Home / Mondo / Brigitte Macron, la dignità nel tritacarne dei complottisti

Brigitte Macron, la dignità nel tritacarne dei complottisti

Brigitte la moglie di Emmanuel Macron dovrà provare in Tribunale di essere nata donna, quando la dignità finisce nel tritacarne dei complottisti


di

Nell’era del fluid, in un’epoca che si vanta d’essersi emancipata dai vincoli biologici e in cui il genere è sempre più ostentato come possibilità, come scelta e auto-narrazione, un tribunale americano sarà chiamato a stabilire – sulla base di documenti – che la Première Dame di Francia, Brigitte Macron, non è nata uomo. Che non è, cioè, una persona trans, ma una donna. Una donna che ha vissuto, insegnato, avuto figli, e che ora si ritrova a dover produrre un dossier per dimostrarlo, come se fosse candidata a un concorso notarile.

Il caso, che ha del grottesco, nasce da una bufala colossale: una voce che circola sui social dal 2017 – la storia bislacca secondo cui Brigitte Trogneux sarebbe in realtà un uomo divenuto donna – e che l’influencer conservatrice americana Candace Owens ha deciso di rilanciare, trasformandola in una serie video intitolata Becoming Brigitte.

Owens, esponente afroamericana di estrema destra, con più di quattro milioni di iscritti su YouTube, si era già fatta conoscere insinuando complotti dietro i vaccini, la Shoah, persino gli sbarchi sulla Luna. Un repertorio consueto per la fabbrica del sospetto, che nel corpo della moglie del presidente francese ha trovato un nuovo palcoscenico redditizio. I Macron, sentendosi diffamati, hanno deciso di reagire, chiedendo un risarcimento “esemplare”. Il loro avvocato ha dichiarato che verrà presentata la documentazione attestante il sesso femminile della signora Macron fin dalla nascita, comprese «testimonianze di esperti» di natura scientifica.

Non conosciamo i dettagli di queste prove, ma già la loro esistenza rivela un paradosso: l’operazione, pensata per ristabilire la verità, rischia di legittimare la menzogna. Perché il semplice fatto che l’identità sessuale della signora Macron sia trattata come ipotesi dibattibile conferma la vittoria di Owens. Anche se dovesse perdere la causa, la farneticante influencer avrà comunque trionfato: ha costretto, infatti, l’Eliseo a inseguire la sua narrazione, a calarsi nel suo format, trasformando la bufala in materia giudiziaria.

È il trionfo del sospetto, dove il legal reality si appresta a sostituire la biopolitica foucaultiana: il corpo non più come luogo in cui il potere costruisce le sue verità, ma come merce processuale esibita in versione “Un giorno in procura”. La vicenda conferma che il sospetto è una macchina invincibile, perché il complottismo non ha bisogno di verità, ma vive al contrario della sua negazione. Ogni smentita è una conferma implicita, e ogni processo, anche se perso, è una vittoria.

Lo dimostra in maniera esemplare la madre di tutti i complottismi, ovvero quei Protocolli dei Savi di Sion, il falso che ha avvelenato l’antisemitismo moderno: da più di un secolo, nonostante innumerevoli prove e smontaggi critici, quel libello continua a circolare e a essere creduto, nutrendosi delle sue smentite. È la regola aurea del sospetto: inglobare la confutazione, trasformarla in carburante per la propria longevità. Owens è l’ultima erede di quella genealogia: non le serve credibilità, le basta la viralità. E sulla viralità (e la virilità) ha costruito la sua campagna.

Del resto la proliferazione delle teorie cospirazioniste – dal Covid in poi – ha mostrato che quando le fake news diventano redditizie trovano nel privilegio (della notorietà, del discorso pubblico) terreno fertile e la libertà di espressione si riduce allora a pretesto perfetto per diffondere menzogne pubbliche. Il problema, però, è quando la politica, pur volendo, giustamente, legittimamente (ma forse poco opportunamente in questo caso) difendere la verità, finisce per recitare nel teatro dei complottisti. Nel momento in cui accetti di certificare l’ovvio, hai già mutato la menzogna in ipotesi e l’assurdo in diritto di parola.

È qui che i Macron sono caduti nella trappola. Portando Owens in tribunale hanno accettato che l’ipotesi assurda – Brigitte uomo – fosse trattata come possibilità da verificare, degna di controprove e di dibattimento. Il meccanismo è sempre lo stesso: la diffamazione diventa discorso, il discorso diventa sospetto, il sospetto diventa caso giudiziario. E alla fine resta questa immagine, insieme ridicola e crudele: una donna, la cui vita pubblica e privata è evidente a chiunque, costretta a difendere davanti a un giudice ciò che non avrebbe mai dovuto essere messo in discussione. Non è soltanto una caricatura del nostro tempo, dove essere trans, da punta di diamante del wokismo democratico diventa insulto da diffamazione, è anche di più, poiché quell’insulto è, oggettivamente, anche una ferita reale alla dignità femminile. È il ritorno al più antico dei rituali inquisitori: dimostrare chi sei, perché non basta viverlo.

Tag:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *