Sulla strada dell’Italia verso il Mondiale non c’è solo il campo: ora c’è anche Trump. Dalle qualificazioni ai nodi politici e burocratici legati agli Usa
Chi volesse andare ai prossimi Mondiali di calcio per sostenere l’Italia dovrebbe prima superare due “tornei” (e relativi ritornelli): il primo, per dargli un nome che lo rappresenti, è Rino Gattuso; il secondo è Donald Trump. Gattuso, se le cose dovessero andare male per gli azzurri a marzo, sarebbe il condannato numero uno, anche se in realtà la sua colpa sarebbe – non trascurabile ma non la principale – quella di averci messo la faccia e tutto il resto.
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Il calcio italiano
A proposito di calcio italiano, vale la pena segnalare una semplice espressione aritmetica emersa nell’ultima giornata di Champions League: le quattro squadre italiane, le due vittoriose – l’Atalanta tra gli applausi a Bergamo e la Juventus tra i fischi a Torino – e le due sconfitte, l’Inter contro il Liverpool (che non è più “il Liverpool di una volta”, quello di “Sim Salah Bim” e di Mastro Klopp) e il Napoli finito a incocciare all’Estadio da Luz senza elettricità contro il Benfica di Mourinho (che non è più il Benfica di Eusebio e che porta ancora addosso la famosa “maledizione di Guttman”, l’allenatore che dopo aver vinto coppe europee chiese un adeguamento del contratto e, al rifiuto, lanciò l’anatema “non vincerete più”, e così fu, anche se Mourinho resta Special One alla faccia di chi lo considera bollito).
I numeri
I numeri in questione sono 63 e 17 (senza nulla a che vedere con il “six seven” degli adolescenti nella comunicazione digitale, che forse vuol dire “così così” o forse no, ed è uno dei brain rot cari alla Generazione Alpha): 63 sono stati i giocatori, a minutaggio variabile, schierati dai vincenti Paladino e Spalletti e dai perdenti Chivu e Conte, e di questi appena 17 erano “eleggibili” per la maglia azzurra.
Il vero problema
Non è questo il problema, ma semmai il sintomo del problema, che parte dai bambini che non giocano più a pallone nei prati e nei cortili, che finiscono – chi può permetterselo, perché costa – nelle scuole calcio dove si insegna più a rinchiudersi negli schemi dettati dall’algoritmo che a trattare il pallone, e che prosegue nei vivai, dove il viavai riguarda soprattutto calciatori d’importazione da trasformare, se non in campioni, almeno in merce da plusvalenza sul mercato dei futures. Come si dice, dunque, “c’è ben altro”, e quel ben altro non lo si affronta mai.
La ghigliottina Trump
Superata la fine di marzo, per il volontario del tifo ci sarà poi da superare – accantonando per un attimo il problema dei costi già alle stelle e strisce – la ghigliottina Trump. Il presidente pacifico (e assai poco atlantico) ha firmato una delle tante disposizioni che firma a cuor leggero, con penna piuma, salvo poi spesso rimangiarsela prima che il gallo canti, e dunque c’è speranza che accada anche stavolta. Trump ha firmato qualcosa – legge o decreto che sia – che potrebbe obbligare chiunque voglia entrare negli Stati Uniti, non più solo da Paesi catalogati come canaglia ma anche da Paesi pappa e ciccia come l’Italia, a dichiarare nel modulo di richiesta del visto una quantità di informazioni devastanti per privacy, tolleranza, libertà personali e diritti civili.
L’inquisizione digitale
Bisognerà dettagliare gli ultimi cinque anni di vita social, magari dopo aver espresso un sentiment non esattamente entusiasta verso qualche iniziativa donaldiana o verso qualcuno dei suoi amici e parenti, tra cui il presidente della Fifa Gianni Infantino, che ha insignito Trump di un simil-Nobel della pace che somiglia più a un IgNobel. Ma non basta: andranno dichiarati i numeri telefonici più chiamati, dove e quando sono nati papà, mamma, figli e figlie, forniti tutti gli account, i conti bancari con accesso ai movimenti, un selfie per i dati biometrici e perfino gli indirizzi mail più utilizzati negli ultimi dieci anni. L’Inquisizione spagnola indagava con maggiore discrezione.
L’appello finale
Gattuso, pensaci tu: inciampa sull’Irlanda del Nord e, se serve, su Galles o Bosnia. Non vogliamo che, via Infantino, Trump venga a sapere quante volte siamo stati su OnlyFans. Anche perché lui non ci dice quante volte è salito sull’aereo di Epstein, né Infantino quante volte è passato da casa sua.









