Home / Mondo / “La violenza frutto di un dibattito malato. Usa nazione vecchia”

“La violenza frutto di un dibattito malato. Usa nazione vecchia”

di

L’omicidio di Charlie Kirk ad opera del 22enne Tyler Robinson è l’ennesimo episodio di violenza in un’America sempre più instabile. Che cosa sta succedendo nella società americana? Da dove viene questa nuova ondata di violenza? Lo chiediamo a Mario Del Pero, esperto di storia degli Usa e docente di storia internazionale all’Institut d’études politiques/SciencesPo di Parigi. È in uscita per il Mulino il suo libro Buio americano. Gli Stati Uniti e il mondo nell’era Trump.

«La storia della democrazia statunitense è intimamente legata alla violenza fin dalla sua nascita, con poi picchi, ondate e riflussi conseguenti. Tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento ci furono gli attentati anarchici, la violenza repressiva di stato, l’assassinio di McKinley. Pensiamo poi agli anni ’70, con il terrorismo, l’assassinio dei due Kennedy e di Martin Luther King. È una violenza che si è dispiegata anche contro le figure apicali di questa democrazia, con quattro presidenti assassinati nell’esercizio delle loro funzioni. Quattro su 47: statisticamente il Presidente degli Stati Uniti è uno dei lavori più pericolosi al mondo».

Stiamo assistendo a una nuova fase di questo storico rapporto tra democrazia americana e violenza?

«Quella a cui assistiamo ora è una violenza che riflette una crisi politico-istituzionale. Le ondate di violenza si manifestano quando parte dei cittadini ritiene necessario ricorrere alla violenza. È legata a fenomeni di polarizzazione presenti negli Usa contemporanei e che si sono acuiti a partire dalla crisi del 2008».

A cosa si riferisce quando parla di polarizzazione?

«È un contesto in cui le due parti politiche sono meno comunicanti; di conseguenza cessano di considerarsi come normali competitori politici e si trasformano in pericoli assoluti, minacce esistenziali per la propria concezione di cosa gli Stati Uniti siano e debbano rimanere. Se l’avversario politico diventa un pericolo, allora tutto è lecito per prevenirne l’accesso al potere. Anzi, prevenirlo anche tramite l’impiego della violenza diventa un dovere patriottico. Su questo i sondaggi sono inequivoci: una percentuale crescente di democratici e repubblicani considera illegittimo l’avversario politico e la violenza una risposta necessaria. Per usare uno slogan: la delegittimazione politica dell’avversario corrisponde alla legittimazione dello strumento della violenza».

Vede dei cambiamenti anche nella forma della violenza politica, nel modo in cui si esprime?

«Sì, nel decennio scorso si manifestava soprattutto attraverso l’azione di gruppi organizzati del suprematismo bianco. Oggi invece sono soprattutto singoli che colpiscono altri singoli, avversari politici. Non colpiscono più tanto i simboli delle istituzioni governative, come fu in un’altra fase del terrorismo politico, pensiamo all’attentato di Oklahoma City nel 1995 che fece quasi 200 morti».

Trump ha chiesto immediatamente la pena di morte. È uno scenario possibile?

«La pena capitale è prevista nello Utah, che negli anni ’70 è stato uno dei primi stati a reintrodurla. In alcuni casi può essere adottata anche a livello federale e non è escluso che Trump usi questo caso per rivendicare più poteri federali».

L’omicida di Kirk è un ventiduenne dello Utah. I giovani sono i più esposti alla radicalizzazione dell’opinione pubblica americana?

«Le oscillazioni di voto maggiori nei flussi elettorali sono state tra i giovani maschi e hanno visto un significativo spostamento a destra, aiutato tra gli altri anche da Kirk. I giovani sono più esposti alla radicalizzazione: era giovane anche l’attentatore di Trump nel luglio dello scorso anno».

Vede una connessione tra l’assassino di Kirk e gli eccessi della cultura woke statunitense?

«Sappiamo ancora poco su Tyler Robinson. Credo che il woke venga brandito con una certa faciloneria nell’accusare giovani liberal, fermo restando che eccessi woke ce ne sono stati e ce ne sono tuttora. La connessione è piuttosto tra la radicalizzazione e le guerre culturali, dentro cui si inserisce anche la questione del woke e di temi che sono molto sentiti da parte dell’elettorato giovane. Le guerre culturali sono battaglie che si svolgono su un terreno identitario, dove i margini di mediazione, di compromesso e di buon senso si restringono molto e tendono a prevalere logiche molto intolleranti, da una parte e dall’altra».

È preoccupato per lo stato di salute della democrazia americana?

«La democrazia statunitense è vecchia, la più vecchia tra quelle in vita. I suoi meccanismi di funzionamento sono anacronistici: pensiamo alle modalità elettorali o alla costituzione, che è scheletrica, fatta da 7 articoli e 27 emendamenti scritti con linguaggio arcaico. Ripulire il corpo della democrazia americana dal veleno che le viene continuamente introiettato è molto complicato. Le responsabilità sono di entrambe le parti politiche, ma la violenza che prima era costitutiva della democrazia americana è oggi amplificata dal fatto che alla Casa Bianca c’è un uomo che non prova nemmeno a offrire un messaggio di ricomposizione delle fratture della società americana, ma che, essendone il prodotto, le infiamma ulteriormente. Questo è un ulteriore elemento di novità in quel legame tra Stati Uniti e violenza da cui siamo partiti».

Tag:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

EDICOLA