Il costituzionalista e professore di diritto alla Sapienza fa il punto sulla crisi d’Oltralpe. Ecco tutti gli scenari di fronte a Macron
«Lecornu ha vagato per una ventina di giorni come primo ministro già nominato e ha differito la nomina dei ministri. Ma poi si è reso conto che il suo governo rischiava di nascere già morto». Stefano Ceccanti è costituzionalista e professore ordinario di diritto pubblico comparato alla Sapienza. Ci aiuta a orientarci nel caos francese di questi giorni.
Professore, ci spiega che cosa è successo in Francia?
«Lecornu si è accorto che non c’era la base parlamentare di sostegno per il suo governo. È vero che in Francia non è necessario avere una fiducia iniziale, ma i mal di pancia erano tali che non si poteva escludere una serie di mozioni di sfiducia e che ad un certo punto i voti su una mozione di sfiducia si sommassero. Ma anche se non fosse sta presentata immediatamente la mozione di sfiducia, l’esecutivo non avrebbe avuto i voti per la legge di bilancio. Insomma, questo governo sembrava figlio di nessuno».
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Perché si è arrivati a questo?
«Il primo ministro non è riuscito nel suo tentativo di apertura ai socialisti, e anche da parte dei repubblicani c’erano parecchi mal di pancia. La condizione per andare avanti era che ci fosse una maggioranza ampia che andasse dai repubblicani ai socialisti, ma in questo caso non c’era il sostegno né degli uni né degli altri. Quindi, piuttosto che andare in aula e farsi sfiduciare subito oppure cadere sulla legge di bilancio, Lecornu ha preso atto di aver fallito ancora prima di cominciare. Il governo sarebbe nato già morto».
Entra definitivamente in crisi l’idea di poter ricondurre verso il centro le ali meno estreme della destra e della sinistra francese?
«Uno dei problemi fondamentali è che l’alleanza a sinistra si è divaricata in maniera significativa. I riformisti e i massimalisti non formano un blocco unico, tanto è vero che socialisti e verdi si sono rifiutati di partecipare a un vertice presieduto da Mélenchon».
Quella di un governo tecnico è una soluzione praticabile?
«In astratto è una soluzione possibile. Invece di fare un governo di tutti come si è tentato di fare finora si farebbe cioè un governo di nessuno. Ci sarebbe un investimento relativamente basso da parte delle forze politiche che in questo modo non si comprometterebbero più di tanto. Questa è una soluzione a cui noi italiani siamo molto abituati, ma che in Francia sarebbe un inedito assoluto, quindi la vedo come una soluzione complicata, anche perché servirebbe comunque una base parlamentare».
Quali sono altre vie percorribili?
«Sempre in astratto una possibilità era quella di pendere un po’ di più verso sinistra, cioè di fare un’operazione speculare a quella che è stata fatta ad inizio legislatura con Michel Barnier. Era una strada che Macron avrebbe potuto provare se avesse proposto una personalità di centro spostata a sinistra, ma Lecornu non era il profilo adatto perché viene dal centrodestra».
Ne parla al passato: queste due vie, quella del governo tecnico e quella dello spostamento a sinistra, sono ancora valide o è troppo tardi?
«In teoria potrebbero ancora essere tentate. Ma dopo tre esecutivi in questa legislatura e dopo questo crollo improvviso del governo, tutti si attendono che Macron sciolga il Parlamento».

Tutti compreso lei?
«Se dovessi scommettere, scommetterei anch’io sullo scioglimento anticipato».
Se si va alle urne il rischio è però che si riproduca lo stesso scenario numerico.
«Con tutta probabilità si verificherebbe questo. Ma più al fondo c’è un problema: il sistema elettorale francese ha funzionato relativamente bene con due partiti, socialista e repubblicano, che avevano possibilità di elezione presidenziale e che erano in grado di alternarsi al potere».
Quando ha iniziato a dissolversi questo sistema bipolare?
«Si è indebolito molto negli anni di Hollande. Macron ha tratto alimento dalla crisi dei socialisti e in parte anche dei repubblicani. Prendendo spunto dalla debolezza di questi due partiti storici ha creato un centro che potesse andare alle elezioni contro l’estrema destra, ma non è riuscito a creare un partito vero e proprio».
Siamo di fronte a una crisi strutturale del sistema politico francese?
«Il grande politologo Maurice Duverger diceva che questo sistema è una piramide. Noi vediamo il vertice, che è il presidente, ma la piramide ha una base che è costituita da maggioranze relativamente disciplinate. Per questo occorrono partiti in grado di presentare sia candidati presidenziali sia candidati per le elezioni legislative. Tutto questo sistema adesso è andato in tilt».
Quindi va cambiato il sistema elettorale?
«Il grosso problema è che non c’è un modo razionale di cambiarlo. Se venissero tolti i due pilastri fondamentali del sistema francese – cioè l’elezione diretta del presidente, che nazionalizza il voto, e il voto maggioritario nei collegi – probabilmente il sistema sarebbe ancora meno governabile, perché mancano i partiti».
È possibile che ora si ricorra all’articolo 16, che dà pieni poteri al presidente?
«Non è una soluzione. La questione più urgente è la legge di bilancio, ma non può essere approvata attraverso l’articolo 16. In ogni caso ci sarebbe il problema di avere un governo; se il governo non c’è, l’unica possibilità sono le elezioni».
Macron ha dato a Lecornu 48 ore di tempo per portare avanti i negoziati. Possibile che riesca a trovare una quadra?
«La vedo dura. Certo è che a questo punto o il governo Lecornu resuscita, oppure Macron andrà verso lo scioglimento. Altri scenari sembrano preclusi».