C’è un termometro della sorte del Mezzogiorno, i giovani lo a considerano un luogo da cui partire e quello in cui immaginare la propria vita
In un Sud che cresce più del Nord, dove l’occupazione torna a segnare livelli positivi, ciò che manca è un racconto realistico e fedele. È questo il vero limite: disporre di narrative contraddittorie tra loro, estremizzanti, che dipingono quest’area del Paese o con una chiave vittimistica, rivendicativa, risarcitoria, produttiva di depressioni e risentimenti, o piuttosto con un’enfasi apologetica capace di vedere nei primi germogli dello sviluppo il miraggio di un eldorado tutto ancora da costruire.
Il realismo vorrebbe invece che l’analisi del sud contestualizzi i segnali di ripresa, che pure ci sono e che inducono all’ottimismo, in un quadro più ampio, che tenga conto delle condizioni strutturali del ritardo meridionale: e cioè la de-industrializzazione, lo spopolamento, e quindi la fuga dei cervelli, la crisi della Pubblica Amministrazione e dei sistemi formativi, la mancanza di corpi intermedi capaci di surrogare il vuoto di politica che affligge il Paese.
Queste condizioni di ritardo sono ancora tutte lì, senza che nessun fattore di inversione sia intervenuto. Anzi, alcune di queste piaghe sono diventate purulente, come per esempio la scomparsa dell’industria pesante, che vede in questi giorni la morte dell’Ilva, o comunque la sua marginalità nel sistema industriale italiano, di cui ha rappresentato un punto di forza.
La variabile giudiziaria, che ha condizionato fortemente il destino dell’azienda e il suo processo di risanamento, e un ambientalismo ideologico e cieco alle ragioni dello sviluppo, illuso che il Mezzogiorno possa vivere solo di beni culturali e turismo rinunciando agli assi portanti dell’economia moderna, hanno prodotto l’ennesimo fallimento industriale, i cui effetti peseranno sul Pil del Mezzogiorno e dello stesso Paese. Senza il Pnrr, e cioè l’immissione di denaro pubblico, in parte preso a prestito e caricato sulle spalle delle generazioni future, che cosa sarebbe stata in questi anni l’economia del Mezzogiorno?
A questa domanda ha risposto uno studio di Confindustria proprio in questi giorni, segnalando che l’Italia sarebbe in recessione se non avesse potuto beneficiare dei fondi europei. Questo per dire che i timidi segnali di risveglio del Sud meriterebbero un coraggio e una visione che ancora non si vedono nella politica industriale, e che presuppongono riforme strutturali di tutte le policy pubbliche capaci di fare economia: la giustizia, la PA, la sanità e gli asset formativi della scuola e dell’Università.
C’è un solo vero attendibile termometro della sorte del Mezzogiorno, ed è la propensione dei giovani a considerarlo non un luogo da cui partire per non tornarvi più, ma il luogo in cui immaginare la propria vita e il proprio futuro. Questa prospettiva è ancora di pochi.