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Goulard: “Il sistema presidenziale francese deve essere superato”

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«L’immagine più efficace della società francese l’ha data Tocqueville quando ha scritto che la Francia è “pazza di uguaglianza”». Sylvie Goulard, già deputata europea e ministra dell’Esercito, fa appello ai classici per orientarsi nell’intricatissima situazione che sta attraversando il suo Paese. E mette in guardia sui rischi che l’assetto presidenziale di alcune grandi democrazie può comportare: «in Francia c’è bisogno di qualcuno che svolga un ruolo di garante, come quello svolto in Italia dal capo dello Stato».

La Francia attraversa la quarta crisi di governo in circa due anni. A cosa è dovuta questa instabilità istituzionale?

«In Francia, come in tanti paesi occidentali, c’è una grande frammentazione del paesaggio politico. Prima c’erano due famiglie politiche e una legge elettorale che garantiva la maggioranza assoluta. Non essendo basato su un sistema proporzionale né su una tradizione di compromesso, il sistema francese ha più difficoltà a gestire la frammentazione politica. Ma c’è qualcosa di ancora più fondamentale…»

Cosa?

«Nel sistema italiano il presidente della Repubblica è un garante della nazione. È una ricchezza incredibile  stabilita dalla Costituzione e che impedisce, tra l’altro, la personalizzazione del potere. I francesi hanno sempre creduto che la figura del presidente eletto direttamente fosse una forza. Ma da tempo vediamo che non è così: già all’epoca di Mitterand si diceva che l’Eliseo era il “castello del re”. Dopo Sarkozy, Macron ha portato tutto questo al parossismo. C’è una verticalità del potere che sta distruggendo il paese almeno dal 2000, quando abbiamo cambiato la durata del mandato del presidente. Oggi la società è cambiata. Quando De Gaulle era presidente c’era solo una televisione che era nelle mani del governo. Pensare che un sistema così verticale possa garantire stabilità senza comportare alcun rischio  è un’illusione. La Francia e gli Stati Uniti di oggi lo dimostrano».

È un monito per chi in Italia ha ambizioni di premierato?

«Il sogno del premierato proprio non lo capisco. Il sistema italiano sta dimostrando la sua saggezza e i sistemi verticali la loro inettitudine. Abbiamo tutti la tendenza a pensare che l’erba del vicino sia sempre più verde, ma spesso non è così. Siamo in un momento di tentazioni autoritarie, i sistemi che offrono equilibrio, inclusi un ruolo per istituzioni indipendenti  come le banche centrali e la giustizia, sono da proteggere». 

Storicamente a quando risale l’attuale assetto istituzionale francese?

«Risale all’epoca della guerra in Algeria e fu pensato per un generale dell’esercito, con un percorso fuori norma. In base a com’è fatta la società oggi, quell’assetto deve essere rivisto».

Nella crisi attuale Macron ha delle responsabilità?

«L’anno scorso il presidente ha sciolto le camere senza volere poi trarne le conseguenze».

Quali sono ora i possibili scenari in Francia? Alcuni analisti dicono che si va verso la costruzione di una maggioranza molto debole che dovrà fare affidamento sull’astensione di alcune forze politiche…

«Se il primo ministro trova effettivamente una maggioranza, seppur soltanto su alcuni importanti temi, allora non sarà debole. Sarebbe una grande dimostrazione di forza trovare una convergenza politica. È quello che provano a fare i deputati  al Parlamento europeo, per esempio. La  maggioranza assoluta non c’è e non ci sarà. Lecornu ha già fatto un’apertura sulle pensioni, un punto di grande scontro politico dopo la riforma di Macron. Vedremo».

Perché in Francia la tensione sociale è così grande e la società così instabile?

«Lo ha spiegato benissimo Tocqueville, quando scriveva che la Francia è “una nazione pazza di uguaglianza”. Il grado di disuguaglianza sociale che è per esempio accettato in Italia in Francia sarebbe visto in un modo più critico. A rovescio ci si potrebbe chiedere: perché nelle nazioni le cui popolazioni non guadagnano abbastanza per pagarsi la casa nessuno si ribella? Io non sono a favore della rivoluzione, ma storicamente in Francia c’è una visione molto positiva della lotta sociale. È una specificità francese, ma c’è un altro aspetto su cui si misura davvero la debolezza della società francese».

Quale?

«Il fatto che il debito è troppo alto. Il dibattito interno è tutto su come risolvere questa situazione. Macron ha fatto una politica economica che dava vantaggi fiscali alle aziende e questo ha avuto un impatto sulla crescita e ha abbassato il tasso di disoccupazione. Dall’altro lato c’è chi dice che serve più ridistribuzione e che i salari sono troppo bassi».

E lei cosa che opinione ha?

«Io penso che la finanza pubblica debba essere messa in ordine. Ma la cosa sulla quale si discute, spesso in maniera molto confusa, è chi abbia il dovere di pagare di più o chi debba avere meno vantaggi. Metà della popolazione francese guadagna meno di 1500 euro al mese. Su questo la sinistra ha qualche buon argomento, anche se non posso condividere la violenza che ogni tanto appoggia. Dall’altra parte c’è chi dice che il debito deve essere assolutamente ridotto. Anche loro hanno ragione, ma la questione sociale rimane aperta. Ci vuole un vero dialogo, e bisogna evitare che ogni partito parli solo al proprio bacino elettorale».

La cronaca ci restituisce però le immagini di intere città messe a ferro e fuoco dai manifestanti. Visto il crescente malcontento c’è il rischio che vadano al potere forze estremiste, di destra o di sinistra o magari addirittura alleate tra loro?

«La violenza è inaccettabile ma la rabbia deve essere capita. L’Italia non ha forse avuto un governo giallo-verde dopo politiche di restrizione finanziaria? La maggioranza dei francesi chiede riforme e cambiamenti nel lavoro della classe politica. Vuole che il governo proponga soluzioni concrete. Credo che siano almeno cinque le questioni che vanno affrontate con più urgenza oggi in Francia: le pensioni, il costo della casa, la sanità, la qualità della scuola e infine la sicurezza. Su questi temi i partiti o fanno delle proposte grandiose che però non sanno come finanziare, oppure non fanno proprio proposte».

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