É stato davvero strano vederli insieme, Ahmed al-Sharaa e David Petraeus. Il primo, 43 anni il mese prossimo, ex combattente jihadista (nome di battaglia, al-Jolani) nonché emiro-guida della branca siriana di al-Qaeda (poi denominata al-Nusra) divenuto nel dicembre scorso il presidente della Siria dopo aver rovesciato con successo il governo di Bashar al-Assad. Poco è importato che la sua creatura politica (Hay’at Tahrir al-Sham, Hts) fosse solo un’altra reincarnazione del jihadismo siriano, al-Sharaa ha ottenuto il riconoscimento internazionale e lunedì scorso è potuto giungere a New York per diventare il primo presidente del suo Paese a partecipare all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, da cui Assad era stato escluso per via delle sanzioni internazionali ai suoi danni. Il secondo, di una generazione abbondante più anziano (va per i 73 anni), newyorchese, una carriera devota all’esercito in cui ha servito per 37 anni prima di diventare nel 2011 direttore della Cia, da cui fu poi allontanato dopo la scoperta di una relazione extraconiugale.
I due si sono incontrati a margine proprio della sessione annuale delle Nazioni Unite e la ragione del carattere surreale di questo incontro pubblico è presto detta: tra il 2008 e il 2011, Petraeus è stato il comandante delle forze americane in Iraq in lotta contro l’insurrezione jihadista, nelle cui fila invece militava al-Sharaa. Catturato dai soldati americani, il futuro presidente siriano trascorse cinque anni nelle prigioni militari statunitensi in Iraq finché non vede liberato nel 2011. La stretta di mano fra i due e i toni scherzosi (Petraeus ha esordito dicendo di essere un fan della capacità del suo interlocutore siriano di reinventarsi e chiedendogli se con tutte le urgenze che lo assillano riesca a dormire bene la notte) ha visto molte chiave di lettura. Per molti osservatori è stata la prova che anche i più acerrimi nemici posso trovare modi e spazi per stringersi la mano: «Prima ci combattevamo, ora abbiamo abbracciato il dialogo. Non possiamo giudicare il passato secondo le regole di oggi e non possiamo giudicare oggi secondo le regole del passato», ha detto al-Sharaa dal palco newyorchese.
Ipocrisia o realpolitik?
I critici vi hanno letto un’ipocrisia di fondo che però – va detto – è sempre stata il sale della diplomazia: «La diplomazia senza ipocrisia è una contraddizione di termini», diceva il ministro degli Esteri sovietico Vyacheslav Molotov. Del resto, l’Italia realizzò la distensione con Assad dopo anni di intenso lavoro diplomatico proprio poche settimane prima del rovesciamento di quest’ultimo. Una volta installato al-Sharaa a Damasco, Roma decise che non valeva la pena sprecare l’impegno speso né sarebbe stato conveniente per l’interesse nazionale interrompere nuovamente i rapporti con la Siria, ragion per cui la Farnesina ha riconosciuto subito il nuovo esecutivo e ha proceduto a confermare gli impegni presi con i nuovi governanti. In fondo, se l’incontro tra al-Sharaa e Petraeus ha fatto un po’ d’impressione, quello tenutosi ieri a New York tra l’ex emiro di al-Qaeda e l’autoproclamata “mamma cristiana” Giorgia Meloni non è da meno.
Le malelingue hanno letto nell’affabilità di quell’incontro anche la prova di un sospetto che in Medio Oriente ha molti seguaci e cioè che le agenzie d’intelligence americane e le forze jihadiste sunnite abbiano collaborato anche strettamente anche dopo l’11 settembre, quando Washington pensava di poter sfruttare l’islamismo come dinamite politica per far detonare i regimi autoritari anti-occidentali della regione. Non sarebbe un caso, dunque, se al-Sharaa sia stato liberato dalla sua prigione irachena pochi giorni prima dell’inizio della Primavera Araba, attraversando poco dopo il confine con la natia Siria armato e circondato di seguaci e con il mandato di stabilire un emirato islamico a Damasco. Gli Usa garantirono un generoso sostegno ai ribelli siriani, tra le cui file militarono anche molte sigle jihadiste, almeno finché il tentativo non sfuggì di mano dando vita allo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isis). Contro il quale – a dire il vero – al-Sharaa, col sostegno di al-Qaeda, condusse una guerra tra le macerie della Siria per la primazia dell’estremismo religioso sunnita.
Il legame con l’MI6
Già in quel frangente Abu Ali al-Anbari, consigliere del leader dell’Isis Abu Bakr al-Baghdadi, notò nella stella nascente dei ribelli siriani quei tratti che lo avrebbero sempre accompagnato agli occhi dei suoi critici definendolo «una persona astuta, con due facce, che gode quando il suo nome viene pronunciato nei telegiornali». Per recente ammissione del loro direttore, Richard Moore, i servizi segreti britannici (MI6) hanno mantenuto negli anni stretti contatti con il gruppo guidato da al-Sharaa. Nel 2023, un anno prima del rovesciamento di Assad, l’ex ambasciatore americano in Siria Robert Ford confessò di essere stato contattato da alcune Ong per “ribrandizzare” Hts e trasformarlo da formazione terroristica ad attore politico legittimo. La verità, come spesso accade, probabilmente non la si saprà mai.
Resta l’immagine della stretta di mano tra il generale e l’ex terrorista, ora riabilitato e salutato come il padre di una nuova Siria (le nuove elezioni sono previste per il prossimo 5 ottobre) e forse di una nuova pace regionale (i negoziati con Israele sono ancora in corso). Almeno per ora.