Sfuma il summit di Budapest. Distanza tra le parti. I Volenterosi si vedono venerdì. Nella notte attacco aereo su Kiev e altre città
Un passo avanti, uno indietro, uno stop, una prova di ripartenza. Il negoziato russo-americano sulla fine del conflitto in Ucraina ci ha abituati da tempo a un tiro e molla che riconduce a un gioco delle parti. Dove un giorno una delle due superpotenze corteggia serrata e l’altra fa la preziosa e il giorno tutto è rovesciato e chi premeva per la tregua subito si mostra disinteressato e si ricomincia da capo.
Gli attacchi nella notte, sei morti in Ucraina
E nel vuoto di possibilità che crea con ogni telefonata, Putin attacca la cornetta al presidente Usa e attacca coi droni l’Ucraina. Nella notte un massiccio attacco aereo hanno scosso Kiev e diverse altre città. Lo riportano i media locali citando testimoni e autorità. I residenti della capitale hanno udito le prime deflagrazioni intorno all’1,10 ora locale, poco dopo l’allarme missilistico diramato dall’Aeronautica. Altre esplosioni sono seguite circa mezz’ora dopo. Colpite anche Dnipro, Zaporizhzhia e la città portuale di Izmail.
Secondo le autorità ucraine, il bilancio a Kiev è di almeno sei vittime, delle quali due bambini, mentre a Zaporizhzhia si contano almeno 13 feriti. Nella capitale un incendio è divampato all’ottavo e al nono piano di un grattacielo nel quartiere Dniprovskyi, colpito da un drone. Danni sono stati segnalati anche nei quartieri Pechersky e Desnyansky.

Controffensiva: colpito impianto chimico di Bryansk
Nelle ultime 24 ore le forze di Kiev hanno lanciato un attacco combinato aereo e missilistico contro un impianto chimico nella regione di Bryansk, a sud-ovest di Mosca, una struttura chiave del complesso militare-industriale russo. Lo riferisce lo stato maggiore ucraino, citato da Ukrinform, precisando che nell’operazione sono stati impiegati anche i missili da crociera a lungo raggio britannici Storm Shadow, lanciati da aerei.
I missili, secondo Kiev, avrebbero “penetrato con successo il sistema di difesa aerea russo” causando “danni massicci”, ancora in fase di valutazione. L’impianto di Bryansk produce polvere da sparo, esplosivi e carburante per missili usati nelle armi con cui la Russia colpisce l’Ucraina.
Storm Shadow volano a bassa quota per eludere i radar
La notizia è stata ripresa in evidenza anche dalla BBC, che spiega come gli Storm Shadow vengano lanciati da circa 250 km di distanza e volino a bassa quota per eludere i radar, guidati da GPS e da una telecamera frontale fino all’impatto. L’attacco, sottolinea l’emittente britannica, è avvenuto nello stesso giorno in cui il premier britannico Keir Starmer e altri leader europei hanno promesso di “aumentare la pressione sull’economia e sull’industria della difesa russa” finché Vladimir Putin “non sarà pronto alla pace”.
Zelensky in Svezia
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky oggi è atteso in Svezia per un incontro con il premier Ulf Kristersson nella città di Linköping, sede del gruppo di difesa Saab, produttore dei caccia Gripen. Al termine del colloquio, i due leader terranno una conferenza stampa congiunta per annunciare nuove esportazioni di prodotti militari.
“Un’Ucraina forte e capace è una priorità fondamentale per la Svezia”, ha scritto Kristersson su X, assicurando che Stoccolma continuerà a sostenere Kiev contro l’aggressione russa. La conferenza stampa è prevista alle 15. L’anno scorso la Svezia aveva sospeso la fornitura dei Gripen a Kiev, dopo la decisione dei partner occidentali di privilegiare la consegna dei caccia americani F-16.
Today I have the honour to welcome President Zelenskyy back to Sweden.
— Ulf Kristersson (@SwedishPM) October 22, 2025
A strong and capable Ukraine is a key priority for Sweden, and we will continue to make sure Ukraine can fight back against Russia's aggression.
Looking forward to discussing how to further our cooperation… pic.twitter.com/lejr5CWK2h
La trattativa diplomatica più strana della storia
La guerra va avanti e le trattative diplomatiche restano tra più strane della storia Dopo aver aperto improvvisamente al presidente russo Vladimir Putin a seguito della telefonata col capo del Cremlino giovedì scorso, il leader americano Donald Trump ha annunciato un incontro con lo Zar a Budapest, il primo dopo il mezzo fiasco del precedente meeting ad Anchorage, in Alaska, lo scorso 15 agosto.
Il tycoon ha quindi trasformato la visita di Stato del presidente ucraino Volodymyr Zelensky di venerdì – viaggio che aveva ufficialmente lo scopo di ratificare l’invio dei missili americani Tomahawk alle forze armate ucraine – in un nuovo tentativo per fare pressioni su Kiev affinché desse via libera allo schema immaginato dalla Casa Bianca: rinuncia da parte ucraina all’intero Donbas, compresa la metà ancora difesa dai soldati ucraini, in cambio di un cessate il fuoco.

Missili sì missili no
Secondo le indiscrezioni, il tentativo sarebbe fallito trasformando il faccia a faccia tra i due leader in un duro scambio di accuse reciproco. Russia e Stati Uniti aveva quindi annunciato un incontro tra i capi delle rispettive diplomazie, il Segretario di Stato americano Marco Rubio e il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, giovedì prossimo, 23 ottobre, per preparare il terreno al nuovo summit magiaro dello Zar e del tycoon.
Budapest sì Budapest no
Scenario che però ieri è sembrato improvvisamente allontanarsi: dopo una telefonata tra i due ministri lunedì infatti, l’incontro è stato rinviato senza un’apparente spiegazione. Gli osservatori non hanno potuto fare a meno di ritenere che la distanza tra il Cremlino e la Casa Bianca sia più grande di quanto i due leader non vogliano far trasparire e che questo sarebbe emerso al momento del contatto tra i due ministri.
Fonti interne all’amministrazione Usa hanno confermato che l’incontro tra Putin e Trump è al momento congelato, in attesa che le due parti chiariscano le rispettive posizioni, dal momento che Washington avrebbe dedotto da Lavrov come Mosca non sia ancora ricettiva alle proposte di pace americane.
Russia, coerente: guerra sì
Ad alimentare questa impressione ci ha pensato lo stesso ministro russo, che ha affermato che la Russia è contro un cessate il fuoco immediato in Ucraina perché ciò significherebbe «dimenticare le cause profonde di questo conflitto».
Lo stop russo a una immediata fine delle ostilità ha deluso evidentemente i negoziatori americani, anche se esprime quella che da sempre è rimasta la posizione russa: che la pace la devono chiedere gli americani e gli ucraini, perché sono loro che stanno perdendo la guerra (Mosca non è riuscita a conquistare il Donbas ma sta lentamente avanzando); che il Cremlino resta contrario alla tregua prima che un accordo di pace complessivo sia definito, perché sa che in questo caso sarebbe quasi inevitabile un congelamento del conflitto sull’attuale linea del fronte; infine, che la pace non potrà essere raggiunta sui confini attuali, ma soltanto dietro la cessione dell’intero Donbas a Mosca, per permettere a Putin di poter rivendicare il conseguimento della ragione per cui è entrato in guerra.

Il cubo di Trump
Probabilmente Trump, più che mal comprendere le richieste russe, si è ritrovato in una specie di incastro, tra i proverbiali incudine e martello: dopo aver parlato con Putin, il tycoon ha cercato di costringere Zelensky ad acconsentire alla cessione del Donbas salvo essere respinto dal leader ucraino, che ha insistito di essere pronto a discutere solo di una sospensione dei combattimenti sull’attuale linea del fronte, senza nemmeno il riconoscimento formale dei territori occupati dai russi.
Al successivo contatto coi russi, dunque, gli americani hanno premuto affinché Mosca si allineasse alle richieste ucraine, incassando però un cortese ma fermo rifiuto.
Per l’inquilino della Casa Bianca insomma si ripropone il dilemma dovuto al tentativo di mantenere i piedi in due scarpe o – se vogliamo – di salvare capra e cavoli: fare la pace con Putin ma senza costringere Zelensky a piegarsi ai desiderata di Mosca. Una posizione apparentemente senza via di uscita, che ha lasciato per il momento le due diplomazie incerte sui prossimi passi da seguire.
L’Europa tagliata fuori
Chi invece non ha dubbi è l’Europa che – tagliata fuori dalla manovra diplomatica di Trump – sta cercando di ricompattarsi per offrire una risposta unitaria. Anche per questo venerdì i Paesi membri della coalizione dei Volenterosi, l’alleanza informale che riunisce le nazioni sostenitrici a oltranza di Kiev, si vedranno per dare un segnale forte di coesione e rinnovato sostegno militare ed economico all’Ucraina.
Le concessioni territoriali in Ucraina «possono essere negoziate solo» dal presidente Volodymyr Zelensky, ha dichiarato il presidente francese Emmanuel Macron a Lubiana, in Slovenia. «Nessun altro può farlo, e quindi spetta all’Ucraina decidere per sé stessa e per il suo territorio, e agli europei decidere per sé stessi e per la propria sicurezza».
Posizione ferma che ha attirato le ire di Mosca, che ha accusato il Vecchio Continente di fare il possibile per sabotare gli sforzi negoziali russi e americani.
«I Paesi che compongono l’Ue e la Nato stanno lavorando per ostacolare ogni cosa. Non c’è nessuna questione che non li interessi, tranne come danneggiare la Russia, minare le nostre posizioni e rendere più difficile per noi risolvere i problemi che dobbiamo affrontare. Questo è l’unico obiettivo di tutta la politica dell’Ue. Sono la forza più distruttiva sulla scena internazionale. Pertanto, non c’è da stupirsi che si dedichino a ogni tipo di sabotaggio. Siamo pronti a questo e sappiamo come contrastarlo», ha detto il viceministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov.

Budapest? Se Putin atterra viene arrestato
Quasi a voler confermare l’accusa russa, il ministro degli Esteri polacco Radoslaw Sikorski ci ha tenuto a precisare che se Putin dovesse varcare lo spazio aereo polacco per recarsi al summit di Budapest il suo aereo probabilmente sarà costretto ad atterrare e il presidente russo verrà arrestato per crimini contro l’umanità. Un avvertimento che ben incarna il clima teso che soffia sul continente, quasi a rimarcare che tra guerra fredda e pace congelata non ci sia poi questa grande differenza.