Se il Consiglio comunale di Taranto deciderà di chiudere le porte al polo Dri (Direct Reduced Iron) per la produzione del preridotto per alimentare i forni elettrici dell’ex Ilva, Gioia Tauro è pronta ad aprirle. Per il momento si tratta soltanto di un’ipotesi, la scelta tocca al Comune pugliese che ospita il gigante dell’acciaio, ma il tempo stringe, una decisione va presa. Il centro portuale calabrese, dal canto suo, ha le carte in regola per poter essere una valida alternativa.
Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha fatto il punto sul futuro dello stabilimento e dell’industria siderurgica italiana durante una visita al porto di Gioia Tauro insieme al presidente dimissionario della Regione Calabria, Roberto Occhiuto. La questione sarà sul tavolo di un comitato tecnico che si insedierà oggi al Mimit, cui prenderanno parte anche i ministeri delle Infrastrutture, dell’Ambiente e dell’Economia e i rappresentanti di tutti gli enti locali interessati, dell’Autorità portuale, della Zes e della società Snam, incaricata di garantire la fornitura di gas in questa fase di transizione. Il gruppo di lavoro dovrà concludere i lavori entro due settimane, così da arrivare a una proposta definitiva entro il 12 agosto, quando è prevista un nuovo incontro al Mimit con all’ordine del giorno l’accordo di programma interistituzionale e in pratica il piano di decarbonizzazione presentato dal governo e, ha evidenziato Urso, «condiviso in Parlamento insieme al decreto legge che è stato convertito sull’ex Ilva».
Il piano di decarbonizzazione dell’ex Ilva presentato dal governo prevede la realizzazione a Taranto di tre nuovi forni elettrici più uno a Genova per una produzione a regime di 8 milioni di tonnellate di acciaio all’anno, di cui 6 a Taranto. I quattro impianti di preridotto sono ipotizzati tutti a Taranto insieme agli impianti di cattura e stoccaggio della CO2, ma su base annua, a regime, servono 5,1 miliardi di metri cubi di gas per alimentare l’insieme impiantistico. Per Taranto è stato prospettato l’arrivo di una nave di rigassificazione, osteggiata però dal Comune. Di qui l’alternativa Gioia Tauro per il polo del Dri, mentre a Taranto resterebbero solo i forni elettrici, per i quali il consumo annuo di gas è nettamente inferiore ai 5,1 miliardi di metri cubi calcolati per tutti gli impianti.
Il tempo stringe. «Taranto ha la prima scelta per motivi morali, storici, economici e sociali – ha spiegato Urso – ma se non ci saranno le condizioni per realizzare qui il polo nazionale del Dri, dovremo valutare seriamente l’ipotesi Gioia Tauro come sito alternativo, perché fornirebbe tutte le condizioni necessarie alla competitività di quel polo che serve all’autonomia strategica del nostro Paese». Il porto calabrese offre fondali adeguati, collegamenti ferroviari e la possibilità di garantire l’approvvigionamento energetico grazie alla nave rigassificatrice già autorizzata e, in prospettiva, a un rigassificatore terrestre. «Qui ci sono tutte le condizioni che le imprese chiedono per investire – ha osservato Urso –: infrastrutture logistiche, energia e spazi disponibili». «Il rigassificatore per noi è importante e strategico, ma pur di attrarre investimenti a Gioia Tauro saremmo disponibili anche a partire con una nave rigassificatrice nella prima fase», ha affermato Occhiuto.
Il piano illustrato ai sindacati e agli enti locali prevede investimenti necessari pubblici e poi, successivamente, privati, per realizzare i quattro Dri ipotizzati in otto anni. Investimenti per circa a 6-7 miliardi di euro, con un’occupazione nella fase di realizzazione di almeno 2.500 occupati oltre a quelli che poi dovranno essere impiegati per l’attività del Dri. I primi 2 Dri, ha specificato Urso, dovranno essere realizzati nel prossimo quadriennio in contemporanea allo spegnimento del primo altoforno a Taranto e alla realizzazione dei primi due forni elettrici, uno a Taranto e l’altro a Genova. «Poi – ha aggiunto il ministro – il terzo Dri nei successivi due anni, quando si spegnerebbe il secondo altoforno e a Taranto sarebbe realizzato il secondo forno elettrico, e il quarto Dri nei successivi 2 anni. Nell’arco di otto anni, quindi, gli interi impianti siderurgici dell’ex Ilva saranno pienamente decarbonizzati». A questo punto si realizzerebbe, ha sottolineato Urso, il «polo siderurgico green più importante d’Europa e forse del mondo, a compimento di un progetto di decarbonizzazione che ci farebbe diventare così il primo Paese a produrre esclusivamente acciaio green d’Europa».