Trump si dice fiducioso nel raggiungimento di una soluzione a Gaza anche senza il sì di Hamas ma Netanyahu all’Onu ribadisce: «Completeremo il compito»
L’escalation militare israeliana su Gaza si intensifica proprio mentre il presidente americano Donald Trump annuncia di essere «molto vicino» a un accordo per porre fine alla guerra. Un paradosso se si considera il discorso che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha pronunciato davanti all’Assemblea generale delle Nazioni unite (dimezzata, perché molti delegati hanno abbandonato l’Aula in segno di protesta), in cui ha ribadito la determinazione di Israele a «completare il compito» contro Hamas, rigettando categoricamente ogni ipotesi di riconoscimento dello Stato palestinese.
L’inquilino della Casa Bianca si è mostrato ottimista venerdì scorso dichiarando: «Sembra che abbiamo un accordo su Gaza». Il piano in 21 punti dell’amministrazione Trump, elaborato principalmente dall’inviato speciale Steve Witkoff, prevede il rilascio di tutti gli ostaggi nelle prime 48 ore dall’accordo, il graduale ritiro delle forze israeliane da Gaza, la smilitarizzazione del territorio e l’esclusione totale di Hamas da qualsiasi ruolo governativo futuro. Eppure, Hamas ha smentito categoricamente di aver ricevuto il piano americano. Un funzionario dell’organizzazione terroristica ha riferito a Reuters: «Hamas non è stato messo a conoscenza di alcun piano».
E la reazione di Netanyahu al crescente riconoscimento internazionale dello Stato palestinese è stata durissima. Regno Unito, Canada, Australia e diversi Paesi europei hanno infatti riconosciuto la Palestina nelle ultime settimane. «Uno Stato palestinese indipendente è pura follia e non lo faremo», ha tuonato il premier israeliano.
Frattanto, l’operazione militare israeliana su Gaza, iniziata il 16 settembre scorso, ha provocato la fuga di oltre 280.000 palestinesi secondo le stime delle Forze di difesa israeliane. Il ministro della Difesa Israel Katz ha dichiarato: «Gaza è in fiamme. L’Idf stanno colpendo con forza implacabile contro le infrastrutture terroristiche». Un’azione rimasta non senza risposta. Le Brigate Qassam, braccio armato del movimento islamista, hanno dichiarato in un comunicato: «L’avvio dell’operazione delle Forze di difesa israeliane a Gaza significa che Israele non otterrà alcun ostaggio, né vivo né morto». Il comunicato aggiunge minacciosamente: «Gli ostaggi israeliani sono distribuiti all’interno dei quartieri della città di Gaza e non ci cureremo delle loro vite finché Netanyahu deciderà di ucciderli».
A complicare la situazione, i rapporti tra il tycoon e Bibi mostrano crescenti tensioni. Il Wall Street Journal ha rilevato che Trump ha definito «non saggia» la decisione israeliana di colpire i leader di Hamas in Qatar. Durante una «accesa telefonata» del 9 settembre, Trump avrebbe espresso frustrazione per le mosse aggressive di Netanyahu prese senza consultazione con Washington. Ciò nonostante, tuttavia, il presidente americano ha confermato l’incontro di domani con Netanyahu alla Casa Bianca, con anche la promessa ai leader arabi e musulmani di non permettere a Israele di annettere la Cisgiordania.
E poi c’è la vicenda legata alla Global Sumud Flotilla, composta da oltre 50 imbarcazioni provenienti da 44 Paesi, che continua la sua navigazione verso Gaza. Nella notte tra il 23 e il 24 settembre, 14 navi hanno dichiarato – senza fornire prove certe – di essere state colpite al largo di Creta. Gli attivisti hanno denunciato «attacchi esplosivi e incendiari che mettono in pericolo gli attivisti a bordo, il rilascio di sostanze chimiche, la neutralizzazione di dispositivi di comunicazione d’emergenza». Il ministero degli Esteri israeliano ha ribadito che non permetterà alle imbarcazioni di raggiungere «una zona di guerra attiva», definendo la flottiglia «Hamas Flotilla» e proponendo di consegnare gli aiuti «in qualsiasi porto che non sia in Israele». Di ieri la comunicazione di Flotilla: «Stiamo ripartendo da Creta per Gaza. La delegazione italiana va avanti».
Infine, all’interno del parlamento israeliano emergono voci critiche, rare ma significative. Il deputato Ofer Cassif del partito Hadash ha dichiarato: «Non è facile per me, innanzitutto come socialista e umanista, ma anche come israeliano ed ebreo, riconoscere che il mio Paese sia responsabile di un genocidio». Cassif, uno dei pochi membri della Knesset a definirsi «antisionista», ha aggiunto: «Equiparare antisemitismo e antisionismo è una menzogna politicamente motivata». Al contrario, i falchi del governo hanno reagito duramente al riconoscimento internazionale della Palestina. Il ministro Itamar Ben Gvir ha promesso di «presentare una proposta alla prossima riunione del governo per l’immediata applicazione della sovranità israeliana» sulla Cisgiordania.
La situazione rimane fluida. Trump ha scritto su Truth Social: «I negoziati intensi sono in corso da quattro giorni e continueranno per tutto il tempo necessario per ottenere un accordo completato con successo». Ha aggiunto: «Tutti i paesi della regione sono coinvolti, Hamas è molto consapevole di queste discussioni, e Israele è stato informato a tutti i livelli, incluso il primo ministro Bibi Netanyahu».