Si è aperta con toni drammatici l’80ª Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il segretario generale António Guterres ha lanciato un appello alla comunità internazionale denunciando «un’epoca di sconvolgimenti sconsiderati e di incessante sofferenza umana», in cui i principi fondanti dell’ONU sono «sotto assedio». Guterres ha parlato di un mondo in frantumi, dove «nazioni sovrane vengono invase, la fame è usata come arma, la verità viene messa a tacere»: segnali, ha detto, di un sistema internazionale sempre più fragile.
Il segretario generale ha inoltre sottolineato la crescente multipolarità del panorama globale, definendola potenzialmente positiva, ma ha avvertito: «La multipolarità senza istituzioni multilaterali efficaci provoca il caos», evocando il precedente storico della Prima Guerra Mondiale.
Al Palazzo di Vetro sono già arrivati molti dei protagonisti di questa delicata fase geopolitica. La presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni è attesa al dibattito generale nella notte tra martedì e mercoledì. Anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è presente a New York.
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A dominare la scena, come ampiamente previsto, è stato il dossier mediorientale. Alla conferenza di alto livello per la soluzione dei due Stati, convocata congiuntamente da Francia e Arabia Saudita, si è registrata un’importante svolta diplomatica: una decina di Paesi, tra cui Francia, Belgio, Finlandia, Lussemburgo, Malta, Nuova Zelanda e San Marino, ha formalmente annunciato il riconoscimento dello Stato di Palestina. Altri, come la Danimarca, stanno valutando un «cambio di posizione», mentre la Gran Bretagna, il Canada, l’Australia e il Portogallo avevano già anticipato l’intenzione di riconoscere la Palestina nel fine settimana.
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, intervenendo alla conferenza, ha affermato che «il 7 ottobre ha aperto uno dei capitoli più oscuri della storia. Siamo tutti d’accordo che la tragedia a Gaza deve finire subito. E che gli ostaggi devono essere rilasciati». Ma ha anche ammonito che «porre fine alla guerra potrebbe non essere sufficiente, se non c’è un percorso verso la pace. Se la prospettiva dei due Stati non è più realizzabile». Von der Leyen ha annunciato l’istituzione di un Gruppo di Donatori per la Palestina, ricordando che l’UE ha già stanziato 1,6 miliardi di euro a sostegno dell’Autorità Palestinese.
Il riconoscimento della Palestina ha però provocato forti tensioni. Stati Uniti e Israele hanno reagito duramente, ma appaiono sempre più isolati in seno all’ONU. La mossa diplomatica arriva in un momento particolarmente critico: le forze israeliane stanno intensificando le operazioni su Gaza City, mentre Hamas avrebbe proposto – secondo quanto riferito da Fox News – una tregua di 60 giorni in cambio del rilascio di metà degli ostaggi. La proposta, inviata tramite una lettera indirizzata a Donald Trump, sarebbe attualmente trattenuta dal Qatar, che la consegnerà all’ex presidente nel corso della settimana, probabilmente durante i suoi incontri a New York.
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L’intervento di Trump
Il presidente Donald Trump è intervenuto oggi all’Assemblea Generale con un discorso che ha alternato toni apocalittici e provocazioni, soprattutto sul conflitto in Medio Oriente, l’immigrazione in Europa e il cambiamento climatico.
Trump ha aperto il suo lungo intervento con un accenno alla guerra in corso a Gaza, accusando Hamas di aver «ripetutamente respinto offerte ragionevoli di pace» dopo l’attacco del 7 ottobre. Il tycoon a dichiarato che «la guerra deve finire immediatamente», ma ha evitato qualsiasi riferimento alla crisi umanitaria nella Striscia, concentrandosi invece sulla sorte degli ostaggi: «Dobbiamo riportare indietro tutti e 20. Non due o quattro, vogliamo tutti».
Il presidente ha poi rivolto duri attacchi ai Paesi europei, accusandoli di essere vittime di una presunta «agenda globalista di migrazione di massa». Ha rivendicato i suoi risultati nella gestione dell’immigrazione negli Stati Uniti: «Abbiamo preso misure audaci per fermare la migrazione incontrollata. Abbiamo iniziato a detenere e deportare chiunque attraversasse il confine. E hanno semplicemente smesso di venire». Poi l’avvertimento: «È tempo di porre fine all’esperimento fallito delle frontiere aperte. I vostri Paesi stanno andando all’inferno».
Non sono mancati, come previsto, gli attacchi al settore delle energie rinnovabili. Trump ha deriso diversi progetti verdi, definendoli parte della «green new scam», e ha bollato il cambiamento climatico come «la più grande truffa mai perpetrata nel mondo». Ha messo in guardia i Paesi che investono in tecnologie pulite: «Il vostro Paese fallirà. E io sono davvero bravo a fare previsioni».
Infine, Trump ha riservato parole di fuoco anche all’ONU stessa, che ha accusato di inefficienza e immobilismo: «Tutto ciò che fanno è scrivere lettere forti, ma vuote. Le parole non fermano le guerre. Solo l’azione lo fa». Ha ripetuto la sua discutibile affermazione di aver «posto fine a sette guerre» dal suo ritorno alla Casa Bianca, e ha criticato il restauro della sede dell’ONU: «Un altro spreco colossale».
Il presidente non ha fatto menzione dell’80° anniversario dell’organizzazione. Un silenzio che, in un contesto globale sempre più instabile, suona come una chiusura netta verso ogni forma di diplomazia multilaterale.