La formazione guerrigliera conclude così una sanguinosa fase di lotta armata: uno dopo l’altro hanno deposto l’equipaggiamento in un braciere
Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) ha ufficialmente deposto le armi. Nei pressi della città di Sulaymaniyah, nel Kurdistan iracheno, è andata in scena ieri una cerimonia densa di emozioni per chi, tra il fiero popolo curdo, ha dedicato una vita intera alla lotta armata. In presenza di un pubblico selezionato, fotografi e media locali, alcuni ufficiali Peshmerga hanno compiuto un gesto carico di significato: uno dopo l’altro, hanno deposto le proprie armi e l’equipaggiamento militare in un braciere ardente.
Questo atto simbolico sancisce la chiusura di un capitolo segnato da quarant’anni di feroci combattimenti. Le stime delle vittime legate all’insurrezione, a partire dal 1978, anno in cui nacque il PKK, variano tra 30 mila e 40 mila morti, con picchi annuali di circa 2 mila decessi nei periodi di maggiore intensità del conflitto.
«Consideriamo questo sviluppo una svolta irreversibile, un’opportunità per proteggere vite innocenti e costruire un futuro libero dal terrore. La Turchia rimane impegnata a sostenere tutti gli sforzi che diano priorità al disarmo, alla stabilità e a una riconciliazione duratura nella regione».
Queste sono state le parole di un alto rappresentante del governo turco, nel primo commento ufficiale della Repubblica turca riguardo alla cerimonia in questione. Ankara ha infatti giocato un ruolo primario nel processo di disarmo, segnando un ulteriore successo per il presidente Recep Tayyip Erdogan, che è riuscito a ottenere un importante risultato politico sia a favore della Turchia sia sul piano geopolitico. La cessazione delle ostilità con il PKK potrebbe infatti avere ripercussioni anche sui curdi siriani, che controllano la regione del Rojava nel nord-est della Siria, al confine con la Turchia, e contro i quali Ankara è impegnata da tempo in operazioni militari.
La pace non sarebbe stata comunque possibile senza il contributo fondamentale di Abdullah Öcalan, leader del PKK, detenuto dal 1999 e costretto a lunghi periodi di isolamento nell’isola-prigione di Imrali. In un videomessaggio dello scorso febbraio, Öcalan aveva sollecitato il suo popolo a deporre le armi e porre fine alla lotta armata. Dietro questa svolta storica si celavano però complesse negoziazioni con il governo turco, intenzionato a cercare un accordo con la comunità curda per ragioni politiche.
Per Erdogan e il suo Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP), infatti, gli oltre 20 milioni di cittadini curdi residenti in Turchia rappresentano un elettorato chiave, capace di attenuare il calo di consensi che il partito sta affrontando. Alle elezioni locali del 2024, ad esempio, l’AKP ha ottenuto il 32% dei voti, registrando una flessione di dieci punti percentuali rispetto alle precedenti consultazioni. Con le elezioni presidenziali del 2028 ormai all’orizzonte, Erdogan, al potere dal 2003, necessita del sostegno di altre forze politiche per sperare in un terzo mandato.
Invero, con la conclusione della lotta armata le rivendicazioni politiche del popolo curdo non saranno destinate a scomparire, ma saranno integrate all’interno del processo democratico. Alla cerimonia svoltasi a Sulaymaniyah erano infatti presenti, in qualità di osservatori, anche i rappresentanti del Partito filo-curdo per l’Uguaglianza dei Popoli e la Democrazia (DEM), la formazione politica che ha giocato il ruolo più rilevante nel mediare l’accordo tra il governo e Öcalan, convincendo il leader del PKK a mettere fine a quarant’anni di conflitto. Il DEM è stato in grado di ristabilire un dialogo con Öcalan attraverso numerose visite a Imrali. Tra i principali protagonisti di queste interazioni vi sono stati i deputati Pervin Buldan e Mithat Sancar, che hanno avuto ripetuti incontri con il leader curdo, oltre che con lo stesso Erdogan, affiancato dal capo dell’intelligence Ibrahim Kalin e dal vicepresidente dell’AKP Efkan Ala. «Stiamo salvando la Turchia da un problema terroristico che dura da mezzo secolo», ha affermato il 9 luglio Erdogan durante un discorso parlamentare. Tuttavia, appare evidente che il presidente turco stia cercando anche di preservare la propria carriera politica.