Soprannominato Darth Vader della politica Usa, ombra di George W. Bush e figura simbolo della linea dura post-11 settembre, è morto a 84 anni in Virginia. Nel 2024 aveva rotto con Trump sostenendo Kamala Harris
L’ex vicepresidente di George W. Bush, Dick Cheney, è morto a 84 anni per una polmonite complicata da problemi cardiaci cronici che lo avevano perseguitato per tutta la vita: cinque infarti tra il 1978 e il 2010, un quadruplo bypass nel 2001 e un trapianto di cuore nel 2012, dopo venti mesi in lista d’attesa.
Nel silenzio, finora, di Donald Trump, a cui Cheney nel 2024 preferì la democratica Kamala Harris, la Casa Bianca ha disposto bandiere a mezz’asta. «La sua scomparsa è una perdita per il Paese», ha dichiarato George W. Bush, ricordando l’uomo che, dal 2001 al 2009, fu al suo fianco “nel bene e nel male, a un battito di cuore dalla presidenza”.
Il falco dei neocon
Considerato il più potente vicepresidente della storia americana, Cheney fu il regista della guerra del Golfo del 1991 e il principale architetto della dottrina neoconservatrice. Cresciuto politicamente nel Wyoming, repubblicano di ferro e uomo d’apparato, aveva alle spalle un decennio da deputato, l’esperienza da capo di gabinetto di Gerald Ford e da ministro della Difesa di George H.W. Bush.
Durante la presidenza del figlio, il meno esperto George W., Cheney divenne di fatto il suo stratega capo. Dopo gli attacchi dell’11 settembre, fu tra i più decisi a sostenere l’uso di interrogatori coercitivi, incluso il waterboarding, nella lotta al terrorismo.
Dall’Afghanistan all’Iraq
Nel 2003 spinse gli Stati Uniti verso la guerra in Iraq, invocando la falsa minaccia delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, dopo la prima offensiva contro Al Qaeda in Afghanistan. L’invasione, segnata da accuse di conflitto d’interesse legate al suo passato da CEO di Halliburton, si trasformò in un disastro geopolitico e umanitario. Il suo ruolo, definito allora una vera co-presidenza, gli valse la fama di operatore spregiudicato e la comparazione con il “Darth Vader” di Guerre Stellari.
Lo scontro con Trump
Amava il potere più che la ribalta. «Abilissimo ad accumularlo e a esercitarlo», lo ricordò James Baker, ex segretario di Stato e Tesoro, tra gli ultimi della vecchia guardia repubblicana. Cheney contribuì a consolidare i poteri presidenziali che riteneva “ingiustamente limitati” dopo Vietnam e Watergate, aprendo la strada a quella che definì la “Casa Bianca imperiale”.
Negli ultimi anni, però, si era trasformato in un duro oppositore della deriva trumpiana del Partito Repubblicano. Nel 2024, come la figlia Liz Cheney, ex deputata e vicepresidente della Commissione sul 6 gennaio, dichiarò il voto per Kamala Harris “in difesa della Costituzione”.
“Trump è la nostra più grande minaccia”
Dopo l’assalto al Campidoglio, Cheney intervenne pubblicamente per difendere la figlia e per condannare Donald Trump. Disse in un video diventato virale, chiudendo così la parabola politica di uno degli uomini più potenti e controversi della storia americana.
«In 246 anni di storia della nazione non c’è mai stata una minaccia più grande per la nostra repubblica. Trump è un codardo»









