Donald Trump, presidente degli Stati Uniti, ha deciso di assumere un ruolo diretto come garante della trattativa tra Hamas e Israele. Secondo quanto riferito dal quotidiano israeliano Channel 12, la proposta americana punta a un accordo complessivo che includa lo scambio di prigionieri, la liberazione degli ostaggi e la fine delle operazioni militari israeliane a Gaza. L’iniziativa, ancora in fase di discussione, ha già suscitato reazioni contrastanti da entrambe le parti.
Il piano prevede il rilascio di tutti gli ostaggi israeliani, vivi e deceduti, nel primo giorno dell’accordo. In cambio, Israele libererebbe migliaia di detenuti palestinesi, compresi centinaia di militanti condannati per terrorismo, e sospenderebbe l’offensiva per la conquista di Gaza. Durante i colloqui, le ostilità verrebbero congelate, con la supervisione diretta di Trump.Hamas, secondo fonti citate dai media israeliani, non avrebbe respinto l’offerta ma chiede chiarimenti sul numero di detenuti da liberare.
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Una fonte vicina all’organizzazione ha spiegato a Ynet: «Hamas ritiene necessario chiarire alcuni aspetti, in particolare il rapporto tra il numero degli ostaggi rilasciati e la quantità di prigionieri che Israele libererebbe». Dopo la proposta lanciata da Washington, Hamas ha diffuso una nota ufficiale in cui dichiara: «Accogliamo con favore qualsiasi iniziativa che contribuisca agli sforzi per fermare l’aggressione contro il nostro popolo».
L’organizzazione terroristica palestinese aggiunge di essere pronta a «sedersi immediatamente al tavolo delle trattative per discutere il rilascio di tutti i prigionieri in cambio di una chiara dichiarazione di fine della guerra, un ritiro totale dalla Striscia di Gaza e la creazione di un comitato di palestinesi indipendenti per la gestione di quella terra».
Una disponibilità dimostrata anche dallo Stato ebraico. Il governo non ha rilasciato commenti ufficiali, ma fonti vicine al gabinetto di sicurezza hanno confermato l’apertura verso un possibile scambio, pur sottolineando che la decisione definitiva spetta al primo ministro Benyamin Netanyahu. Intanto, però, mentre sul fronte mediorientale si tenta di aprire un varco negoziale, Israele ha avviato un duro braccio di ferro diplomatico con la Spagna.
Il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar ha annunciato sanzioni contro due esponenti del governo di Madrid, il vicepresidente e ministro del Lavoro Yolanda Díaz e il ministro della Gioventù Sira Rego, entrambe appartenenti al partito Sumar. In un comunicato diffuso su X, Sa’ar ha dichiarato: «Il vicepresidente del governo spagnolo e ministro del Lavoro, Yolanda Díaz, non potrà entrare in Israele e non avrà contatti con lo Stato di Israele. Così come Sira Rego, ministro della Gioventù».
Il ministro ha aggiunto: «Israele informerà inoltre i suoi alleati della condotta ostile del governo spagnolo e del carattere antisemita e violento delle dichiarazioni dei suoi ministri».La decisione di Gerusalemme arriva dopo settimane di tensioni crescenti tra i due Paesi. Madrid ha più volte criticato l’azione militare israeliana nella Striscia e il premier Pedro Sánchez ha annunciato una serie di misure restrittive contro Tel Aviv.
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«Il governo spagnolo ha deciso di avviare a scadenza immediata nove azioni per fermare il genocidio a Gaza, per perseguire gli autori e per sostenere la popolazione palestinese», ha dichiarato Sánchez in una conferenza alla Moncloa. Tra le misure rientrano il rafforzamento dell’embargo sulle armi, il divieto di transito nei porti e nello spazio aereo spagnolo per navi e aerei diretti in Israele con materiale militare, e il divieto di ingresso nel Paese per chiunque «partecipi in maniera diretta al genocidio sulla Striscia di Gaza».
Le mosse del governo di Madrid hanno provocato l’immediata reazione di Israele, che ha bollato la linea spagnola come «pericolosa» e «pregiudiziale». Secondo voci diplomatiche, le relazioni tra i due Stati sono scese ai minimi storici, mentre Bruxelles osserva con crescente preoccupazione lo scontro che coinvolge due Paesi membri della comunità internazionale con legami diretti con l’Unione europea.