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Witkoff, Kushner e la diplomazia di “famiglia”

Il presidente americano Trump ha scavalcato i canali ufficiali per accentrare il potere secondo logiche aziendali

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Ha dovuto commentare i negoziati con Vladimir Putin dal suo ufficio di Washington, il Segretario di Stato Marco Rubio, vale a dire l’uomo che in teoria avrebbe dovuto condurli. Perché la scena al Cremlino – come in altre occasioni precedenti – è stata dominata interamente da altri negoziatori, Steve Witkoff e Jared Kushner, il cui ruolo ha da tempo parzialmente oscurato i rappresentanti ufficiali della diplomazia americana, denotando la deriva sempre più “cortigiana” imboccata dall’amministrazione Trump.

Witkoff, l’avvocato del Presidente

Il 68enne Witkoff è un avvocato ebreo di New York, specializzato in transazioni immobiliari. Ha conosciuto Donald Trump nel 1986, lavorando per uno studio legale che aveva tra i suoi clienti il magnate dei casinò, e da allora le loro strade non si sono più divise.

Dopo il ritorno del presidente alla Casa Bianca lo scorso gennaio, l’avvocato newyorchese – che durante il primo mandato di Trump aveva mantenuto una posizione defilata – ha fatto la sua irruzione sulla scena politica e diplomatica di Washington come l’agente prediletto di Trump, il suo personale rappresentante per tutte le situazioni di crisi in giro per il mondo. Inizialmente, Witkoff fu prescelto come inviato speciale per il Medio Oriente. La scelta fece discutere: non solo l’immobiliarista aveva zero esperienza diplomatica pur dovendo confrontarsi con tematiche epocali come il conflitto israelo-palestinese, il suo studio legale aveva tra i propri generosi finanziatori politici di spicco del Qatar.

Che questi finanziamenti fossero iniziati solo dopo l’arrivo nello Studio Ovale del suo amico Trump, nel 2017, o che il figlio Alex Witkoff seguisse il madre nei suoi tour mediorientali sollecitando investimenti nel gruppo di famiglia hanno provocato più di un’accusa di conflitto di interessi, senza scalfire la granitica fiducia riposta in lui da Trump. Che a ben vedere è l’unica moneta di riferimento della Washington moderna: grazie ad essa Witkoff in breve tempo è riuscito a mettere da parte anche il generale Keith Kellogg, inizialmente incarico per gestire i negoziati tra Russia e Ucraina.

Perché Witkoff deve tutto a Trump

L’avvocato ha seguito in prima persona tutti i negoziati che hanno portato all’intesa di Sharm el Sheikh sul cessate il fuoco a Gaza e successivamente è diventato il portavoce preferito del presidente nei suoi rapporti con Vladimir Putin. La ragione della sua ascesa è semplice: Witkoff deve tutto interamente a Trump. Una volta che la sua parabola sarà conclusa, non avrà più spazio nei corridoi nel potere, nemmeno se i trumpisti dovessero rimanere al governo.

Questo elemento, che comporta la fedeltà totale di Witkoff nei confronti di Trump, squaderna la realtà del cortocircuito costruito da Trump nei suoi anni al potere avendo importato all’interno dei gangli dell’esecutivo americano una cerchia di collaboratori che negoziano e gestiscono gli affari di governo per suo conto al di fuori dei canali ufficiali e spesso secondo logiche che poco hanno a che vedere con la politica.

Nel caso di Witkoff, per esempio, questo significa in buona sostanza scavalcare il Dipartimento di Stato (come si chiama in America il ministero degli Esteri), il corpo diplomatico, i servizi segreti, gli apparati militari, insomma tutto quello Stato profondo (“Deep State”) verso cui Trump ha sempre nutrito una profonda sfiducia.

Per il lui infatti le burocrazie statali non hanno soltanto cercato di ostacolarlo continuamente, ma incarnano anche decenni di fallimenti politici che lui è stato chiamato a rottamare. La paranoia è sempre stata una compagna frequente del potere ma non un buon viatico di governo: durante il suo primo mandato Trump giunse a cambiare ministri e collaboratori a ritmo quasi mensile, ossessionato dalle fughe di notizie e dai presunti complotti alle sue spalle. Un fallito golpe, diversi lunghi processi e due tentativi di omicidio più tardi, la ricetta individuata da Trump per ovviare a questo problema è il ricorso a persone di fiducia completamente nelle mani di Trump.

Jared Kushner, il genero di Trump

Un discorso che si applica bene anche all’altro negoziatore che martedì ha affiancato Witkoff a Mosca, il 44enne Jared Kushner, genero di Trump. Ebreo, figlio di un ricco finanziere newyorchese condannato per frode e graziato da Trump, il marito della figlia prediletta dal presidente, Ivanka, è da tempo considerato un membro centrale nel santa sanctorum del magnate e un suo confidente stretto.

Sul ruolo di Kushner i sospetti di conflitto di interessi gravano ancor più che su Witkoff, ma ancora una volta è la dimostrazione della compenetrazione tra interessi personali e funzioni pubbliche che Trump ha imposto al proprio governo (del resto, il padre di Jared, Charles Kushner, oggi è l’ambasciatore americano in Francia). Kushner, per esempio, è considerato la mente dietro agli Accordi di Abramo, l’intesa che durante il primo mandato di Trump portò al riconoscimento diplomatico di Israele da parte degli Emirati arabi uniti e di un paio di altri Paesi arabi.

Kushner e gli investimenti miliardari

Ma, se l’accordo fu salutato come un grande passo avanti diplomatico, è difficile non vedere come Kushner abbia beneficiato da ciò, ricavando investimenti miliardari dagli stessi Paesi arabi coinvolti. Ma forse tutta la vicenda più che su Trump ci dice qualcosa sul Paese che lo ha eletto.

Dieci anni fa Donald Trump si candidò promettendo di gestire l’America come un’azienda. Una volta arrivato al potere, non ha fatto altro che realizzare tale promessa: i suoi rappresentanti legali rappresentano gli Stati Uniti ai tavoli dei negoziati, la gestione degli affari di governo si è uniformata a quelli di una compagnia a conduzione familiare, l’economia è gestita dai suoi soci in affari (quelli che l’ex alleato e oggi critico del presidente, Steve Bannon, ha definito «broligarchy», “l’oligarchia degli amiconi”).

Mentre Trump – con il suo aziendalismo autoritario – promette a ruota libera di risolvere tutti i conflitti meno quello tra i suoi interessi e quelli del Paese che governa, forse la prossima volta sarà bene tenere a mente che la Politica con la P maiuscola sia un’altra cosa.

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