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Ecco quanto costa difenderci da Putin: l’inchiesta

Soldati ucraini

L’Italia sborserà quasi 140 miliardi di euro per la difesa, a dispetto dei 12 messi nero su bianco nella legge di bilancio

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Difesa&sicurezza, armi e tecnologia dual use, cyber e spazio sono l’elefante nella stanza che tutta la politica a destra e a sinistra fa finta di non vedere. Ma “l’elefante” è qui e adesso ed è destinato a restarci per molto tempo. La guerra in Ucraina, assai di più di quella in Medioriente, ha cambiato il paradigma che ha funzionato dagli anni Sessanta al 2022: alla nostra sicurezza provvedeva lo zio Sam a Washington.

La Russia è una «minaccia concreta con le sue mire espansionistiche» dicono i vertici Ue e Nato e per gli Usa di Trump l’Europa deve imparare a fare da sola. E siccome non ci si improvvisa produttori di armi e mezzi anche se dual use, c’è una finestra di tempo lunga circa dieci anni in cui l’Europa, e l’Italia, dovranno continuare ad acquistare sistemi armi (che altrimenti non avrebbero) dagli Usa e al tempo stesso investire per fare da soli. In questo momento il governo sta vivendo il paradosso di dover “tacere” sulle reali intenzioni e programmazioni persino negando all’amico Trump il promesso acquisto (Purl) di armi che devono poi essere passate a Kiev. Sui costi della Difesa si cerca di non parlare.

Se Meloni ha problemi con la Lega e il suo stesso elettorato “pacifista”, nel centrosinistra la situazione è ugualmente contraddittoria. Da entrambe le parti, prende fuoco facilmente.

Lo Stato Delle Cifre: perché facciamo chiarezza

Cerchiamo allora di fare un po’ di chiarezza tra detto e non detto fotografando lo stato della spesa per la Difesa & sicurezza da qui al 2039. La fonte sono documenti ufficiali: il Documento programmatico pluriennale (2025-2027) del Ministero della Difesa; il Piano Preserving peace-Defence readiness roadmap 2030 approvato la scorsa settimana a Bruxelles dopo una gestazione di circa dieci mesi.

Il DPP Della Difesa: numeri e priorità

Centrotrentanove miliardi e spiccioli nei prossimi quindici anni. I mezzi aerei sono la voce di spesa più importante, nel 46,6 miliardi per caccia, missili, batterie antimissili, «velivoli da combattimento di ultima generazione – si legge nel Dpp della Difesa – dotati di capacità di attacco di precisione e di sistemi avanzati di difesa elettronica essenziali per contrastare le minacce aeree». Seguono i mezzi terrestri, altri 23 miliardi e spiccioli fra il 2025 e il 2039, i carrarmati, mezzi da combattimenti pesanti e leggeri e mezzi da trasporto e supporto. Anche di questi, scrivono i tecnici della Difesa, ce n’è bisogno assai e siccome negli ultimi venti anni il settore «ha risentito della carenza di risorse dedicate, serve un ampio rinnovamento tecnologico dei mezzi terrestri».

Seguono, per volume di spesa, i 15,4 miliardi per armamento e munizionamento, altri 15,3 per il rinnovamento e il potenziamento dei mezzi marittimi e 15,7 per sostegno e mantenimento. Sono un po’ le cenerentole di questa tabella, che riassume gli investimenti nella Difesa, i sistemi spaziali (1,44 mld), ricerca e sviluppo (1,5 mld), la cyberwar (1,9) e persino i droni (nel più vasto capitolo Sistemi unnamed) che sembrano la nuova frontiera in continuo sviluppo della guerre di oggi, assorbono poco più di tre miliardi. Sembrano pochi. Ma occorrono lenti speciali per affrontare le 137 pagine del Documento programmatico pluriennale del Ministero della Difesa. Se 139,4 è la cifra monstre programmata, si legge, dal 2025 al 2039 e di cui nessuno parla, le cifre che girano sono altre e tutte un po’ ballerine.

La prima: il ministro Giorgetti parla di 12 miliardi da qui al 2027 (quando per l’appunto dovrebbe finire la legislatura, della serie che ci penseranno quelli che verranno dopo) la cui copertura è garantita «senza toccare la cassa del Stato grazie al prestito europeo Safe di 15 miliardi a cui l’Italia ha già aderito». La seconda cifra che gira è il 5% del pil (circa 130 miliardi al pil di oggi) in spese militari, obiettivo Nato (entro il 2035) che il governo Meloni ha sottoscritto a giugno scorso in omaggio all’amico Trump.

La terza cifra è 6.800 miliardi: è la stima monstre che il commissario Ue alla, Difesa Andrius Kubilius, ha indicato come l’investimento in Difesa e sicurezza che i 27 dovranno affrontare entro il 2035. Non è chiaro se in questa cifra siano compresi i pacchetti Purl, acquisti di armi Usa per 500 milioni l’uno da parte di gruppi di Paesi Ue per sostenere Kiev. Hanno già acquistato 17 Paesi su 27. L’Italia ancora non l’ha fatto. Fin qui la premessa necessaria per andare a guardare negli occhi l’elefante nella nostra stanza.

I 12 Miliardi: come e quando

Troviamo questa cifra nel Documento programmatico di Finanza pubblica (Dpfp) già all’esame di Bruxelles e che è la struttura portante della Manovra 2026. Significa che lo Stato spenderà dodici miliardi in più nel triennio ’26-’28 ma solo – attenzione – se uscirà dalla procedura per il disavanzo eccessivo imposta dall’Unione Europea. Giorgetti si augura che le guerre finiscano e questi obiettivi vengano messi da parte.

Ignorando che l’Europa, e lo stesso governo Meloni, hanno ribadito che non possiamo più delegare ad altri la nostra sicurezza. Serve autonomia. I dodici miliardi equivalgono al +0,15% del Pil nel 2026; +0,3% nel 2027; +0,5 nel 2028. Le spese militari, però, non sono solo quelle con il segno +. Bisogna vedere il budget, quando costa cioè far funzionare la macchina così com’è comprese le oltre 40 missioni militari in giro per il mondo che comprendono anche i pacchetti di sostegno all’Ucraina. Per il 2025 ha già una cifra record di 31,2 miliardi di euro, +7,2% rispetto ai 29,1 del 2024. Entro il 2027 il budget raggiungerà i 31,7 miliardi. Il bilancio della Difesa viene alimentato dal Mef, dal Mimint e dialoga con il “Bilancio integrato in chiave Nato”.

Proteggere il modello democratico

«Lo strumento militare deve evolvere verso un modello moderno, flessibile e credibile» scrive il ministro Crosetto nell’intro del Piano dopo aver spiegato come è cambiato il mondo sotto il profilo della sicurezza visto che «nel mondo che viviamo l’instabilità è la condizione permanente».

Tante parole per indorare la pillola di una spesa militare mai vista nella storia d’Italia. L’obiettivo primario è ammodernare e rinnovare i sistemi d’arma in modo da garantire «l’interconnettività, l’interoperabilità e la intercambiabilità». Detta più semplice, sistemi d’arma che possono essere impiegati facilmente nei vari scenari e complementari con quelli le forze alleate e in tutte le componenti: quella interforze, terrestre, marittima e aerospaziale. Questo concetto viene ripetuto più volte, a garanzia del fatto che la direzione di marcia va verso una Difesa europea sebbene resti sempre in capo ai singoli stati.

Sistemi Spaziali: un nuovo dominio

Lo spazio è a tutti gli effetti un nuovo dominio strategico. Difesa e sicurezza non possono prescindere dal mantenimento di una connettività sicura garantita dai nuovi satelliti di comunicazione militari e dalla possibilità di sfruttare le informazioni acquisite mediante i satelliti di osservazione dalla terra. Per fare tutto servono l’accesso allo spazio, i satelliti di comunicazione e quelli per osservazione.

L’investimento 2025-2039 sembra poca cosa, 1,44 miliardi. Il fatto è che in questo settore si confida molto nell’iniziativa privata e in società con altri Paesi europei. Quello che è successo pochi giorni fa fra Leonardo-Airbus e Thales. E che è successo negli ultimi mesi con progetti analoghi su missili e droni.

Mezzi Terrestri e Marittimi: il rinnovamento

Qui è in atto un «piano di rinnovamento complessivo e profondo». Il sottinteso è che il nostro parco mezzi è ridotto al lumicino. Tutto da rifare e «cercando la massima cooperazione con i Paesi europei alleati». Su questo capitolo è allocato un volume di spesa pari a 23,1 miliardi destinato a quattro settori: mezzi da combattimento pesanti, leggeri, medi e mezzi da trasporto e supporto. Praticamente ci facciamo nuovi. Sapendo che anche i veicoli militari saranno sempre più digitali e supportati dall’intelligenza artificiale.

A maggior ragione è richiesta la cooperazione europea e l’apporto dei privati, delle start up e delle università. Questa condizione – e auspicio – è ripetuta in ogni capitolo del DPP Difesa. Una nuova sfida che dovrebbe riguardare tutto il tessuto sociale e imprenditoriale, a cominciare dalle piccole medie imprese. In concreto si parla dell’ammodernamento di 125 carri Ariete e l’incremento dei fondi per i programmi di sviluppo di una famiglia di veicoli corazzati. Per quello che riguarda il mare, si punta, ancora una volta, «al rinnovamento, potenziamento e sviluppo di mezzi in grado di esprimere elevate capacità operative».

Il sostegno finanziario è di 15,3 miliardi sulle seguenti direttrici: navi di prima linea; sommergibili; unità logistiche di supporto ad uso duale, sistemi marittimi unnamed (senza pilota) e forze speciali e specialistiche. Si parla della costruzione di portaerei di nuova generazione, ma anche dell’avvio del programma “Sistemi di deep strike e antinave”, che prevede la possibilità di dotare di missili da crociera per attacco terrestre le unità navali italiane.

Mezzi Aerei: il dominio dell’Aria

I programmi per il «dominio aereo» prevedono un impegno finanziario pari a 46,6 miliardi da investire in cinque direttrici: velivoli da combattimento di ultima generazione, da trasporto e supporto, elicotteri, velivoli unnamed (droni), veicoli e sistemi da addestramento. I mezzi da combattimento «devono essere dotati di capacità di attacco e di precisione e sistemi avanzati di difesa elettronica». L’Italia vuole sviluppare «un sistema aereo altamente integrato che garantisce una capacità operativa elevata e una pronta risposta alle minacce. La difesa aerospaziale robusta e un ecosistema industriale dinamico sono fondamentali per mantenere una posizione di leadership nel settore».

Armamenti e Munizionamenti

A questo settore sono stati destinati, sempre tra il 2025 e il 2039, ben 15,4 miliardi che seguiranno quattro direttrici: sistemi missilistici (specie lungo raggio e antinave); sistemi convenzionali (la vecchia artiglieria ma anche altre soluzioni contro droni riattacco e i cosiddetti droni suicidi); armamento aerotattico e armi subacquee (siluri ma anche armi utili alla guerra sui fondali marini).

Si nota come le spese siano tenute basse fino al 2027 (termine di questa legislatura) mentre s’impennano negli anni a seguire. Della serie: ci penserà chi verrà dopo. Il punto è come far digerire tutto questo ai pacifisti a destra e sinistra. E sperando che i 139 miliardi siano sufficienti al fabbisogno del Piano europeo e del budget Nato.

Conclusione

Il quadro è chiaro: l’Italia e l’Europa si trovano davanti a una trasformazione strutturale della sicurezza che richiede investimenti massicci e scelte politiche difficili. La transizione richiederà tempo, cooperazione internazionale, e una capacità nazionale di progettare e produrre sistemi complessi. E richiederà anche un dibattito pubblico meno ideologico e più informato sulle priorità, sui costi e sui ritorni di una politica di difesa che non è più solo una voce di bilancio, ma una scelta strategica di civiltà.

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