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Zoja: «Assassino più vecchio non accettava rifiuto di lei: giovane e bella»

Lo psicoanalista e sociologo riflette sul declino dei rapporti sentimentali dopo il femminicidio della 29enne Pamela Genini, uccisa a Milano dal compagno che voleva lasciare

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«Il primo dato su cui riflettere è la grande differenza di età tra i due. C’è il senso di una giovinezza che sfugge; si allontana la persona più giovane, più bella, più dinamica. Cose che l’assassino non sapeva accettare». Pamela Genini era una modella e imprenditrice. Gianluca Soncin, dalle prime ricostruzioni, un faccendiere con un precedente per truffa. Sembra che la nostra società stia pericolosamente abbassando la soglia del rischio rispetto alla possibilità che si verifichino episodi di questo tipo.

È così, professor Zoja?
«Sono cose che fanno parte della pazzia del ventunesimo secolo. Sono saltati gli schemi nord-sud o Italia-estero. I femminicidi purtroppo si moltiplicano ovunque. Dall’inizio del secolo scorso siamo entrati in quello che chiamo una sorta di “neomaschilismo”».

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E oggi cosa è successo?
«Contano i soldi e le aspirazioni individuali. Inoltre, la combinazione di tecnologia e biologia porta a considerare perfino i figli come una commodity, un bene di consumo. Tutto questo si inserisce nel quadro di dissoluzione dei presupposti per un rapporto di coppia stabile basato sull’affettività e su una capacità di previsione ragionevole. Recentemente leggevo un articolo del New York Times che parlava di short-termism: tutto è segnato da un orizzonte temporale breve e ad altissimo tasso di egoismo».

Psicoanalista di fama internazionale, Luigi Zoja è autore di “Centauri. Mito e violenza maschile” (Laterza). Recentemente è tornato a riflettere sulle ragioni del declino epocale della nostra civiltà in “Narrare l’Italia. Dal vertice del mondo al Novecento” (Bollati Boringhieri). Insiste sul fatto che per sondare le radici della violenza è necessaria la profondità dell’analisi storica.

In cosa consiste il problema sociale legato alla prevenzione dei femminicidi e alla valutazione del rischio?
«Dal punto di vista psichiatrico abbiamo completamente perso la sfida della prevenzione. In Italia abbiamo avuto la legge Basaglia del ’78. Già all’epoca la questione dei manicomi era sfuggita di mano, poi ci è sfuggito di mano tutto il resto. Dopo la legge erano necessarie delle strutture adeguate».

Che tipo di strutture?
«Strutture che sostituissero i manicomi. All’epoca della legge Basaglia ne erano previste circa centomila. Oggi abbiamo le guardie mediche che funzionano poco anche per gli infortuni fisici, figuriamoci per le emergenze psichiatriche».

Cosa non va nel mondo che abitiamo?
«Il rapporto con il corpo è scappato completamente di mano, soprattutto da quando ha iniziato ad essere “filtrato” dagli schermi. A questo si affiancano la diseducazione complessiva, l’abbassamento del quoziente intellettivo e delle prestazioni cognitive».


C’è chi dice che sono problemi relativi soprattutto alla nostra società, al “ben pasciuto” Occidente. È così?
«Della Russia abbiamo pochi dati, ma quei pochi dati ci dicono che il tasso di femminicidi è del mille per cento superiore a quello dell’Europa occidentale, così come è molto più alto il tasso di uomini che picchiano le donne e la differenza di età tra uomo e donna, vissuta naturalmente come espressione di potere».

C’è però una tendenza specifica della nostra società che è quella a “patologizzare” tutto. Questo può essere un problema per la prevenzione e la valutazione del rischio? Se tutto diventa patologia, nulla lo è più davvero.

«Sì e no. C’è questa tendenza ma c’è anche il suo contrario».

Può spiegare meglio?
«Esiste uno uno studio dell’inizio degli anni ’90 di Daniel Patrick Moynihan intitolato Defining Deviancy Down; la soglia della devianza veniva abbassata già allora. Quando la soglia della devianza ha cominciato ad oscillare si è iniziato ad ammettere come accettabili nuove categorie. C’è una responsabilità anche di quei venditori di superficialità che sono gli influencer e che vendono l’immagine del bello, ricco e potente. Unito alla mentalità neomaschilista di cui dicevo si rischia una miscela esplosiva. È necessario recuperare il senso della soglia tra ciò che è patologico e ciò che non lo è. Ma le società che non sanno o non vogliono farlo si limitano a variare la soglia. Vale un discorso analogo a quello che vale nell’ambito dell’istruzione: abbiamo ammesso tutti all’università ma la cultura complessiva non è migliorata. Anzi».

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