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Onu, Meloni: “Riconoscimento condizionato alla Palestina”. Trump vede i leader arabi

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Alla fine qualcosa si muove sulla Palestina ed è una notizia destinata a fare rumore: il governo italiano si prepara ad approvare il riconoscimento dello Stato palestinese, seppur condizionato. E’ una notizia che attira una certa attenzione non solo per la posizione di prudenza mantenuta dal governo di Roma sulla questione israelo-palestinese. L’esecutivo Meloni ha a lungo resistito all’imposizione delle sanzioni contro lo Stato di Israele, accusato dalle Nazioni Unite di stare perpetrando un genocidio contro la popolazione palestinese, salvo cedere su pressione vaticana dopo l’aggressione armata – pochi mesi fa – ai danni dalla Chiesa della Sacra Famiglia di Gaza. L’Italia aveva anche evitato di associarsi alla coorte di Paesi occidentali che, su iniziativa francese, avevano deciso di riconoscere diplomaticamente la Palestina.

Cosa che ora potrebbe cambiare. «La maggioranza presenterà in Aula una mozione per dire che il riconoscimento della Palestina deve essere subordinato a due condizioni: il rilascio degli ostaggi e l’esclusione di Hamas da qualsiasi dinamica di governo all’interno della Palestina», ha infatti annunciato la premier Giorgia Meloni appena arrivata a New York per intervenire all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. «Dobbiamo capire – ha aggiunto la premier – quali sono le priorità: io non sono contraria al riconoscimento della Palestina ma dobbiamo darci le priorità giuste. Spero che possa trovare anche il consenso dell’opposizione, non trova sicuramente il consenso di Hamas e degli estremisti islamisti ma dovrebbe trovare consenso nelle persone di buonsenso».

Il riconoscimento di Macron

Il presidente francese Emmanuel Macron aveva annunciato ufficialmente lunedì sera il riconoscimento dello Stato di Palestina «nell’interesse della pace», dopo averlo promesso lo scorso luglio. Macron aveva sottolineato come questo gesto rappresentasse il riconoscimento del diritto del popolo palestinese a esistere, invocando così una causa a lungo cara al pantheon valoriale occidentale – quello della lunga tradizione di sostegno all’autodeterminazione dei popoli, prima con le cause nazionali europee (come quella italiana) e poi con la decolonizzazione. «I palestinesi non sono gente di troppo sulla Terra», aveva scandito il leader francese ribadendo poi l’urgenza di porre fine al conflitto: «È giunto il momento di fermare la guerra, il massacro; è arrivato il tempo della pace. Niente giustifica la guerra in corso a Gaza. Niente.

Al contrario, tutto ci obbliga a porvi fine definitivamente, visto che non l’abbiamo fatto prima. Dobbiamo farlo per salvare vite umane». Del resto «riconoscere oggi lo Stato di Palestina è l’unico modo di fornire una soluzione politica», ha spiegato l’inquilino dell’Eliseo, respingendo al mittente le accuse di antisemitismo avanzate da Israele e dall’ambasciatore americano in Francia Charles Kushner, imprenditore di origini ebraiche, già condannato per frode e padre di quel Jared Kushner che – oltre a essere il marito della figlia prediletta del tycoon, Ivanka – è considerato a capo di una cordata di speculatori immobiliari interessati al famigerato progetto del “Gaza resort” propugnato da Trump.

E proprio potendo contare sulla copertura offerta dal presidente americano Israele sta preparando la sua risposta al riconoscimento euro-occidentale della Palestina, definito «vuote dichiarazioni» dal rappresentate israeliano alle Nazioni Unite, Danny Danon. Il leader statunitense ha infatti usato il suo intervento di ieri all’Assemblea generale Onu per abbracciare in toto la posizione israeliana. L’America vuole la pace, ha detto, ma Hamas rigetta le sue ragionevoli richieste di pace. Quali fossero lo ha esplicitato subito dopo, quando ha chiesto l’immediata e incondizionata liberazione di tutti gli ostaggi israeliani ancora nelle mani del gruppo palestinese.

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Una domanda perentoria, che sembra chiudere la porta alla lettera inviata dai leader di Hamas al presidente Usa in cui proponevano la liberazione di metà degli ostaggi in cambio di una tregua di 60 giorni durante la quale negoziare un’intesa definitiva che comprendesse la liberazione del resto dei prigionieri. Ha quindi squalificato i Paesi occidentali favorevoli al riconoscimento della Palestina definendolo un premio al terrorismo. Il presidente americano non ha però soltanto minacciato Hamas, bensì ha anche incontrato nella giornata di ieri i leader delle maggiori nazioni musulmane del pianeta: Arabia Saudita, Qatar, Emirati arabi uniti, Egitto, Giordania, Turchia, Indonesia e Pakistan, sfruttando l’opportunità di poter conferire a margine dell’Assemblea generale stessa.

La notizia è stata confermata dalla stessa portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt. Secondo le indiscrezioni il presidente americano discuterà delle possibili precondizioni necessarie per far ritirare Israele da Gaza in un prossimo futuro, sulla possibilità che i Paesi locali inviino forze di pace a guida araba nella Striscia e come finanziare un processo di ricostruzione della città. Ma l’esito di questi colloqui dipenderanno probabilmente anche dalla reazione israeliana al riconoscimento occidentale della Palestina. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu è atteso a New York venerdì, quando si rivolgerà all’Assemblea generale, incontrandosi subito dopo con Trump stesso.

Il primo ministro ha promesso che Israele chiarirà le proprie intenzioni dopo questo passaggio. Sul tavolo ci sarebbe l’ipotesi di un’annessione della Cisgiordania (tutta o in parte), prospettiva fortemente voluta dai partiti radicali della coalizione di governo israeliana ma avversata dai Paesi arabi, che hanno segnalato di essere pronti a interrompere la distensione diplomatica avviata con i cosiddetti Accordi di Abramo se Israele dovesse alterare lo status quo in Cisgiordania. E in questa attesa di grandi svolte – in un senso o nell’altro – che tardano ad arrivare, anche la sospirata, mini-svolta a metà dell’Italia può sembrare una gran cosa.

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