Home / Notizie / La sacra tunica nascosta a Hitler

La sacra tunica nascosta a Hitler


L’ossessione di Vittorio Emanuele III: essere il re che non sa custodire la Sindone

di SALVATORE GIANNELLA e GAETANO GRAMAGLIA


Torino, 6 settembre 1939. Il re d’Italia Vittorio Emanuele III guarda fuori, da una delle finestre del Palazzo Reale. Il palazzo è il cuore della capitale piemontese e il re ama guardare la gente che cammina, attraversando la centralissima Piazza Castello. Il sovrano è silenzioso e preoccupato. Qualche giorno prima, alle 4:45 del 1° di settembre, truppe della Germania nazista guidata da Adolf Hitler, hanno invaso la Polonia senza una formale dichiarazione di guerra. Lo spettro di un nuovo conflitto mondiale si sta avvicinando. Da Roma il capo del governo fascista, Benito Mussolini, ha fatto sapere che l’ Italia, seppur legata alla Germania da un patto d’acciaio, in questa fase resterà neutrale. Sì, ma per quanto tempo?, si preoccupa il regnante di casa Savoia. C’è un’altra cosa che inquieta il re. Riguarda il patrimonio culturale italiano, in particolare la sua Sindone, il sacro lino appartenuto alla sua famiglia da cinque secoli, da quando nel 1453 Margherita di Charny, feudataria di Liery nel sud della Francia, l’aveva venduto a Ludovico II di Savoia.


[…] La duplice preoccupazione (bombe e possibile saccheggio da parte dei nazisti) di Vittorio Emanuele III, in quel 6 settembre ’39, era fondata. […] Qualche mese prima, nel maggio del ’38, durante la visita di Hitler e del suo seguito a Roma, Firenze e Napoli, ha notato un interessamento maniacale del Führer per i quadri, le sculture, insomma per le bellezze artistiche di cui l’ Italia è ricca. Alla principessa Mafalda, figlia secondogenita del re, addirittura il dittatore nazista s’era spinto a fare domande ossessive sulla Sindone, insieme alla pretesa di sbirciare di nascosto Villa Savoia, la residenza privata di Vittorio Emanuele III, oggi ambasciata d’Egitto a Roma, confinante con la dimora della principessa di cui fu ospite […] Il re aveva saputo che Hitler era ossessionato dai tre simboli della cristianità: la Lancia Sacra, che la tradizione vuole essere appartenuta al centurione Longino, con la quale sarebbe stato trafitto il costato di Gesù; il Santo Graal; il calice dove Cristo avrebbe benedetto il vino durante l’ultima cena; e la Sacra Sindone, il lenzuolo che, secondo la tradizione cristiana, avrebbe avvolto il corpo privo di vita di Gesù.


Vittorio Emanuele III non si fida di quel capo nazista che aveva dimostrato una morbosa propensione per i riti esoterici e disprezzo per gli aristocratici e regnanti di ogni sorta.


Aveva visto giusto, il re. Anche a causa delle informazioni passategli dal figlio Umberto, a sua volta messo al corrente dal cognato Filippo d’Assia, marito di Mafalda, la principessa che morirà nel lager di Buchenwald nel 1944. I Savoia erano entrati nel cerchio dell’odio da parte di Hitler a causa delle perplessità della Corona e di Galeazzo Ciano di fronte al rinsaldarsi dell’alleanza dell’ Italia con la Germania e alla prospettiva di un’entrata in guerra. […] Il Re ricorda bene l’affronto fattogli dal dittatore nazista quando, giunti alla carrozza reale che lo avrebbe accompagnato alle stanze del Quirinale a lui riservate, era salito prima del re, infrangendo la rigida etichetta monarchica e provocando così un irreparabile incidente diplomatico. Quel ricordo rafforza la convinzione di Vittorio Emanuele III: sono in arrivo tempi di prevaricazione e di usurpatori. Così matura la sua decisione. Trasferirà la Sacra Sindone in un luogo sicuro. Chiama il conte Pietro d’Acquarone, ministro della Real Casa e gli ordina di trasferire il sacro lenzuolo in un ricovero speciale. L’operazione deve rimanere segreta a tutti, compreso il cardinale Maurilio Fossati, arcivescovo di Torino.


Quella stessa sera, re Vittorio Emanuele III sale sul treno che lo porterà a Roma. Per tutto il tragitto, prima in carrozza da Palazzo Reale e poi in stazione ferroviaria, non ha mai perso d’occhio una cassa di legno. Nessuno poteva immaginare che tra i bagagli del re ci fosse la Sacra Sindone. Il sovrano appare ancora pensieroso, dorme poco, guarda il buio oltre il finestrino del treno, vuole essere certo di mettere al sicuro quel sacro Sudario; non sarà certo lui a passare alla storia come il re che si è lasciato scappare la reliquia più importante della cristianità, di proprietà dei Savoia dal 1453.


Ma dove custodire il sudario con l’ombra pallida del corpo, con il volto, con le macchie più scure: quelle che vengono credute come il sangue di Cristo? […] Ecco, su quel telo il re ora ha un piano. Una volta giunti a Roma sistemerà la cassa contenente il prezioso lenzuolo al Quirinale e poi interpellerà i vertici del Vaticano.
Il re, con il suo seguito, dalla stazione si porta al Quirinale, residenza ufficiale del sovrano. Fa sistemare la cassa nella cappella Guido Reni (o cappella dell’Annunziata, uno dei gioielli artistici del Quirinale) […]. È proprio qui, in questa piccola cappella voluta da papa Paolo V, sotto la Madonna del cucito, che il re incontra il Sostituto alla Segreteria di Stato in Vaticano, Giovanni Battista Montini, il futuro papa Paolo VI.
[…] A Montini il sovrano esprime tutta la sua preoccupazione. Durante il viaggio ha riflettuto e ha capito che il Quirinale, così come Torino, non è un luogo sicuro per custodire la Sindone. Vittorio Emanuele III propone al cardinale Montini di trasferire la reliquia in Vaticano. Ipotesi però scartata dal prelato. «Troppo pericoloso», esclama Montini. Se l’Italia fosse entrata in guerra, neppure la Santa Sede sarebbe stata al riparo dalle incursioni aeree e dagli altri pericoli della guerra.


Il re è sconsolato, quasi perde la pazienza: possibile che il Vaticano non sia un posto sicuro? Montini, che gode di grandi qualità di mediatore e organizzatore, ha in realtà un’altra idea. Trasferire la Sindone in un’abbazia benedettina: quella di Montecassino oppure in quella, gemella, di Montevergine, nell’Irpinia campana. Entrambe le abbazie racchiudono tutti i criteri di sicurezza per la custodia della Sindone.


La scelta finale cade su Montevergine, in territorio di Mercogliano (Avellino), alla quale il casato sabaudo è legato da antica devozione di Margherita di Savoia, figlia del duca Amedeo e moglie del re Luigi III d’Angiò che nel 1433 aveva donato al convento una tavola votiva per essere sopravvissuta a un naufragio, e dalla devozione di Maria Cristina di Savoia, regina delle Due Sicilie, che era venuta nell’abbazia a chiedere la grazia di un figlio e dove aveva lasciato uno dei suoi abiti nel 1833. L’abate di Montevergine Guglielmo De Cesare ne era stato il primo postulatore e ne aveva scritto la prima biografia.


E poi lo stesso Vittorio Emanuele III, in quel santuario, c’era stato e ne aveva apprezzati il decoro e la dignità: nel 1936 aveva visitato l’abbazia in occasione di una grande esercitazione militare svoltasi in Irpinia alla quale aveva presenziato lui stesso, accompagnato dal principe Umberto e da Mussolini. Un santuario a 1.270 metri, protetto dai fitti castagneti che rivestono il monte Partenio a Mercogliano, di cui aveva conosciuto bellezza e sicurezza. Un luogo difficilmente accessibile, in quanto lontano dalle principali vie di comunicazione e quindi meno esposto ai pericoli dei bombardamenti o delle incursioni nemiche.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *