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La Ferrari va a Fuoco: un italiano al volante 16 anni dopo Fisichella

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Il giovane calabrese guiderà la SF-25 in una prova in Messico. Cresciuto a Maranello è grande amico di Leclerc

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Man on fire. Ma niente paura: aspettava questo momento. Dopo anni di fedeltà e sacrifici, il destino gli restituisce una prima volta ufficiale: Antonio Fuoco, 29 anni, guiderà la SF-25 di Lewis Hamilton in una sessione di prove nel Gp del Messico, riportando sulla Rossa di Maranello la bandiera italiana che mancava dal 2009, dai giorni di Luca Badoer e Giancarlo Fisichella. Insomma, sono passati sedici anni.

“C’è un ragazzino che viene dalla Calabria”

Enrico Zanarini, un manager che in carriera ha fatto fortuna con Irvine, Giovinazzi e tanti altri, di lui ha sempre avuto una stima infinita. “C’è un ragazzino che viene dalla Calabria con un nome che vi resterà impresso e di cui sentirete molto parlare”.

Cresciuto dentro Maranello

Fuoco is on fire. Persino scontato dirlo. Una tautologia, con quel cognome che è l’elemento primordiale per eccellenza. Antonio è come la sua terra: ruvida, immensa, bellissima. La Calabria, ha detto, “è un posto speciale e straordinario. Quando posso ci torno”. Quello di Fuoco sulla monoposto Ferrari è però anche di più. Un ritorno simbolico e potente. Non è solo un collaudatore. E neppure un pilota di passaggio: è un uomo cresciuto dentro Maranello, nel silenzio dei simulatori, nelle notti di test, notti magiche, anzi mistiche. Quel lavoro invisibile che contribuisce a rendere viva la leggenda Ferrari. “Tutti i piloti vorrebbero essere piloti della Ferrari”, ha detto.

Antonio arriva da Cariati, un paesino che si affaccia sullo Ionio. Il mare, il sole, il vento. E vabe, mica siamo in Love boat. Questa è una storia di velocità, cemento e gomma bruciata. Una pista di kart a pochi chilometri dalle spiagge, a Toretta di Crucoli. Lo scenario è perfetto.

Il kart al posto del pallone

“Mio padre e mio fratello, che ha un anno più di me, ci andavano per gioco a divertirsi con i kart a noleggio. Poi ne abbiamo comprato uno. Io ho cominciato con il kart di mio fratello. Prima nel piazzale davanti a casa e poi in pista. Avevo quattro anni, forse meno e non ho grandi ricordi, ma per fortuna c’è qualche foto che faceva papà”. Gli altri giocavano a pallone, lui voleva andare sui kart. Pomeriggio, sera, notte.

Lo chiamano Speedy

Ogni momento è sempre stato buono per sentire quell’energia tra le mani. “Quando finiva la scuola passavamo giornate intere in pista. Giravamo anche di notte, anche al buio per rendere le cose un po’ più difficili, tanto la pista era piccola e l’avevamo imparata a memoria”. Lo chiamano Speedy. Ma Fuoco è calmo, pacato, gentile. Appassionato di allenamenti, palestra, jogging, calcio. Tifa Juventus. È attento agli altri. Ha detto: “La cosa più importante è motivare le persone che lavorano con te, meccanici, ingegneri e compagni di squadra. L’obiettivo si raggiunge solo lavorando bene insieme”.

Erano gli anni di Schumacher

Il padre, Gabriele, aveva un’impresa di calcestruzzi, ma di soldi per finanziare quel sogno non ce n’erano. Antonio però andava veloce. “Il primo sogno di ogni ragazzino è di diventare pilota ufficiale di qualche squadra”. Intanto cominciava ad appassionarsi alla Formula 1. Però, ha detto lui, “non è che mi alzassi alle 5 per vedere un Gran premio”. Bello, sì. Ma meglio stringere la velocità in un volante. Erano gli anni di Schumacher («Ovviamente anch’io tifavo per lui»), anche se il suo pilota preferito era Ayrton Senna. Gira l’Europa, vince, convince.

Quando i confronti iniziano a farsi più duri

Nel 2013 entra nella Ferrari Driver Academy. E i confronti iniziano a farsi più duri. Tutti parlano di un altro ragazzino, uno di Monaco, che ha un anno meno di Antonio. È Charles Leclerc. “Quando anche Charles è arrivato in Fda a Maranello ci conoscevamo già dalle sfide che avevamo avuto nei kart. C’è sempre stato rispetto tra di noi e quando abbiamo cominciato a frequentarci è scattato subito un feeling particolare. Ci sfidavamo in pista, ma poi ci frequentavamo fuori. Siamo sempre riusciti a tenere separate le due cose con tanto rispetto tra di noi”. Persino un’amicizia. “Anche quando abbiamo preso due strade diverse, lui in Formula 1 e io nell’endurance, abbiamo continuato a confrontarci e frequentarci”.

La Ferrari per Fuoco è però quasi una seconda pelle. “Essere un italiano che guida per la Ferrari significa avere una certa pressione. Ma quando la Ferrari partecipa a un campionato, c’è sempre la pressione di dover dare il massimo, di dover vincere”.

La casa a Monaco, la passione del padel

Vive anche lui a Monaco come Charles. E con lui gioca a padel, escono in barca (“Ma la barca è la sua”), in bicicletta (“Dovevamo andare anche con Sinner, ma poi non siamo riusciti a organizzare”), vanno in montagna per la preparazione. “E anche lì ci sfidiamo. Siamo sempre in competizione”. Tutti e due hanno perso il padre. Poteva essere la carriera di Leclerc. Ma niente sliding doors, qui non siamo in un film. Quando Fuoco ha visto un’altra strada non è stato tanto a pensarci e ha scelto il programma endurance della Ferrari che poi con le hypercar lo ha portato a Le Mans e nel Wec.

Il messaggio di Leclerc: “Te la meriti tutta”

Quando Fuoco ha vinto la 24 Ore di Le Mans, Leclerc gli ha scritto un messaggio: “Te la meriti tutta, sei un grande. Tuo padre sarà felicissimo da lassù”. Nel mondo dei motori, Fuoco è diventato un simbolo di costanza. Collaudatore, pilota di sviluppo, uomo di fiducia nei weekend di gara. “Sono arrivato a Maranello sicuramente per l’impegno e la passione che ho sempre messo in questo sport, che oggi è il mio lavoro. Tutto questo grazie anche al supporto della mia famiglia e dei miei manager che mi hanno permesso di gareggiare nei kart”. E adesso di sedersi su una Ferrari, accendere il motore e andare più veloce del vento.

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