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Gaza, ancora violenze. Kushner e Witkoff in Israele per salvare la tregua

Washington gioca tutte le sue carte per salvare un’intesa su cui ha investito molto a livello d’immagine

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La diplomazia è al lavoro per tentare di salvare l’accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas. Dopo lo stop temporaneo alla tregua, avvenuto domenica a causa di alcuni attacchi condotti da miliziani palestinesi contro truppe israeliane nel sud della Striscia, il cessate il fuoco è nuovamente entrato in vigore ma i timori sulla sua tenuta sono in aumento. Anche ieri, infatti, Israele ha colpito Gaza, questa volta senza fermare ufficialmente la tregua.

Per Tel Aviv attacchi di questo tipo sono necessari per limitare la pericolosità dei vari movimenti armati della Striscia e non sono da considerarsi violazioni dirette del cessate il fuoco ma semplici operazioni per salvaguardare la sicurezza del Paese. Una lettura che però non convince gli osservatori internazionali, che infatti si affrettano a tentare di stemperare gli animi. Ieri sono arrivati a tal proposito in Israele Steve Witkoff e Jared Kushner, ufficialmente per discutere «gli sviluppi e gli aggiornamenti nella regione».

Witkoff e Kushner a Tel Aviv per tenere in riga Netanyahu

Ufficiosamente, i due inviati di Donald Trump si sono recati a Tel Aviv per tentare di mettere in riga gli israeliani ed evitare una nuova escalation. Che il proposito reale fosse questo, del resto, lo ha anche confermato lo stesso Kushner, che in un’intervista rilasciata domenica alla Cbs ha lanciato segnali chiari all’indirizzo di Netanyahu e del governo israeliano.

«Il messaggio più importante che abbiamo cercato di trasmettere alla leadership israeliana è che, ora che la guerra è finita, se si vuole integrare Israele con il Medio Oriente più ampio, bisogna trovare un modo per aiutare il popolo palestinese a prosperare e a fare meglio», ha affermato il genero del tycoon. Per aumentare la pressione sul governo di Tel Aviv, oggi arriverà nel Paese anche il vicepresidente J. D. Vance, il quale, fanno sapere dalla Casa Bianca, si fermerà in Israele con la moglie «per qualche giorno e incontrerà il primo ministro».

Gli arabi mediano con Hamas

La strategia americana, dunque, resta sempre quella delineata a seguito dell’accordo del 9 ottobre scorso: impedire a Israele di far saltare una “pace” su cui il Presidente Donald Trump ha investito un notevole capitale politico. Ma, come in tutti i progetti di pace, anche in questo caso la tenuta dell’accordo dipende dalla volontà di entrambi gli attori seduti al tavolo.

Proprio per questo motivo, contemporaneamente alla visita di Witkoff e Kushner in Israele, i mediatori arabi hanno incontrato ieri gli inviati di Hamas al Cairo per discutere delle «decine di attacchi aerei che hanno ucciso dozzine di persone nella Striscia di Gaza» nei giorni scorsi. Lo scopo, anche in questo caso, era quello d’invitare alla calma e alla moderazione in un momento di tensione massima.

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Un compito che i mediatori del Qatar e dell’Egitto dovrebbero essere riusciti a svolgere con successo, visto che stando a quanto dichiarato già domenica sera «I contatti e gli sforzi dei mediatori sono riusciti a riportare la calma e a far attuare l’accordo di cessate il fuoco». Ma i continui incidenti lungo la linea di contatto tra Hamas e Israele continuano a mettere in serio pericolo l’accordo. L’attacco di domenica, in tal senso, è esemplare dei rischi che corre il cessate il fuoco.

L’incidente di Rafah

Due militari israeliani di stanza a Rafah, il sergente Itay Yavetz e il maggiore Yaniv Kula, entrambi del 932esimo battaglione della 933esima Divisione di Fanteria “Nahal”, sono stati uccisi in un attacco compiuto da un palestinese di cui è ancora in dubbio l’affiliazione. Ma anche senza una conferma ufficiale dell’appartenenza dell’attentatore alla branca militante di Hamas, Israele ha comunque reagito colpendo duramente la Striscia. E non è detto che ulteriori incidenti di questo tipo, innescati da attentatori solitari non necessariamente connessi ad Hamas, non possano anche in futuro far saltare ancora una volta gli accordi. In un contesto come quello di Gaza, del resto, l’ampia circolazione delle armi tra la popolazione rende ipotesi di questo tipo quantomai realistiche.

Come ormai chiaro da giorni, il problema resta dunque duplice: da una parte bisogna ampliare il controllo securitario nella Striscia, cercando di limitare azioni avventate da parte della popolazione; dall’altra bisogna offrire ad Israele le dovute garanzie in merito al disarmo progressivo di Hamas. Ma proprio Hamas, almeno in questa fase, è l’unico attore interno all’enclave palestinese in grado di mantenere almeno una parvenza d’ordine. Per quanto, è chiaro, sempre in maniera tutt’altro che ottimale.

Forse, in ultima analisi, solo un più marcato ritiro dell’Idf dalla Striscia potrebbe allontanare il pericolo di ulteriori incidenti, allontanando fisicamente i bersagli dalle armi palestinesi, ma su quel fronte, nonostante gli sforzi della diplomazia, non ci sono ancora stati sviluppi.

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