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Sull’accoglienza Meloni imiti Merkel

Dieci anni fa l’ex cancelliera Merkel offrì ospitalità e lavoro a migliaia di siriani Giorgia Meloni imiti l’ex leader tedesca


L’immane tragedia che si sta consumando nella Striscia di Gaza sotto gli occhi impotenti di tutti, con l’occupazione militare israeliana motivata e coperta dal troppo fragile velabro della guerra ad Hamas, sta penetrando nelle coscienze della gente comune assai più, diremmo, che in quelle dei decisori internazionali. La gente va in piazza a dichiarare la propria indignazione per una pura ragione umanitaria, tenendo il più possibile lontane le contaminazioni politiche, ma comprende che il risuonare così remoto della richiesta di fermare ciò che rischia di diventare un vero e proprio genocidio mascherato, non muove nulla.

Non induce a resipiscenza gli occupanti, non salva una sola vita tra quelle in pericolo e in fuga verso l’ignoto. In questo momento drammatico per la popolazione la priorità resta la sopravvivenza: la carestia ha già provocato centinaia di morti per fame, un terzo sono bambini. Né si è potuto registrare un significativo contributo alla nutrizione dei palestinesi nella Striscia dai lanci aerei di derrate alimentari e medicinali da parte di paesi terzi e istituzioni internazionali (naturalmente escludiamo il  Global Humanitarian Foudation, (GHF), l’ente controllato direttamente dal governo israeliano: l’aver immaginato una sua attività effettiva a sostegno del territorio occupato è stato in sé allucinatorio). Peraltro l’inefficacia degli aiuti aeronautici è nota da sempre, perché la via del cielo per gli approvvigionamenti espone all’imprecisione e alla casualità degli atterraggi e al pericolo che le risorse finiscano nelle mani sbagliate.

Secondo l’Onu all’altezza dei primi di settembre non meno di 2000 persone erano morte cercando di accedere agli alimenti caduti nei lanci. Il generoso impegno delle navi di Global Sumud Flotilla, la flotta composta da privati e associazioni che cerca di raggiungere Gaza via mare per portare aiuti alimentari e sanitari superando lo sbarramento opposto sulla terraferma dai militari israeliani, compie un gesto politicamente assai importante perché dà voce al desiderio della gente comune che vuole fare qualcosa di senso per dare una mano, ma non sappiamo quanto possa dimostrarsi più efficace dei lanci. D’altro canto le pur giuste sanzioni comminate dall’Ue non appaiono risolutive in un contesto internazionale che registra la frattura del fronte occidentale, con l’America di Trump che ha dato un sostanziale via libera all’occupazione del territorio da parte delle truppe di Netanyahu.

Occorre allora qualcosa di nuovo e di urgente, che capovolga la prospettiva, oggi così drammaticamente compromessa per un popolo che ha visto morire 62.000 persone (18.400 bambini), colpite con ferimenti importanti 156.000 e costrette a fuggire dalla Striscia 1,9 milioni sui 2,4 originariamente residenti (i dati sono dell’Onu). L’Europa tutta e l’Europa mediterranea in particolare, può fare qualcosa di concreto per sovvenire a questo dramma dei palestinesi, guardando ad un precedente che esattamente dieci anni fa vide la Germania di Angela Merkel protagonista.

Nel mezzo della crisi generata dalla guerra civile siriana, che mise in fuga migliaia di migranti sulla rotta balcanica, la cancelliera tedesca con una decisione coraggiosa e inusuale, aprì le porte della Germania ai richiedenti asilo provenienti da quel martoriato paese che, nel fuoco delle primavere arabe aveva visto il popolo ribellarsi al regime di Bashar al-Assad, quel popolo che era ora vittima di una sanguinosa repressione.

Più di un milione e 200 mila siriani giunsero sul suolo tedesco e più del 60% di questi venne assorbito nel tessuto produttivo del paese, specialmente dall’industria manifatturiera che, peraltro, era in carenza di manodopera. Forse è venuto il momento di replicare quell’esperienza facendo una cosa concreta e aprendo le porte dell’Europa dagli esuli di Gaza, salvandoli dalla fuga verso il niente e offrendo loro una chance. Potremmo cominciare noi, italiani-mediterranei, magari riconvertendo anche- lo dico sinceramente senza polemica- quei cospicui manufatti eretti in Albania per farne accoglienza. Sarebbe una cosa concreta. Almeno fino a quando la comunità delle nazioni civili non sarà in grado di restituire a quella gente la propria terra.

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