Pier Silvio: «Mio padre è sceso in politica a 58 anni. Io ne ho 56, servono volti nuovi». E sullo Ius Scholae dice, «non è la priorità»
Non è una discesa ufficiale quella di Pier Silvio Berlusconi ma poco ci manca. Perché l’apertura del proprietario di Mediaset durante la presentazione dei nuovi palinsesti è stata un chiaro segnale politico, sulla concretezza di una sua futura candidatura. «Mio padre è sceso in politica a 58 anni. Io ne ho 56. Oggi non ho nessuna intenzione e non penso alla politica. Guardando al futuro non lo escludo, come non escludo tante altre cose nella mia vita, ossia che a un certo punto io possa dire “sai che c’è, una sfida completamente nuova, perché no?”», ha detto infatti il figlio di Silvio Berlusconi, prima di lanciarsi in un lungo intervento squisitamente politico. Premiando il Governo Meloni («il migliore d’Europa») ed entrando a gamba tesa sulla proposta del leader forzista Antonio Tajani sullo Ius Scholae («Non una priorità») e criticando Matteo Renzi, che avrebbe «perso credibilità e peso politico».
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Può darsi che nel popolo che fu “della libertà”, quello composto dagli elettori moderati del centrodestra italiano, le parole di Pier Silvio Berlusconi abbiano suscitato sentimenti contrastanti. Innanzitutto, vedere ancora un Berlusconi alla guida dell’unico partito italiano apertamente di centrodestra risveglierebbe la passione di quel popolo che al nome del fondatore di Mediaset ha associato non solo una proposta politica – quella della vagheggiata (e mai realizzata) “rivoluzione liberale” – ma anche un’identificazione umana, la proiezione in una persona di un’identità italiana stereotipata ma in cui piace riconoscersi.
Ebbene, Pier Silvio Berlusconi ha giocato sulle analogie tra la sua vita e quella del padre, quando, in un’intervista esclusiva rilasciata a margine della presentazione dei palinsesti Mediaset, ha lasciato intendere che, avendo solo 56 anni, non è escluso che possa ripercorrere le orme del padre e darsi ancora un paio di anni prima di scendere in campo.
Certo, Pier Silvio sembra non possedere né il carisma né le capacità comunicative del padre, come sicuramente non le possiede l’attuale leader di Forza Italia Antonio Tajani. Proprio a Tajani il Ceo di Mediaset non ha rinunciato a dare una spallata, si è detto dispiaciuto di non essere in sintonia con il ministro degli esteri sullo Ius Scholae e ha denunciato l’anzianità – non anagrafica, ma di proposta politica – della classe dirigente di Fi.
Questo elemento, unito agli elogi al governo Meloni, definito «il migliore d’Europa», sembra voler assestare convintamente nella parte destra dell’emiciclo il partito più di “centro” dell’attuale maggioranza, allontanando dai suoi esponenti e dai suoi elettori ogni tentazione che arrivi dal terzo polo. Del resto, fino a pochi mesi prima della morte di Berlusconi, Carlo Calenda aveva iniziato una feroce campagna di delegittimazione del Cavaliere, con l’intento non troppo velato di cannibalizzare l’elettorato più moderato della destra italiana. Tutte le ultime tornate elettorali hanno però confermato che quell’elettorato non ne vuole sapere né della sinistra né del centro, dando conferma di un tratto caratteristico del centrodestra italiano: il pragmatismo.
Se l’elettorato di sinistra è un elettorato ideologico e perciò rassegnato ad accettare divisioni interne, correnti e dispute di coalizione scatenate da questioni di principio, completamente diverso è il discorso dall’altra parte: l’elettore di destra è votato a un realismo che a tratti sfocia nel cinismo. Con un acume che gli va riconosciuto, Berlusconi jr sembra aver riconosciuto questi elementi per così dire “sociologici” e ha inteso dare loro una copertura che per il momento è solo mediatica e forse, un domani, sarà anche politica. In questo quadro di “allontanamento dal centro” si inserisce anche la sferzata a Matteo Renzi, o quella che sicuramente Renzi ha interpretato come tale, se è arrivato a dichiarare di voler interrompere la sua collaborazione con Mondadori.
Il videocommento – Ius scholae, l’occasione persa di Forza Italia di Alessandro Barbano
Non è casuale che il leader di Italia Viva aggiunga che Berlusconi padre «non l’avrebbe mai fatto», come a voler distanziare il padre dal figlio e sciogliere quel legame che i forzisti italiani si ostinano, legittimamente o meno, a vedere. In un quadro di grande confusione in Europa – oggi Fi e Fdi non voteranno la sfiducia a Von der Leyen mentre la Lega la voterà –, di scontri interni su chi e in che regioni candidare, le parole di Pier Silvio intervengono per tentare di far riacquistare al centrodestra italiano una compattezza che, dal suo punto di vista, non può essere riacquistata se non – almeno in questa fase – accodandosi alla proposta politica del governo Meloni. Se questo sia o non sia un ostacolo alla realizzazione in Italia di una proposta liberale, già intralciata dalla crisi della solidarietà atlantica e dalle sfide geopolitiche che infiammano il mondo, al momento non è dato sapere. Senza dubbio le parole di Pier Silvio Berlusconi generano mormorii anche in Forza Italia: i retroscena raccontano già di malumori e inquietudini. Del resto, quello di un centrodestra che si sfascia e si ricompatta è un film che abbiamo già visto in passato. Di padre in figlio.