C’è una frase di Sant’Agostino in cui la protagonista della storia che stiamo per illustrare avrebbe potuto riconoscersi: “La speranza ha due bellissime figlie. I loro nomi sono sdegno e coraggio: sdegno per come stanno le cose e coraggio per cambiarle”. Mary McLeod seppe sdegnarsi per quello che videro i suoi occhi di bambina. Prese coraggio e lottò per mutare lo stato delle cose. Cominciò come un’instancabile formichina e poi divenne una leonessa che nessuno poté ignorare. Fu riconosciuta come la donna di colore più influente del suo tempo negli Stati Uniti.
Nata il 10 luglio 1875, nella Carolina del Sud, era la quindicesima di 17 figli di una coppia di ex-schiavi: Samuel e Patsy McLeod. Dopo la guerra civile, la madre tornò a lavorare per l’uomo che era stato il suo proprietario. Lo fece fino a quando accumulò la somma necessaria per l’acquisto di un terreno. La famiglia avrebbe coltivato insieme il cotone. E appena compiuti nove anni, anche Mary cominciò a lavorare nella piantagione dei genitori. Non smise di studiare. Le piaceva anche accompagnare mamma Patsy quando consegnava a varie famiglie la biancheria pulita. E sembra proprio che il futuro di Mary sia nato da una mortificazione subita: un giorno, nell’accompagnare la madre, la bambina indugiò, incantata, di fronte a una grande libreria piena di volumi. Ne prese uno e cominciò a sfogliarlo. Subito una bambina che abitava in quella casa esclamò: “Che cosa guardi? I neri non sanno leggere”. Bastò questo. Anziché abbassare gli occhi mortificata la ragazzina fece a sé stessa una promessa: Non succederà più. Ma cosa? Non avrebbe più aperto un libro davanti a una bambina bianca? Tutt’altro. Imparare a leggere bene fu il suo immediato obiettivo. Per questo frequentò la Trinity Mission School e fu seguita da un insegnante, Emma J.Wilson, che divenne per un importante riferimento. A 12 anni Mary McLeod forte di quanto era riuscita a imparare, cominciò a insegnare a leggere sia ai suoi fratelli sia ai genitori. Poi coinvolse gli amici e chiunque accettasse il suo aiuto. Insegnare a leggere divenne la sua missione. La capacità di questa ragazzina fu riuscire a mettere in secondo piano il pregiudizio razziale per dare inizio alla lotta contro la discriminazione educativa. Non si è diversi per il colore – ne era convinta – ma quando non si ha il diritto di leggere, di studiare e di scegliere. Se si impedisce questo diritto nasce la discriminazione. La sua lotta, se si riflette, fu utile anche per “i bianchi” discriminati per povertà o altre ragioni.
Tenendo questo punto fermo nella sua vita Mary si diplomò nel 1894 allo Scotia Seminary (un collegio nella Carolina del Nord) e frequentò a Chicago il “Dwight Moody’s Institute for Home and Foreign Missions”. Cominciò a lavorare come insegnante. Poi conobbe Albertus Bethune che sposò nel 1898 e dal quale ebbe il 3 febbraio 1899 un figlio, Albert jr. La famiglia si trasferì a Palatka, in Florida, dove Mary McLeod Bethune fondò una scuola missionaria. Da quel momento avrebbe portato l’istruzione dove era stata proibita, anche nelle carceri. Presto il marito le avrebbe voltato le spalle, abbandonandola all’improvviso. Ma Mary era una combattente. Prese con sé il figlio e andò per la sua strada.
Questa donna non era senza paure. Ma le affrontava. Fu consigliera di quattro presidenti degli Stati Uniti a cominciare da Franklin Delano Roosevelt. Era divenuta amica della signora Eleonor Roosevelt nel 1927, durante un incontro del National Council of Woman degli Stati Uniti. Quel giorno ci fu un pranzo ufficiale e nessuno volle prendere posto accanto alla Bethune. Lo fece la signora Eleonor. Le due donne parlarono a lungo, scoprendo di avere molti ideali in comune, per cui combattere. E fu l’inizio di un’amicizia solida e di una collaborazione per i diritti umani.
Il primo progetto concretizzatosi nel 1904 fu una scuola allestita in una capanna. Mary la chiamò “Daytona Literary and Industrial Training School for Negro Girls”. Inizialmente, composta da una sola aula, era frequentata da sei studenti (cinque bambine e suo figlio Albert di cinque anni). Dopo due anni gli alunni divennero 250. Per loro Mary creò “matite” ricavandole dal legno carbonizzato, inchiostro ricavato dalle bacche di sambuco e materassi improvvisati (sacchi di mais imbottiti di muschio). Affrontò critiche e intimidazioni. Ma insegnò alle proprie ragazze a rimanere ferme nei propri intenti: “Se avremo il coraggio e la tenacia dei nostri antenati, i quali rimanevano saldi come rocce contro la frusta della schiavitù, troveremo il modo per fare dei nostri giorni ciò che essi fecero dei loro.”
Dopo l’approvazione del XIX emendamento nel 1920, Mary Bethune affrontò una nuova sfida: era stata imposta dai legislatori bianchi una tassa e proposto un test di alfabetizzazione per impedire il voto dei neri. Mary allora si recò in bicicletta, di porta in porta, chiedendo un’offerta per pagare la “tassa elettorale”, tenendo corsi serali per insegnare a leggere ai futuri elettori. La donna che la società americana avrebbe voluto vedere ancora ai margini, silenziosa e a occhi bassi in poco tempo fu soprannominata “The First Lady of the Struggle.”
Numerosi furono gli incarichi ricoperti dalla Bethune nel corso degli anni, soprattutto in Organizzazioni educative, femminili, politiche, di difesa razziale, alcune delle quali fu proprio lei a creare: dal 1935 ricoprì la carica di consigliere speciale del presidente Franklin Roosevelt per gli affari delle minoranze, dal 1936 fu anche direttrice della Divisione per gli affari dei neri, e nel 1938 entrò a far parte del Consiglio per l’edilizia abitativa di Daytona Beach e nel 1942 divenne assistente speciale del Segretario alla Guerra per la selezione dei candidati per la scuola di addestramento ufficiali. Nello stesso annocreò il Women’s Army Corps, e garantì l’integrazione razziale. Fu l’unica donna di colore alla conferenza istitutiva delle Nazioni Unite nel 1945.
Fu attenta anche alla scrittura, collaborando con alcune testate giornalistiche fra cui l’“Aframerican Woman’s Journal”, il “Journal of Negro History” e rubriche settimanali su quotidiani come il “Pittsburgh Courier” e il “Chicago Defender”. Ma soprattutto comprese l’importanza di creare un archivio storico in grado di attestare il contributo delle donne nere alla cultura americana. Ancora oggi è l’unico dedicato esclusivamente alla raccolta, alla conservazione di documenti e all’interpretazione delle donne afroamericane.
È stata una donna imprevedibile e forte, capace di ritagliare per sé sempre del tempo libero per coltivare qualche hobby. Per esempio collezionava fotografie di personaggi celebri nella cultura, nella politica, nella storia. Negli ultimi tempi usava un bastone, forse anche perché, nonostante fosse anziana e robusta, non voleva rinunciare al vezzo del tacco alto. Il bastone per lei non fu solo un appoggio, ma un altro “pezzo da collezionare”: ne aveva un’infinità, molti dei quali appartenuti a personaggi famosi. Eleonor Roosevelt le regalò quello del marito appena scomparso. Di sé Mary aveva scritto di sentirsi molto legata alla terra in cui era nata, sentiva in sé l’anima dell’Africa. Legò questa dolce nostalgia a un’altra collezione: elefanti in miniatura. Era la sua anima bambina che ancora riaffiorava, per dialogare con i nipotini che spesso le facevano compagnia. Suo figlio Albert ebbe, infatti, cinque figli e una marea di nipoti e pro nipoti a cui nonna Mary poté donare affetto, favole e un’eredità importantissima: “Vi lascio la sete di istruzione. La conoscenza è il bisogno primario del momento.”
Nel 1947 abbandonò ogni incarico per trascorrere gli ultimi anni della sua vita nella casa che amava definire “il Ritiro”, situata nel campus della sua scuola. Riposo? Macché! “Ho già iniziato a lavorare alla mia autobiografia, che racconterà dettagliatamente il mio percorso di vita, insieme agli innumerevoli viaggi che mi hanno portato all’estero, in ogni angolo del nostro Paese, in case sia umili che lussuose, e persino alla Casa Bianca per incontrare i Presidenti”, disse.
Morì il 18 maggio 1955 e fu sepolta nel campus della scuola. Sulle pagine del Daytona Beach Evening Newspaper si legge, in quei giorni: “La lezione della vita della signora Bethune è che il genio non conosce barriere razziali”. In una lunga lettera-testamento Mary ebbe un pensiero per i giovani, il loro futuro, le loro lotte e scrisse “le Porte della Libertà sono socchiuse. Dobbiamo forzarle per spalancarle completamente”.
Stefania De Bonis