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Tallinn, Vilnius, Riga. Dove brilla l’ambra, oro del Baltico

Ambra, oro del Baltico

«Nelle vene dei Balti scorre ambra»: è racchiuso nelle parole di Eduardas Mieželaitis, scrittore lituano della prima metà del Novecento, il legame degli abitanti di Tallinn, Vilnius e Riga con la preziosa pietra che giace sul mar Baltico. Il suo colore luminoso che varia dal giallo al marrone appena accennato, e che a volte esplode in tonalità di rosso, contraddistingue ‘l’oro del Baltico’.
La sua origine è legata ad antiche leggende. La più suggestiva quella che racconta che i pezzi di ambra siano schegge di un castello distrutto, le cui rovine riposano sommerse sui fondali del mare. Si dice che quella che era la splendida dimora di Jurate, divinità marina dei lituani, fu distrutta dai fulmini di Perkunas, il padre dei tuoni, come punizione per il sentimento d’amore della dea nei confronti di un umile pescatore. Le pene di quell’amore impossibile sarebbero i frammenti d’ambra disseminati nelle acque baltiche.
Tra miti e leggende, quello che è certo è che la resina con cui vengono prodotte collane, bracciali e vari monili, è un tratto davvero distintivo dell’identità delle popolazioni del mar Baltico che hanno attraversato la storia.
Tallinn, Vilnius e Riga sono state ex repubbliche sovietiche: le tre città, capitali rispettivamente di Estonia, Lituania e Lettonia, hanno riconquistato la loro indipendenza nel 1991, dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Prima di allora, facevano parte dell’URSS e, prima ancora, erano state incorporate nell’Impero russo. E non è un caso che una delle testimonianze di questa antica unione delle città baltiche alla Russia sia rappresentata proprio da questa preziosa resina che brilla non solo al collo delle signore, ma anche nelle opere d’arte. Tra queste è protagonista assoluta la Camera d’ambra, un famoso capolavoro d’arte costruito originariamente all’inizio del XVIII secolo. Ribattezzata l’ottava meraviglia del mondo, la stanza fu creata fra il 1701 e il 1709 per il Castello di Charlottenburg a Berlino, che allora si trovava nel territorio della Prussia. Era uno spazio di circa 55 metri quadrati, le cui pareti erano completamente rivestite da pannelli decorati con ben sei tonnellate di ambra baltica, oltre a decorazioni in foglie d’oro e specchi.
L’imperatore russo Pietro il Grande, che vide i pannelli d’ambra, ne fu talmente folgorato da volerli anche nella sua terra. Nel 1716 la camera fu donata dal re di Prussia Federico Guglielmo I al suo alleato. Non era solo un regalo diplomatico, ma anche una mossa studiata per avere maggiore sicurezza nel proteggere i confini tra Prussia e Russia.
Nella terra degli zar, il prezioso carico d’ambra venne ricevuto da Alessandro Menshikov, il primo sindaco di San Pietroburgo. La figlia di Pietro, la zarina Elisabetta, fece installare la Camera prima nel Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo e successivamente nel Palazzo di Caterina a Carskoe Selo. Poi il mistero della sua scomparsa da San Pietroburgo, riaperto dal recente ritrovamento del relitto di una nave tedesca affondata nel Mar Baltico alla fine della Seconda Guerra Mondiale. La Camera d’Ambra è stata poi interamente ricostruita e riaperta al pubblico il 13 maggio 2003. E non c’è casa, in Lituania, Lettonia ed Estonia, in cui non vi sia un frammento, un pezzo, un ornamento di oro del Baltico.
L’importanza dell’ambra non è soltanto culturale, ma anche economica: il territorio a nord est dell’Europa, infatti, è uno dei pochi al mondo ad averne, e nel corso delle epoche storiche, grazie agli incessanti scambi commerciali, numerosissimi mercanti ne hanno raggiunto le coste.
La preziosissima resina è anche mito e suggestione. Dall’antichità, specie in Lituania, le si attribuiscono poteri mistici, grazie agli elementi naturali di cui è composta: l’acqua, la terra e l’aria, che combinandosi e agendo sulla resina dei pini, circa 50 milioni di anni fa, hanno lasciato ai balti, in eredità, questo piccolo tesoro. Oggi lo si trova un po’ ovunque, sia nelle botteghe o nei mercatini, nelle gioiellerie e nei negozi di souvenirs, le genti del baltico continuano a preservarlo, coltivando e sviluppando la produzione di questo loro patrimonio. Ed ecco come, dunque, sia possibile non solo trovare l’ambra forgiata in eleganti ornamenti, ma anche utilizzata per la realizzazione di cosmetici, saponi e incensi usati anche durante le celebrazioni religiose, o sfruttata per ottenere piccoli benefici per l’organismo, grazie all’acido succinico, in grado di rafforzare il sistema immunitario.
C’è infine una storia – e questa non è una leggenda – che lega le terre del Baltico all’Italia. Indro Montanelli, uno dei massimi esponenti del giornalismo italiano del secolo scorso, visse in Estonia, a Tartu, dove fu lettore di lingua italiana all’università, e a Tallinn, dove diresse l’Istituto Italiano di Cultura. Montanelli fu inviato in Estonia grazie all’intervento di Bruno Buttai, che riuscì così ad evitargli il confino, dopo che il giornalista scrisse sarcasticamente della battaglia di Santander – che vide il trionfo dei franchisti sull’esercito repubblicano – svoltasi durante la guerra civile spagnola. La cosa non piacque al regime e Mussolini stesso radiò Montanelli dall’albo dei giornalisti. Dopo il soggiorno estone, nel 1938, Montanelli tornò in Italia e iniziò a scrivere per il Corriere della Sera. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, tuttavia, il giornalista tornò nuovamente in Estonia, attraversando la Polonia e le repubbliche baltiche e, nel 1939, da Tallinn si recò nella vicina Finlandia. Qui divenne testimone del tentativo di annessione del paese nordico all’Unione Sovietica e della guerra d’inverno con ‘I cento giorni della Finlandia’, una raccolta di corrispondenze inviate al Corriere italiano sul conflitto tra Russia e Finlandia.
Queste terre dal sapore fiabesco tra storia e leggende, a cavallo tra la cultura russa e quella germanico-europea, sono state profondamente influenzate dai popoli e dai poteri degli stati circostanti. Percorrendo la Via dell’Ambra si vede tutto questo, ma si vede soprattutto la storia identitaria di queste terre: gli uomini primitivi la bruciavano per scaldarsi; il greco Talete (600 a.C.) studiò e descrisse le proprietà di elettricità statica della preziosa resina, tanto che dal suo nome greco electron, deriva la parola ‘elettricità’; nel Medioevo veniva utilizzata come mezzo di pagamento; nel XII secolo si diceva che permettesse di entrare in contatto con gli spiriti. E tutto il resto è storia.

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