L’esperto di Stati Uniti commenta l’elezione del candidato democratico Zohran Mamdani a sindaco di New York
Mario Del Pero è da poco in libreria con Buio americano. Gli Stati Uniti e il mondo nell’era Trump (il Mulino). Insegna storia internazionale e storia degli Stati Uniti all’istituto SciencesPo di Parigi.
Dichiarazioni ambigue sull’intifada mondiale, depenalizzazione dei furti, tasse ai ricchi. Professor Del Pero, Mamdani è un estremista?
«Mamdani ha un’esperienza politica limitata da cui non è possibile ricavare molte informazioni. Per questo possiamo basarci solo sulle sue dichiarazioni e sul suo programma di governo. Non lo definirei un estremista. Già durante le primarie aveva dovuto moderare certe posizioni che aveva assunto in passato. Rappresenta poi un pezzo di Partito Democratico che adesso ha una sua rappresentanza congressuale e che ha assunto più rilevanza nel partito, al punto di condizionare alcune delle politiche dell’amministrazione Biden».
Qual è l’elettorato a cui parla Mamdani?
«È un elettorato giovane che sta sicuramente dentro il processo di polarizzazione dell’opinione pubblica americana. Ma è anche un elettorato disilluso rispetto alla leadership democratica. Se alle primarie l’establishment democratica non trova niente di meglio di Cuomo, che era stato costretto a dimettersi perché al centro di vari scandali ed è un uomo di un’altra epoca, la volontà di rottura diventa ancora più forte».
«È un elettorato giovane che sta sicuramente dentro il processo di polarizzazione dell’opinione pubblica americana. Ma è anche un elettorato disilluso rispetto alla leadership democratica. Se alle primarie l’establishment democratica non trova niente di meglio di Cuomo, che era stato costretto a dimettersi perché al centro di vari scandali ed è un uomo di un’altra epoca, la volontà di rottura diventa ancora più forte».
Il fenomeno Mamdani sembra poter trovare terreno fertile solo in una realtà peculiare come quella di New York. È così?
«Sicuramente New York è una realtà particolare. Ma in molti grandi centri metropolitani i democratici vincono e una certa proposta politica radicale e di sinistra ha più presa. Ma va anche sottolineato che cinque anni fa New York votava Eric Adams, un poliziotto che metteva legge e ordine al centro della sua agenda. E prima ancora un tecnocrate moderato come Michael Bloomberg. Ci sono cicli politico-elettorali; in questo ciclo, nelle grandi città una proposta di sinistra radicale ha più possibilità di catturare consenso».
Diceva che la proposta di Mamdani è rappresentativa di una parte del Partito Democratico. Quanto è presente la frattura tra una sinistra moderata e una radicale?
«Oggi si vota anche in Virginia e in New Jersey. In quel caso il Partito Democratico ha due candidate donne centriste o comunque molto moderate. Questo ci dice che all’interno del partito l’equilibrio persiste. In passato questo equilibrio ha rappresentato la forza dei democratici, perché la loro “tenda” politica è più ampia rispetto a quella dei repubblicani e decisamente meno omogenea. La sfida per i democratici è tenere insieme queste diverse anime. Con tutti i suoi limiti, Biden in qualche modo era una figura di sintesi».
Certo è difficile fare sintesi se si imposta una campagna verbalmente violenta su temi come il conflitto in Medio Oriente.
«Infatti il candidato sindaco di New York dovrebbe occuparsi meno del conflitto israelo-palestinese e portare il dibattito su temi molto concreti. C’è un milione di newyorkesi che ha difficoltà a vivere con i prezzi folli che ha raggiunto la città».
Gli ideologismi però ci sono nel suo programma. È il tentativo di rispondere a Trump con eccessi uguali e contrari ai suoi?
«Trump è radicale ed estremo. Ma vince perché in qualche modo intercetta paure reali, non cosmetiche, paure di pezzi di americani in sofferenza. Credo che i democratici debbano accettare il fatto che quelle paure sono reali e agire di conseguenza».
In Mamdani vede questa adesione alla realtà?
«Nella sua proposta politica c’è tanta demagogia, si prenda ad esempio la proposta degli autobus gratuiti. Ma potenziare i servizi di asili nido pubblici è invece una questione reale. Dovrebbe riuscire a liberare la sua proposta politica da elementi del tutto demagogici e a focalizzarla su questioni concrete, come quella dei servizi alle famiglie. Questo per far sì che New York sia una città vivibile».
La comunità ebraica newyorkese è spaccata su queste elezioni. La cosa non è di poco conto perché gli ebrei rappresentano quasi il 10% della popolazione della città.
«Sondaggi alla mano, una percentuale elevata di ebrei newyorkesi non voterà Mamdani, in controtendenza rispetto all’elettorato ebraico democratico. Ma attenzione, perché gli ebrei newyorkesi possono avere un’identità politica che precede la loro identità religiosa e mantenere una certa fedeltà al partito. Va anche detto che la comunità ebraica di New York è estremamente variegata, va dagli ebrei socialisti ai rabbini ultraortodossi di Brooklyn».











