal”, di “accordo politico molto importante”. La proposta legale scritta — dove, secondo fonti della Commissione e del Consiglio, avvocati ed esperti di diritto internazionale daranno prova di “grande creatività per raggiungere l’obiettivo e tenere insieme tutte le garanzie richieste dai singoli Paesi per procedere all’uso di quei soldi” — è attesa sul tavolo del prossimo Consiglio europeo a dicembre.

Quei fondi, tutti di proprietà della Banca centrale russa, a livello internazionale non possono essere confiscati, ma è anche vero che la Russia, prima o poi, dovrà restituire e quindi pagare i danni causati dalla guerra dichiarata all’Ucraina senza riuscire a vincerla in tre giorni, come Putin era convinto.

Obiettivo: colpire rete del petrolio e del gas russi

La manovra a tenaglia ha un obiettivo preciso: colpire la rete del petrolio e del gas russi, la flottiglia ombra e l’intero complesso dell’industria militare. In una parola, “seccare le fonti di finanziamento dell’economia di guerra della Russia”. L’obiettivo sembra quasi raggiunto se la reazione di Mosca a questo complesso di notizie è stata inizialmente durissima: “Trump è entrato sul sentiero di guerra con Mosca”, ha sibilato Medvedev. Più cauta la portavoce del ministro degli Esteri Lavrov, Maria Zakharova: “Teniamo aperti i contatti con la diplomazia della Casa Bianca”. È un fatto che a Mosca i programmi televisivi abbiano cominciato a dipingere Trump come “un fesso” e non più come “la parte più ragionevole dell’Occidente”.

Stando a una serie di dati economici diffusi da fonti europee, la crisi del sistema russo sembra avviata senza ritorno lungo un piano inclinato: il Pil del 2025 è stimato allo 0,6% contro il 4,1% del 2024 (a causa dello stop al petrolio e al gas), l’aumento dell’Iva di due punti è destinato a far crescere l’inflazione, le entrate di bilancio di Mosca sono scese del 17% nei primi sei mesi dell’anno e la produzione industriale militare ha smesso di crescere. La conversione del 60% dell’industria nazionale a economia di guerra completa un quadro poco rassicurante per lo zar Putin, costretto a pagare ogni mese lauti stipendi a tre milioni tra militari e riservisti e a tacere ormai di circa un milione di morti sul fronte: un peso divenuto insostenibile.

Crosetto: “Guai chiudere Putin in un angolo”

“Mosca ha capito che sarà sempre più difficile finanziare la guerra”, ha detto l’Alto rappresentante della Commissione Kaja Kallas. Ma “guai chiudere Putin in un angolo – ha avvertito il ministro italiano Guido Crosetto –: un animale ferito stretto all’angolo può fare di tutto. Bisogna evitarlo, ecco perché gli va garantita una via di fuga”. Intanto, però, gli va fatto capire che è nell’angolo. Il 19° pacchetto sembra dare il colpo finale a una serie di sanzioni che finora erano riuscite a essere aggirate e non avevano prodotto l’effetto dell’isolamento.

La “flotta fantasma”

Sono state bandite 69 entità tra banche e aziende dei settori energia, finanza e industria militare, accusate di eludere le norme sull’embargo a Mosca, e aggiunte 117 navi della cosiddetta “flotta fantasma” — battenti bandiere di Stati terzi — che garantivano l’export di gas e petrolio russi. In totale, 557 navi non potranno più accedere ai porti europei. Vietate anche le operazioni con la criptovaluta A7A5, creata “con il supporto del governo di Mosca” per finanziare l’industria bellica. Inserite nella lista nera otto banche e compagnie petrolifere con sede in Tagikistan, Kirghizistan e Hong Kong, oltre a cinque banche russe e quattro bielorusse.

Vita difficile anche per i diplomatici russi

Vita difficile anche per i diplomatici russi, che d’ora in poi dovranno informare i governi europei su ogni movimento diverso dalla sede assegnata. Contro il sequestro dei bambini ucraini — circa 20.000 minori strappati alle famiglie o agli orfanotrofi e costretti a “diventare russi” — sono state sanzionate undici persone ritenute responsabili a vario titolo dei rapimenti. È tanto? È poco? “Mi chiedete il bilancio di questo vertice? – ha detto Zelensky in una conferenza stampa gremita nel palazzo Justus Lipsius –. Almeno 3-4 risultati: sanzioni contro la Russia, molto importanti soprattutto sull’energia; nessun summit in Ungheria senza l’Ucraina; niente missili a lunga gittata Tomahawk ma avremo i Patriot e i caccia svedesi; e la discussione sull’uso degli asset russi per finanziare la difesa europea. Mi pare che la discussione politica sia molto avanti e noi contiamo su una decisione molto presto”.

I 290 miliardi della Banca centrale russa

Quando si parla di asset russi, si fa riferimento a 290 miliardi della Banca centrale russa bloccati nelle banche occidentali, di cui 209 miliardi nella Ue e 185 in Belgio, presso la banca d’affari Euroclear. La confisca non è giuridicamente possibile a livello internazionale: il Belgio è contrario per motivi evidenti, mentre altri Paesi – Italia compresa – chiedono garanzie e mutualizzazione dei rischi. La discussione, ancora in corso all’ora di cena, è proseguita in un incontro dopo cena con Christine Lagarde, presidente della Bce. Un modo però va trovato perché, spiegano fonti italiane, “non esiste un piano B per finanziare la guerra in Ucraina. Se non usiamo questi soldi, i singoli Stati dovranno attingere ai propri bilanci nazionali, e non è proprio il momento”. Un “mandato politico” a trovare la soluzione comunque arriverà. Bisogna attendere il testo della risoluzione finale del Consiglio per capire fino a che punto si sono spinti i leader. Zelensky, intanto, ribadisce: “Ci hanno attaccato, lo fanno da oltre tre anni, devono restituire”.

Trump deluso scatena il terremoto

Non è un terremoto, quello scatenato dall’amministrazione di Donald Trump nel settore energetico con le nuove sanzioni contro la Russia, ma poco ci manca. Martedì sera, infatti, il Segretario del Tesoro Scott Bessent ha annunciato l’imposizione di severe sanzioni contro la Rosneft e la Lukoil, le due principali compagnie petrolifere russe.

Una svolta che ha improvvisamente e decisamente allontanato Washington dalla ripresa dei negoziati con Mosca, compreso il summit a Budapest annunciato dallo stesso Trump solo pochi giorni fa e poi cancellato dal tycoon. Secondo Bessent, la nuova ondata di sanzioni sarebbe direttamente legata all’andamento delle trattative. Mosca, infatti, avrebbe «fallito nel dimostrare un impegno credibile verso il processo di pace».

Storm Shadow contro obiettivi russi

Le sanzioni rappresentano una svolta: fino a questo momento, l’amministrazione Trump non aveva aggiornato né rafforzato le misure restrittive introdotte dal precedente governo Biden. Parallelamente, alcuni funzionari statunitensi hanno confermato che Washington avrebbe autorizzato l’Ucraina a utilizzare dati di puntamento forniti dagli Stati Uniti per lanciare missili britannici a lungo raggio Storm Shadow contro obiettivi russi. Tuttavia, Trump ha smentito la notizia, definendola «fake news» e affermando che gli Stati Uniti “non hanno nulla a che fare” con l’uso di quei missili.

No Tomahawk, richiedono troppo addestramento

Allo stesso modo, il presidente americano ha escluso l’invio – ventilato nelle settimane scorse – dei missili Tomahawk, che secondo il tycoon richiederebbero troppo addestramento per essere usati dagli ucraini. La Russia non ha esitato a condannare le sanzioni. Per l’ex presidente Dmitrij Medvedev sono la prova che gli Stati Uniti restano un nemico di Mosca. Lo stesso Putin, che ha definito le nuove misure «un atto ostile» che «non inciderà sul benessere russo», ha dichiarato che nessuna nazione rispettabile potrebbe accettare di cambiare linea politica sotto ricatto, aggiungendo subito dopo che l’invio dei Tomahawk provocherebbe una risposta «seria e sconcertante» da parte della Russia.

Aerei russi violano spazio aereo della Lituania

Non a caso, poco dopo, aerei russi hanno violato lo spazio aereo della Lituania, riaccendendo lo spettro della minaccia russa ai confini orientali della Nato. Il giro di vite americano sul petrolio ha però generato una reazione a catena sui mercati energetici globali.

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Cina e India sospendono acquisto petrolio russo

Subito dopo l’annuncio, le principali compagnie petrolifere cinesi – tra cui PetroChina, Sinopec, Cnooc e Zhenhua Oil – hanno sospeso gli acquisti di petrolio russo via mare, temendo di incorrere nelle sanzioni statunitensi. Una decisione analoga è attesa anche da parte delle principali raffinerie indiane, dove il colosso privato Reliance Industries – secondo fonti ascoltate dalla Reuters – ha comunicato l’intenzione di ridurre drasticamente le importazioni di greggio russo.

Le ripercussioni economiche delle nuove sanzioni non si sono fatte attendere: i mercati petroliferi mondiali hanno registrato forti rialzi. Il Brent Crude è salito del 4,9%, il West Texas Intermediate (WTI) del 5,5% e il greggio Murban degli Emirati Arabi Uniti del 4,0%. Anche la Borsa di Londra ha toccato un nuovo massimo storico, riflettendo l’aumento dei profitti attesi nel settore energetico. Indurre Cina e India a stoppare i propri acquisti di energia a basso costo dalla Russia per chiudere i rubinetti commerciali che finanziano la macchina bellica di Mosca è l’obiettivo dichiarato della strategia impostata dall’amministrazione Trump negli ultimi mesi. Un piano volto a evitare l’escalation militare diretta con il Cremlino – foriera di eccessivi costi e di un impegno troppo gravoso per gli Stati Uniti – ma a mettere alle strette Putin per convincerlo a raggiungere un compromesso negoziato.

Le fonti di approvvigionamento dovranno ora spostarsi verso Medio Oriente, Africa e America Latina, con un conseguente aumento dei prezzi del petrolio non soggetto a sanzioni, come dimostrato dall’andamento dei mercati. Se indiani e cinesi dovessero rivolgere la propria sete di energia verso altre nazioni produttrici di gas e petrolio, potrebbero facilmente “risucchiarne” gli acquisti, mettendo la stessa Europa in una posizione scomoda dal punto di vista energetico (gli Usa, invece, hanno da tempo raggiunto l’autosufficienza sotto questo profilo, salvo in campo nucleare). Resta l’incognita se lo stop indo-cinese rappresenti davvero un addio nei confronti del Cremlino o piuttosto un arrivederci.

Già in passato, in presenza di analoghe restrizioni occidentali, i due giganti asiatici avevano temporaneamente sospeso gli acquisti per permettere alle loro aziende di studiare un modo per aggirarle senza pagare le multe euro-americane, per poi ricominciare le importazioni una volta individuata la soluzione adatta. Per esempio, triangolando gli acquisti attraverso un Paese terzo oppure negoziando un pagamento “in natura” – merce per merce – così da evitare le sanzioni sulle transazioni bancarie. Di certo, la mossa di Washington mette nuovamente Pechino e Nuova Delhi di fronte a un bivio. La palla passa adesso ai signori dell’Asia.

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