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Riarmo, sinistra in ordine sparso

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Alla ripresa dei lavori parlamentari si rischia subito lo scontro: in calendario c’è oggi la discussione sulle mozioni per fermare la corsa alle spese militari e per spingere l’Italia ad aderire al Trattato sulla proibizione delle armi nucleari. Tema caldo, caldissimo. Ed ecco che la maggioranza per non scottarsi sceglie la via più semplice: non fare nulla. Fratelli d’Italia, Forza Italia e persino la Lega – che pure mal digerisce i carri armati in saldo a Bruxelles – preferiscono non presentare mozioni. Zero. Niente. Una scelta tattica, quasi zen: meglio il silenzio che la collisione.

E così, mentre la destra si mette al riparo nel bunker del non detto, a dividersi è, tanto per cambiare, il centrosinistra. Non una mozione, ma quattro («ma potevano essere 6…», osserva qualcuno) . Del resto, melius abundare quam deficere, dicevano i latini; nel lessico della sinistra suona più o meno così: moltiplicare i testi, frammentare le idee, indebolire la linea comune. I dem hanno una posizione ondivaga che ha già scaldato gli animi all’interno del partito e causato lancinanti divisioni, (Pina Picierno ne sa qualcosa).

L’idea di fondo è chiara: l’Europa deve avere una difesa comune, un esercito federale, un coordinamento vero. Niente concorrenza tra Stati, niente shopping militare ognuno per sé. Per il Pd il piano ReArmEu lanciato da Ursula von der Leyen puzza però di riarmo nazionale disordinato e di business per l’industria delle armi. Meglio trasformare lo strumento Safe da prestiti a sovvenzioni, meglio vietare l’uso dei fondi di coesione per i carri armati e legare ogni investimento a progetti realmente comuni. La difesa, insomma, sì, ma come bene pubblico europeo, non come buco nero nei bilanci nazionali.

Il piano ReArmEU, proposto dalla Presidente della Commissione europea Von der Leyen, va invece nella direzione di favorire soprattutto il riarmo dei 27 Stati membri e va radicalmente cambiato: «L’attivazione della clausola di salvaguardia nazionale consente di fare debito nazionale senza alcun vincolo a utilizzare le risorse per progetti di difesa comune insieme a più Stati membri in modo da realizzare maggiore integrazione e coordinamento, con il rischio ulteriore di creare profonde asimmetrie tra le capacità di investimento, i sistemi nazionali di difesa, a svantaggio degli Stati membri con un indebitamento maggiore».

Il testo di Avs (prima firmataria Luana Zanella) prende le distanze dal pragmatismo dem. La parola chiave è «no al riarmo nazionale». L’Italia, dicono, deve giocare da protagonista per costruire un esercito comune europeo, ma non al prezzo di sacrificare coesione e sanità. Via l’idea di usare i fondi europei per le armi, anzi: servono investimenti stile Next Generation EU, ma questa volta per la pace e la competitività, non per i missili. In più, una spinta diplomatica: sostegno all’Ucraina sì, ma con iniziativa politica autonoma dell’Europa per arrivare a una pace giusta. Il tono è più radicale, quasi movimentista, un mix di ambientalismo e pacifismo che strizza l’occhio alla piazza più che alle cancellerie.

Maria Elena Boschi (Italia Viva) sembra non vuole uscire dall’equazione contabile: fermiamoci al 3,5% del Pil in spese militari, non un euro in più. Una linea – è la critica – cerchiobottista, che prova a salvare capra e cavoli: dare un segnale di fedeltà atlantica, ma senza massacrare il bilancio dello Stato. Più che mozione, sembra una polizza assicurativa per dire un domani: «noi ve l’avevamo detto».

Realismo allo stato puro quello di Azione. Il capogruppo Matteo Richetti ha firmato un testo in cui il governo viene impegnato tra le altre cose a «prevedere una tabella di marcia realistica per l’incremento della spesa per la difesa (…) con l’obiettivo di raggiungere il 2 per cento del Pil già dal 2025 e il 3,5 per cento entro il 2035».

La più sociale delle mozioni rimane dunque di Alleanza verdi sinistra: meno soldi per le armi, più per la sanità pubblica, detto in soldoni. Un refrain che suona bene per intercettare il malcontento popolare – liste d’attesa infinite, pronto soccorso al collasso – ma che rischia di restare slogan se non accompagnato da una strategia credibile su difesa e alleanze. È il populismo gentile della sinistra: un po’ di buon senso, molto cuore, poca ingegneria politica.

Quello che emerge è un quadro da manuale: il PD europeista e riformista, Avs più radicale e pacifista, e poi gli altri due filoni, uno contabile e uno sanitario. Tutti contro il riarmo, sì, ma ognuno con la sua ricetta. Quattro testi, quattro visioni, quattro identità. Invece di unirsi attorno a un’unica proposta forte, la sinistra sceglie ancora una volta la frammentazione. E la maggioranza? Silenziosa, attendista, invisibile. Ha capito che su questo terreno può solo farsi male. Meglio non presentare nulla e lasciare che sia l’opposizione a litigare. Profilo basso, strategia minimalista: se i tuoi avversari si dividono da soli perché alzare la voce?

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