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Gaza, due anni dopo Israele si trova ancora al punto di partenza

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Palazzi semidistrutti, persone che si muovono tra le macerie e tende e baracche arroccate ai bordi delle strade. Il tutto ripreso da un’auto in movimento su un viale che sembra, dai movimenti della camera, dissestato e sconnesso. Dietro il volto di Guy Gilboa-Dalal, ostaggio israeliano prigioniero di Hamas da 22 mesi, e attraverso il finestrino della vettura su cui si trova in compagnia dei suoi rapitori questo è lo scenario che si presenta a chi guarda il recentissimo video rilasciato dall’organizzazione militante palestinese.

Uno scenario quasi post-apocalittico attraverso il quale l’ostaggio israeliano viene fatto spostare in auto dai suoi rapitori palestinesi, evidentemente incuranti del pericolo di trovarsi in superfice. Ed è questo aspetto, al netto del dramma di un individuo che si ritrova sotto prigionia da quasi due anni, a risultare più rilevante per quanto concerne la diffusione di questo video, apparentemente girato a fine agosto.

I miliziani di Hamas si trovano in superficie, si spostano senza subire problemi in auto per le vie di Gaza City nonostante il fatto che poco distanti, al tempo, si trovavano le truppe di terra delle Forze di Difesa Israeliane. Dopo quasi due anni di guerra e infinite operazioni terrestri, bombardamenti e rastrellamenti l’organizzazione palestinese può ancora spostare gli ostaggi, farli uscire dai tunnel e farli sfilare, seppur senza troppa fanfara, tra le strade di una delle città epicentro delle offensive dei militari di Tel Aviv.

A sud della Striscia, il giorno dopo la ripresa del video (il 29 agosto), il sergente di prima classe della riserva Ariel Lubliner, in forza alla 36esima Divisione Corazzata “Gaash”, rimane ucciso. La settimana prima il tenente Ori Gerlic, della 900esima Brigata di Fanteria, era stato ucciso sempre nel sud, sempre in combattimento. A fine giugno altri sette soldati sono rimasti uccisi da un ordigno piazzato sul proprio veicolo, sempre nell’area meridionale della Striscia, e un numero importante d’imboscate di miliziani di Hamas ai danni di convogli o pattuglie dell’Idf si è registrato per tutta l’estate, tanto a nord quanto a sud di Gaza.

Questi attacchi potrebbero sembrare svincolati dal video in cui viene mostrato Gilboa-Dalal, ma in realtà segnalano la stessa cosa che segnala quella ripresa. Al netto delle operazioni compiute, Hamas si muove ancora sul territorio e lo fa tanto per far sfilare uno dei suoi prigionieri quanto per colpire, spesso gravemente, le truppe d’Israele.

E il fatto che Hamas si possa effettivamente spostare, che possa organizzare operazioni e imboscate, segnala anche il fatto che nonostante la guerra, la fame e la devastazione il gruppo gode ancora del supporto di almeno una parte consistente della popolazione. Senza questo supporto, del resto, sarebbe impossibile per qualsiasi gruppo guerrigliero riuscire a continuare a combattere senza essere scoperto dalle superiori forze dell’avversario. Il collegamento tra supporto popolare e capacità di azione della guerriglia è un punto fermo di questo tipo di dottrina bellica da sempre, ed è ormai ben riconosciuto.

Capacità di movimento e supporto residuo ad Hamas sono il centro dell’operazione israeliana nella Striscia fin dall’inizio del conflitto. I preparatissimi vertici militari delle forze armate di Tel Aviv avevano riconosciuto già nelle prime settimane di operazioni che questi avrebbero dovuto essere i centri di gravita da colpire: impedire ai miliziani di spostarsi e colpire in maniera imprevedibile; e minare il supporto che la popolazione civile offre all’organizzazione, che si traduce in rifornimenti, supporto logistico ed eventuali coperture in fase di movimento di mezzi e personale.

Ma dopo quasi due anni di guerra Israele non ha ancora ottenuto, apparentemente, questi obiettivi. Non ha ottenuto quella che per stessa ammissione dei suoi militari è la precondizione strategica necessaria ad assicurarsi il controllo della Striscia. I tunnel, nonostante le operazioni mirate delle forze speciali dell’Idf e i bombardamenti, restano chiaramente ancora operativi, così come alcuni depositi di armi visto il continuato impiego di ordigni e missili da parte di Hamas.

Addirittura, i miliziani possono anche spostarsi in superfice, complice il fatto che è pressoché impossibile, visto il contesto, distinguere i civili dai combattenti, i normali abitanti di Gaza City dagli operativi di Hamas o della Jihad Palestinese. E ciò rende impossibile, anche in vista del nuovo progetto di occupazione militare della città da parte dell’Idf, rendere realmente sicura la zona o annientare tutte le cellule dell’organizzazione rimaste sparpagliate nella Striscia.

Israele, dunque, si trova in una situazione complicatissima. Una situazione ampiamente prevista dai suoi militari, i quali lanciarono fosche previsioni sul conflitto già diversi mesi fa. Previsioni rimaste inascoltate da parte della leadership politica, come ormai accade troppo spesso in Israele.

Ma a lungo andare questo stato di cose continuerà a pesare sulle truppe schierate sul campo, sulla popolazione civile di Gaza e anche sulla cittadinanza israeliana. Quella stessa popolazione che ha potuto assistere ieri alla triste scena di un concittadino reso ostaggio che viene spostato in macchina per le stesse strade per la cui messa in sicurezza sono morti centinaia di militari. In pieno giorno e nonostante la continuata presenza in zona di combattenti alleati.

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