Tarantino e Stallone ne hanno elogiato il talento ma il suo nome è poco noto. Non le sue opere. Dice al Nyt nel 2021: “Solo Sergio Leone mi inserì nei titoli di coda”. Per il poster di ‘C’era una volta in America’
Lo abbiamo appeso nelle camerette con le puntine, i suoi poster, le visioni, la magia del saper dare a un disegno la forza del richiamo. Renato Casaro ci ha portato al cinema, nelle sale, ha fatto in modo che un titolo avesse una cornice, ha racchiuso le nostre emozioni in un’immagine. Ha riassunto i nostri ricordi. È un talento indescrivibile. Casaro è morto il 30 settembre in un ospedale di Treviso, aveva 89 anni, la notizia è stata confermata dalla figlia, Silvia Casaro.
È definito “il Michelangelo dei poster cinematografici” e a ben ragione. Casaro ha avuto una carriera durata più di cinquant’anni. Duemila manifesti disegnati dai western all’italiana degli anni Sessanta ai grandi blockbuster hollywoodiani, Rambo e Terminator, Balla coi Lupi. I registi, da Quentin Tarantino e Sylvester Stallone, il suo nome lo conoscevano bene.

Oggi il New York Times gli dedica un grande spazio e racconta come il suo nome sia rimasto a lungo sconosciuto al grande pubblico. Sui poster che tutti conosciamo, apponeva solo una piccola firma, “Casaro”, in un angolo del manifesto. Nel 2021, raccontò che solo Sergio Leone lo citò nei titoli di coda, per C’era una volta in America (1984).
Nato a Treviso il 26 ottobre 1935, Casaro inizia disegnando manifesti per il cinema Garibaldi in cambio di biglietti gratis. Nel 1954 si trasferisce a Roma, entra in uno studio pubblicitario specializzato in cinema. Tre anni dopo apre la sua bottega. Poi la svolta. Il poster per La Bibbia (1966) di John Huston, prodotta da Dino De Laurentiis diventa un gigantesco cartellone su Sunset Boulevard a Los Angeles. E il suo nome inizia a girare. Non c’è nessuno come lui in America. Lì, dove si fa il cinema.

L’incontro con Leone e la nascita di un’icona
È Sergio Leone a consacrarlo negli anni Sessanta. Casaro firma i manifesti dei film e Clint Eastwood diventa una star: Per un pugno di dollari (1964), Per qualche dollaro in più (1965) e Il buono, il brutto, il cattivo (1966). «Leone era il miglior collaboratore che abbia mai avuto, eravamo una coppia perfetta, un solo cuore, un’anima sola», ricorda nel 2022 in un’intervista al Guardian.
Dai maestri italiani a Hollywood
Iniziano a chiamarlo tutti, Casaro è il lancio, la possibilità che un passante diventi spettatore. Francis Ford Coppola lo chiama per il poster de Il Padrino – Parte III (1990), David Lynch per Dune e poi per Cuore selvaggio. Per Bernardo Bertolucci disegna il poster de L’ultimo imperatore e Il tè nel deserto. Diceva, spiegava nelle intervista, che per lui un manifesto era come un’esca: «Deve catturare l’essenziale, uno sguardo, un gesto, un movimento che racchiuda l’intera storia».

Pennelli, tempera e aerografo: la magia dell’immagine
Prima dell’era digitale, Casaro dipinge con tempera e pennelli, uno stile a mano, “impressionista” che poi affina con l’aerografo. Il risultato è magia, e c’è tanto dell’Italia nella sua mano a guardar bene. Le sue rappresentazioni di Arnold Schwarzenegger in Conan il barbaro e Terminator 2, o di Stallone in Rambo, trasformano gli attori in figure mitiche, “degne dell’Olimpo”. «Schwarzenegger aveva un volto da scultura», diceva. «Con Stallone avevo libertà totale: dovevo solo renderlo un eroe».
La donna di “Nikita”, la sua preferita
Tra le sue opere preferite, Casaro citava il manifesto di Nikita (1990) di Luc Besson. «Mostra una donna con una pistola dietro una porta del bagno. Lo spettatore si chiede: “Cosa è appena successo?” E vuole vedere il film», si legge su CBS Mornings. Nel 2021 Treviso gli dedica una grande retrospettiva, intitolata “L’ultimo designer del cinema”. Due anni prima, Quentin Tarantino lo chiama per realizzare i finti manifesti dei film di Rick Dalton (Leonardo DiCaprio) in C’era una volta a… Hollywood. Invia a Casaro una foto autografata con la dedica: «Grazie per aver impreziosito il mio film con la tua arte. Sei sempre stato il mio preferito».
Un’epoca che si chiude con Photoshop
Negli anni Ottanta e Novanta firma poster per Il postino suona sempre due volte, Blow Out di Brian De Palma e Octopussy della saga di James Bond. Poi arriva la grafica digitale, e il lavoro inizia a scomparire. «Con Photoshop è facile creare immagini spettacolari, ma senza anima», diceva.
L’anima l’abbiamo persa in molti con il digitale. Ma i ricordi no. E quelli che abbiamo, sono firmati dalla mano di Renato Casaro.